Veritatis Splendor

Brandmüller: "Connubio tra potere e diritto. La disputa tra Lotario II e Niccolò I sul matrimonio" 2/2


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Ecco quel che vigeva nell’ambito giuridico franco-germanico. Ed era proprio questa la situazione di fronte alla quale si trovò la Chiesa nel suo sforzo di far valere l’esigenza di Cristo dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio. La lotta della Chiesa per un incivilimento ed una cristianizzazione del matrimonio non dovette ricominciare solo presso i Germani. Fu una lotta che – per motivi che qui non verranno approfonditi – iniziò relativamente tardi. Solo Bonifacio riuscì, con l’appoggio dei principi franchi Carlomanno e Pipino, a far sì che la legge di Dio acquisisse valore universale. I numerosi sinodi per la riforma, convocati da Bonifacio, offrirono un foro adatto a tal fine. A partire da quel momento s’impose il principio formulato da Benedetto Levita: «Nullum sine dote fiat coniugium nec sine publicis nuptiis quisquam nubere praesumat» (nessun matrimonio dovrà essere contratto senza dote, e nessuno deve osare sposarsi senza nozze pubbliche).Sebbene possa apparire che la Muntehe, ovvero il matrimonio contrattuale, infine abbia prevalso, restano però molti dubbi se per questo sia stata abbandonata la Friedelehe. Paul Mikat vede in ciò un desiderata urgente della ricerca, e Werner Ogris, nel manuale della storia del diritto tedesco (Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte), nonostante tutta l’incertezza sui dettagli, sostiene che «l’esistenza, nell’ambito germanico, di un matrimonio morganatico senza dote e senza potestà, difficilmente può essere davvero messa in dubbio».Intanto, proprio sotto l’influenza della Chiesa, lo sviluppo andò in direzione del fatto che «la Friedelehe si distinse sempre più dalla Muntehe e quindi finì necessariamente con l’avvicinarsi all’unione sessuale non coniugale». Indicativo di ciò è l’utilizzo indistinto della parola concubina sia per la donna nella Friedelehe sia per la vera concubina.Date le circostanze era urgentemente necessario verificare, nel caso specifico di Lotario, se prima di aver contratto matrimonio con Teutberga ne avesse contratto uno secundum legem et ritum (secondo la legge e il rito) con Gualdrada, come Niccolò chiese di fare ai suoi legati. Egli insistette in modo particolare sulla dotazione e sulla consacrazione del matrimonio: «Informaci al più presto se il re ha sposato Gualdrada con la consegna del dono nuziale dinanzi a testimoni, secondo diritto e costume, e se Gualdrada gli è stata data in matrimonio pubblicamente».In più, non disponiamo di nessuna fonte che testimoni che la Chiesa abbia mai riconosciuto una Friedelehe come matrimonio. Ciò trova riscontro anche nel fatto che non è stata sollevata nessuna obiezione da parte della Chiesa quando Lotario, dopo essersi separato da Gualdrada, ha contratto matrimonio con Teutberga.Paul Mikat conclude così la sua profonda analisi Dotierte Ehe – rechte Ehe del 1984: «Lo sviluppo del diritto matrimoniale in epoca franca merovingia e anche nei secoli seguenti mostra quanto fosse difficile per la Chiesa far valere tra i germani la sua concezione del matrimonio e il suo diritto matrimoniale. Nel processo di affermazione, un particolare compito spettò al diritto sulla celebrazione del matrimonio, che però la Chiesa affrontò solo tardivamente e con titubanza. Non disponeva di un modello per la celebrazione del matrimonio ecclesiale e poteva accettare il diritto vigente ogniqualvolta questo rappresentava una forma di matrimonio che la Chiesa poteva riconoscere pienamente dal punto di vista teologico, ovvero quando la forma del matrimonio corrispondeva ai principi dell’indissolubilità e della comunità di vita monogama. Gli sviluppi avvenuti dalla metà dell’VIII secolo confermano chiaramente il carattere funzionale che la Chiesa attribuiva al diritto sulla celebrazione del matrimonio; essi dimostrano che l’influenza della Chiesa sul diritto relativo alla celebrazione del matrimonio era intimamente legata al