ITALY: SHAME !

Il libro di Thomas Cacioski


Dodici Giorni, di Thomas CacioskiTerza parteAlzarmi, raggiungere la porta e tentare di scappare fu la prima cosa alla quale pensai subito dopo. Ma mi sentivo ancora debole e quel “non avere paura” continuava a ripetersi nella mia mente, mi aveva sorpreso e inconsciamente rassicurato. In quel preciso momento decisi definitivamente di non opporre resistenza e di assecondarli in tutto, se era vero che non dovevo avere paura, voleva dire che non era loro intenzione farmi del male. Lentamente mi misi a sedere sul lato del letto, sopra il tavolo aveva lasciato un vassoio con un piatto coperto, posate, una bottiglia, un bicchiere ed una mela, pensai a Chiara in ospedale, in un certo senso era come se fossimo ricoverate entrambe. Raggiunsi il tavolo e mi sedetti sulla sedia, versai dell’acqua nel bicchiere inizialmente bagnandomi soltanto le labbra e quella fu la prima volta che fui davvero contenta di trovarmi davanti ad un piatto caldo di riso in brodo, mia madre stava sicuramente ridendo guardandomi da lassù. Sorrisi anche io nel ricordare quante volte avevo discusso con lei per il riso in brodo che ogni tanto mi faceva trovare in tavola così, per farmi un piccolissimo dispetto che sapeva benissimo sarebbe finito in risate e abbracci. Di mio padre non ricordo molto, quando morì ero piccola, ma mia madre Dio solo sa quanto mi abbia amato e come sempre succede l’ho capito soltanto molto tempo dopo. Questa volta non avevo nessuna possibilità di discutere per quello che avevo trovato in tavola, mangiai tutto con calma lasciando solamente la metà della mela, sentivo di non dover esagerare come prima volta. Se la prima porta conduceva in un'altra parte della casa nutrivo la speranza che quella rimasta chiusa potesse essere la porta del bagno, avevo ragione. Accesi la luce, cercai la finestra ma nel bagno non c’erano finestre, mi guardai allo specchio e riuscii finalmente a piangere. Sporsi la testa nella camera da letto per accertarmi che tutto fosse tranquillo, chiusi a chiave la porta del bagno e mi spogliai,  l’istinto mi portò a guardarmi per avere la certezza che tutto fosse normale poi mi lasciai accarezzare dall’acqua, per lungo tempo. Indossai l’accappatoio ed aprii la porta, rientrai nella stanza e mi accorsi che il vassoio non c’era più e sul letto piegato, un pigiama. Qualcuno era entrato. Mi avvicinai alla porta, tentai di aprirla ma questa volta era stata chiusa nuovamente a chiave, con forza sbattei due volte con il palmo della mano ma la ritrassi subito dopo pentita ed impaurita. Non accadde niente dall’altra parte. Cercai di ricontrollarmi, mi avvicinai alla finestra e spostai la tenda, le inferriate erano in realtà normali scuroni semichiusi ma l’ultima cosa che avrei potuto immaginare di vedere attraverso quel piccolo spiraglio fu la neve. Aprii completamente tutto, neve, una immensa distesa di neve, un bosco in prossimità e poi non vedevo altro che neve, neve cadere, neve ovunque. Richiusi ogni cosa, mi lasciai andare sul letto sapendo di essere quindi da qualche parte in montagna, iniziai a respirare profondamente, chiusi gli occhi. Amavo la montagna, amavo la neve, tutto mi confondeva ancor più che turbarmi e domandavo a me stessa quasi ossessivamente cosa stessi vivendo. Mi sono chiesta tante volte ma senza riuscire a dare una risposta concreta, il senso ultimo di cose che facevo abitualmente nella vita e adesso, capivo l’importanza della meditazione praticata per tanti anni. Continuai la respirazione profonda per liberare la mia mente da ogni pensiero, cercai di uscire dal mio corpo e di proiettarmi verso quel qualcosa di Divino che ho sempre pensato fosse lì ad attendermi.  Mi spogliai lentamente, indossai il pigiama e abbracciando il cuscino provai ad addormentarmi.