suo sforzo per far valere la sua comprensione del matrimonio».Partendo da questi presupposti, non si può considerare che coerente il fatto che Niccolò I abbia definito una grave empietà il tentativo di contrarre una Muntehe con Gualdrada. Cionondimeno egli volle soddisfare le esigenze della giustizia e per questo ordinò un’attenta indagine attraverso il già menzionato sinodo di Metz ed i suoi legati, Radoaldo e Giovanni. Il loro compito era, anzitutto, di scoprire se l’affermazione di Lotario di aver ricevuto Gualdrada in moglie da suo padre fosse corretta. Questo sarebbe stato il caso se Lotario avesse preso in moglie Gualdrada «dopo l’avvenuta consegna del dono nuziale dinanzi a testimoni, secondo diritto e costume». Se fosse stato questo il caso, sorgeva la domanda del perché poi l’avesse ripudiata e avesse sposato Teutberga. Se però Lotario affermava di aver sposato Teutberga per timore, allora bisognava domandarsi come un re tanto potente fosse arrivato a trasgredire il comandamento di Dio per paura di un uomo ed a cadere tanto in basso. Se invece fosse emerso che Gualdrada non era affatto la sua legittima consorte, perché non era sposata con Lotario conformemente alle usanze con la benedizione di un sacerdote, i legati avrebbero dovuto far comprendere al re che doveva riprendere con sé Teutberga, se era senza colpa. Egli non doveva seguire la voce della carne, bensì obbedire al comandamento di Dio. Doveva temere di marcire nel fango della lussuria se avesse seguito il proprio volere, e ricordare che avrebbe dovuto rendere conto dinanzi al trono del Giudice. Il papa inoltre disse ai legati che Teutberga si era rivolta già tre volte alla Sede Apostolica, lamentandosi di essere stata cacciata ingiustamente e dichiarando di essere stata costretta ad una falsa confessione. Se Teutberga avesse accolto il suo invito a presentarsi dinanzi al sinodo, i legati avrebbero dovuto esaminare coscienziosamente la sua causa. Se ella avesse confermato l’accusa di essere stata costretta a detta confessione, ovvero di essere stata condannata da giudici ingiusti, essi allora avrebbero dovuto decidere secondo equità e giustizia, affinché ella non venisse schiacciata dal peso dell’ingiustizia.Niccolò in tutto ciò – ed è questo un aspetto interessante – non ignora affatto il destino di Gualdrada. Accusa Lotario, infatti, di essersi comportato anche nei suoi confronti in maniera scellerata. In seguito, molti vescovi ricevettero delle lettere da parte del papa, nelle quali erano invitati ad esercitare la loro influenza su Lotario per farlo ritornare sulla retta via. A quest’ultimo scrisse alla fine dell’863: «Hai così tanto ceduto alle pressioni del tuo corpo, d’aver tolto le briglie alle tue voglie. Così proprio tu, che sei posto come guida del tuo popolo, sei diventato per molti causa di rovina!». Poiché questi e altri moniti furono vani, sia Lotario sia Gualdrada vennero scomunicati; quest’ultima il 13 giugno dell’866. Nell’ulteriore corso delle questioni che non poterono essere risolte durante la vita di Lotario II, la posizione del papa non cambiò su nessun punto. Se esaminiamo nel complesso la presa di posizione di Niccolò I e di Incmaro di Reims in questa causa, appare anzitutto evidente che entrambi seguono la corrente della tradizione giuridica canonica e della fede nell’unità e nell’indissolubilità del matrimonio sacramentale.Emerge anche un altro dato: nella misura in cui la Chiesa riuscì a far sì che questa concezione del matrimonio si affermasse, il matrimonio perse ogni funzione utilitaristica.Sebbene non sia mai stato possibile evitare che venissero celebrati matrimoni (simulati) al servizio di interessi politici, dinastici o perfino finanziari, laddove di frequente la dignità della persona ed i diritti personali delle donne erano sacrificati, mentre gli uomini si sentivano spinti a rompere il matrimonio con una donna non amata, sia Incmaro di Reims sia, soprattutto, Niccolò I pongono la dignità ed i diritti di una moglie prima dell’arbitrarietà di un potente. Incmaro, facendo riferimento al diritto canonico, sottolinea espressamente che anche la sterilità della sposa non può essere un motivo per sciogliere un matrimonio valido, e ancor meno per contrarre un nuovo matrimonio. A sua volta, Niccolò, che non ignora affatto le colpe di Gualdrada, la considera comunque una vittima della passione di Lotario. Attraverso le spiegazioni molto efficaci contenute in una lettera del 30 ottobre dell’867 a Ludovico il Germanico, zio di Lotario, il papa dà un’ulteriore testimonianza della sua visione personalistica, quasi anacronistica per l’epoca, del matrimonio. Chiede a questo zio di esercitare la propria influenza su Lotario, affinché non solo accolga Teutberga nuovamente come moglie e le restituisca i suoi diritti, cosa già ottenuta grazie al legato Arsenio, ma la tratti anche davvero come sua moglie. A che cosa serve, domanda Niccolò, se Lotario con i piedi del proprio corpo non si reca più da Gualdrada mentre con i passi dello spirito corre verso di lei? Ed a cosa serve se, separato esternamente da Gualdrada, intimamente continua ad essere fuso con lei? Infine anche Teutberga non può essere soddisfatta della vicinanza fisica del marito se non c’è vicinanza spirituale, giacché Gualdrada continua ad esercitare il suo potere come se fosse lei la regina!Dinanzi ad affermazioni tanto chiare e nette ci si guarderà bene dall’aderire ad un cliché che definisce la comprensione del matrimonio d’amore basato su un legame spirituale solo come una conquista della tarda età moderna. Proprio questa presa di posizione di Niccolò I sul matrimonio di Lotario mostra quanto il concetto cristiano di matrimonio si distinguesse dalla visione – e dalla pratica – germanica precristiana. Pure sulla questione “donna e Chiesa”, ora tanto di moda, scende così una luce finora percepita a stento.4. Imparare dalla storia – Se la storia, e anche la storia della Chiesa, non si accontenta di apparire come una raccolta di episodi più o meno edificanti, e di tanto in tanto anche divertenti o scandalosi, ma per i suoi risultati avanza anche la pretesa di una rilevanza teologica, allora occorre interrogarsi sulle conclusioni teologiche che emergono dalla disputa sul matrimonio di Lotario II appena raccontata. Non sarà però possibile tener conto di un aspetto dell’evento citato, ovvero la domanda sul tipo e sull’estensione dell’esercizio della giurisdizione papale da parte di Niccolò I. Ci limiteremo dunque alle affermazioni che possono essere fatte riguardo alla comprensione dell’indissolubilità del matrimonio.Ernst Daßmann scrive in merito all’atteggiamento della Chiesa cristiana dei primordi su questo punto: «Una portata che difficilmente può essere sottovalutata per il configurarsi del matrimonio e della vita familiare cristiana la ebbero il divieto assoluto dell’adulterio, che valeva in egual misura per uomo e donna, nonché il diritto alla vita del bambino, anch’esso riconosciuto senza limitazioni ... Per principio era respinto anche il divorzio; tuttavia a questo riguardo il giudizio variava sul modo in cui doveva comportarsi la parte cristiana nel caso di adulterio dell’uomo o della donna e se al coniuge tradito o abbandonato dovesse essere permesso un nuovo matrimonio». Come già detto, però, il problema si poneva solo in caso di matrimonio tra battezzati e non battezzati. Questa norma autenticamente cristiana non urtava solo contro la realtà di vita della società antica mediterranea greco-romana. Una situazione analoga risultava pure quando la comprensione sacramentale, e quindi l’esigenza di unità e di indissolubilità del matrimonio cristiano, da essa inscindibile, era messa a confronto con le strutture sociali precristiane dell’ambito culturale germanico-celtico.Ebbe così inizio anche un processo nel corso del quale il concetto cristiano di matrimonio cercò d’imporsi sulle forme e sulle norme matrimoniali precristiane tramandate dalle popolazioni ormai convertite alla fede in Cristo. Considerando la posizione sociale delle persone coinvolte nel caso preso in esame e le dimensioni del conflitto, che abbracciava sia la politica sia la Chiesa, non è esagerato considerare la disputa sul matrimonio del re franco una pietra miliare nel lungo processo di affermazione delle norme matrimoniali cristiane.Nell’esaminare le diverse tappe di tale processo, notiamo che sotto l’aspetto fondamentale, quello teologico, non vi erano dubbi, ma erano grandi le incertezze nell’applicazione dell’insegnamento cristiano sul matrimonio a casi concreti, che continuavano a presentarsi in una situazione sociale caratterizzata dalla tradizione pagana. Di fatto, a questo proposito troviamo vescovi, sinodi, che hanno creduto di poter sciogliere matrimoni e consentirne di nuovi, proprio come è accaduto nel caso appena descritto. Quest’osservazione potrebbe portarci a ricordare una formula, forgiata dalla canonistica illuminista: Olim non erat sic, un tempo non era così.Applicato al presente: un tempo esisteva il permesso di risposarsi dopo il divorzio! C’è quindi un motivo che impedisce, nella situazione attuale e dinanzi alle difficoltà pastorali del presente, di ritornare ad una posizione già presa in passato ed ammettere una prassi “più umana” – come si direbbe oggi – di divorzio e nuovo matrimonio?Si pone così una domanda di grande portata teologica. La sua importanza emerge quando ricordiamo che già nell’ambito della teologia ecumenica si è argomentato in modo analogo. Non si potrebbe – è questa la domanda in quell’ambito – convincere più facilmente l’ortodossia alla riunificazione se si ritornasse allo stato dei rapporti tra Oriente e Occidente prima delle scomuniche del 1054?Già intorno alla metà del XVII secolo, inoltre, è chiamato in causa – e più precisamente dai teologi della cosiddetta ortodossia luterana e della scuola di Helmstädt, più vicina a Melantone –, il modello di riunificazione del cosiddetto consensus quinquesaecularis: ritorno, cioè, a quella situazione della dottrina della fede e della Chiesa che vigeva nei primi cinque secoli e riguardo alla quale oggi non esistono controversie!Idee davvero affascinanti! Ma offrono veramente una chiave per risolvere il problema? Solo in apparenza! Non per niente la storia li ha ignorati e la loro legittimazione teologica poggia su piedi d’argilla. La tradizione nel senso tecnico-teologico del termine non è una fiera delle antichità dove poter scegliere e acquistare determinati oggetti ambiti!La traditio-paradosis è piuttosto un processo dinamico di sviluppo organico conformemente – mi sia consentito il paragone – al codice genetico insito nella Chiesa. Si tratta però di un processo che non trova corrispettivi adeguati nella storia profana delle forme sociali umane, negli Stati, nelle dinastie e così via. Proprio come la Chiesa stessa è un’entità sui generis priva di analogie, anche le sue scelte di vita non sono paragonabili, sic et simpliciter, con quelle di comunità puramente umane e mondane. Piuttosto, qui sono decisivi i dati della rivelazione divina. Da questa risulta l’indefettibilità della Chiesa, ovvero il fatto che la Chiesa di Cristo, per quanto riguarda il suo patrimonio di fede, i suoi sacramenti e la sua struttura gerarchica fondata sull’istituzione divina, non può avere uno sviluppo che mette in pericolo la sua stessa identità.Ogniqualvolta si prende sul serio nella fede l’azione dello Spirito Santo, che abita nella Chiesa e che, secondo la promessa del Divin Maestro, la guiderà alla verità tutta intera, appare ovvio che il principio olim non erat sic non appartiene alla natura della Chiesa e pertanto non può essere determinante per lei!Ma se i sinodi sopramenzionati, allora, effettivamente autorizzarono Lotario II a risposarsi, non era anche quella una decisione guidata dallo Spirito Santo? Non era forse espressione della paradosis?A ciò risponde la domanda sulla forma concreta e la competenza di quei sinodi. È vero che essi non hanno preso decisioni dottrinali, né hanno emanato leggi, tuttavia, hanno preteso di giudicare, e questo non in materia puramente giuridica, bensì sacramentale. Nel caso esaminato, però, i sinodi non erano affatto liberi, e data la pressione subita da parte del re, indubbiamente dovevano essere considerati di parte, se non addirittura corrotti. La loro dipendenza da Lotario II portò ad una accondiscendenza tale ai desideri del re, da spingere i vescovi perfino a violare il diritto ed a corrompere dei legati pontifici.Tenuto conto delle circostanze e di altre irregolarità, era evidente che questi sinodi avevano fatto tutto tranne che amministrare la giustizia. Proprio da questo genere di esperienza derivava la norma del diritto canonico che toglieva ai tribunali ecclesiastici territoriali la competenza per le cause riguardanti i detentori del massimo potere dello Stato ed indicava quale unico foro competente il tribunale del papa (can. 1405 c.i.c. 1983). Nel caso illustrato, si aggiunge come ulteriore criterio decisivo la valutazione negativa, senza compromessi, del papa su tali sinodi, al loro modo di procedere ed al loro giudizio finale.Non si può quindi pensare neanche lontanamente che questa assemblea – ed altre similari – possa essere un luogo dove cogliere la tradizione autentica e vincolante della Chiesa. Certo, non solo i concili generali ma anche i sinodi particolari possono formulare la paradosis in modo vincolante. Tuttavia, possono farlo solo se corrispondono essi stessi alle esigenze sia formali sia contenutistiche della tradizione autentica. Questo, però – è bene ribadirlo – non era il caso per quanto concerne le assemblee di vescovi qui esaminate.5. Conclusione – Nel trarre le fila del ragionamento appena esposto, in conclusione, consentitemi di rispondere ad una possibile obiezione che taluno potrà sollevare e che corrisponde allo schema interpretativo di una “storia dei vincitori”, più vicino al pensiero storico marxista. Con ciò s’intende dire che lo sviluppo effettivo della dottrina, del sacramento e della costituzione della Chiesa non doveva svolgersi necessariamente, ovvero per forza di cose, come di fatto si è svolto. Che altre impostazioni, forse opposte, non siano riuscite ad imporsi, è piuttosto il risultato di congiunzioni storiche, ovvero di rapporti di poteri, casuali. Naturalmente, questo modo di considerare gli eventi della storia della Chiesa, ed i risultati degli stessi, consentirebbe di ritenere questi ultimi quali meri prodotti casuali della relatività loro propria. In altre parole, si potrebbe ribaltarli in qualsiasi momento ed imboccare altre vie. Ciò però non è possibile se alla base si pone la comprensione autenticamente cattolica della Chiesa, così come espressa da ultimo nella costituzione Lumen gentium del concilio Vaticano II.A tal fine è necessario – come già osservato – che la Chiesa possa essere certa dell’aiuto costante dello Spirito Santo, che è il suo principio vitale più intimo, il quale garantisce ed opera la sua identità nonostante tutti i cambiamenti storici. Così, dunque, lo sviluppo effettivo del dogma, del sacramento e della gerarchia del diritto divino non sono prodotti casuali della storia, ma sono guidati e resi possibili dallo Spirito di Dio. Per questo è irreversibile e aperto solo in direzione di una comprensione più completa. La tradizione in tal senso ha pertanto carattere normativo. Nel caso esaminato, ciò significa che dal dogma dell’unità, della sacramentalità e dell’indissolubilità, radicati nel matrimonio tra due battezzati, non c’è una strada che porti indietro, se non quella – inevitabile e per questo da rigettare – del ritenerli un errore dai quali emendarsi.Il modo di agire di Niccolò I nella disputa sul nuovo matrimonio di Lotario II, tanto consapevole dei principi quanto inflessibile ed impavido, costituisce una tappa importante sul cammino per l’affermazione dell’insegnamento sul matrimonio nell’ambito culturale germanico. Il fatto che il papa, come anche suoi diversi successori in occasioni analoghe, si sia dimostrato avvocato della dignità della persona e della libertà dei deboli – per la maggior parte erano donne – ha fatto meritare a Niccolò I il rispetto della storiografia, la corona della santità ed il titolo di Magnus.Fonte:http://www.scuolaecclesiamater.org/2014/06/come-noto-molti-dal-5-al-19ottobre.html