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Il cardinal Müller chiarisce sul matrimonio

Post n°134 pubblicato il 01 Febbraio 2017 da Veritatis1973

http://1.bp.blogspot.com/-qZ_eIPDvZvY/VXJK2r2XEeI/AAAAAAAASKw/15sA7-cLGiw/s1600/lowen-4.JPGhttps://www.aciprensa.com/imagespp/size680/CardenalMuller_LaurenCaterACIPrensa091215.jpg

 

 Il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ha rilasciato un' intervista per la rivista "Il Timone", raccolta dal direttore Riccardo Cascioli e da Lorenzo Bertocchi:

D. - Si può dare una contraddizione tra dottrina e coscienza personale?

R. - No, è impossibile. Ad esempio, non si può dire che ci sono circostanze
per cui un adulterio non costituisce un peccato mortale.
Per la dottrina cattolica è impossibile la coesistenza tra il peccato mortale e la grazia giustificante. Per superare questa assurda contraddizione, Cristo ha istituito per i fedeli il Sacramento della penitenza e riconciliazione con Dio e con la Chiesa.

D. - È una questione di cui si discute molto a proposito del dibattito intorno all'esortazione post-sinodale "Amoris laetitia".

R. - La "Amoris laetitia" va chiaramente interpretata alla luce di tutta la dottrina della Chiesa. [...] Non mi piace, non è corretto che tanti vescovi stiano interpretando "Amoris laetitia" secondo il loro proprio modo di intendere l'insegnamento del papa. Questo non va nella linea della dottrina cattolica. Il magistero del papa è interpretato solo da lui stesso o tramite la Congregazione per la dottrina della fede. Il papa interpreta i vescovi, non sono i vescovi a interpretare il papa, questo costituirebbe un rovesciamento della struttura della Chiesa cattolica. A tutti questi che parlano troppo, raccomando di studiare prima la dottrina [dei concili] sul papato e sull'episcopato. Il vescovo, quale maestro della Parola, deve lui per primo essere ben formato per non cadere nel rischio che un cieco conduca per mano altri ciechi. [...]

D. - L'esortazione di san Giovanni Paolo II, "Familiaris consortio", prevede che le coppie di divorziati risposati che non possono separarsi, per poter accedere ai sacramenti devono impegnarsi a vivere in continenza. È ancora valido questo impegno?

R. - Certo, non è superabile perché non è solo una legge positiva di Giovanni Paolo II, ma lui ha espresso ciò che è costitutivamente elemento della teologia morale cristiana e della teologia dei sacramenti. La confusione su questo punto riguarda anche la mancata accettazione dell'enciclica "Veritatis splendor" con la chiara dottrina dell'"intrinsece malum".  [...]  Per noi il matrimonio è l'espressione della partecipazione dell'unità tra Cristo sposo e la Chiesa sua sposa. Questa non è, come alcuni hanno detto durante il Sinodo, una semplice vaga analogia. No! Questa è la sostanza del sacramento, e nessun potere in cielo e in terra, né un angelo, né il papa, né un concilio, né una legge dei vescovi, ha la facoltà di modificarlo.

D. - Come si può risolvere il caos che si genera a causa delle diverse interpretazioni che vengono date di questo passaggio di Amoris laetitia?

D. - Raccomando a tutti di riflettere, studiando prima la dottrina della Chiesa, a partire dalla Parola di Dio nella Sacra Scrittura che sul matrimonio è molto chiara. Consiglierei anche di non entrare in alcuna casuistica che può facilmente generare malintesi, soprattutto quello per cui se muore l'amore, allora è morto il vincolo del matrimonio. Questi sono sofismi: la Parola di Dio è molto chiara e la Chiesa non accetta di secolarizzare il matrimonio. Il compito di sacerdoti e vescovi non è quello di creare confusione, ma quello di fare chiarezza. Non ci si può riferire soltanto a piccoli passaggi presenti in "Amoris laetitia", ma occorre leggere tutto nell'insieme, con lo scopo di rendere più attrattivo per le persone il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Non è "Amoris laetitia" che ha provocato una confusa interpretazione, ma alcuni confusi interpreti di essa. Tutti dobbiamo comprendere ed accettare la dottrina di Cristo e della sua Chiesa e allo stesso tempo essere pronti ad aiutare gli altri a comprenderla e a metterla in pratica anche in situazioni difficili.

Fonte: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/

 

 
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La Camera sta per discutere proposta eutanasica

Post n°133 pubblicato il 25 Gennaio 2017 da Veritatis1973

 

COMUNICATO  STAMPA  N. 182 DEL 25 GENNAIO 2017

 

CONTRO LA LEGALIZZAZIONE DELL'EUTANASIA: NESSUN COMPROMESSO!

 

Nel silenzio quasi generale, la Camera dei Deputati si avvia a discutere e ad approvare una proposta di legge che, dietro le rassicuranti espressioni "consenso informato" e "Dichiarazioni Anticipate di Trattamento" nasconde una esplicita e brutale legalizzazione dell'eutanasia delle persone deboli e malate, anche senza o contro il loro consenso.

Tra pochi giorni giungerà in Aula un testo, approvato da un Comitato Ristretto, il cui effettivo contenuto è taciuto, ma che è necessario che tutti conoscano.

 

Il Comitato Verità e Vita ha inviato a tutti i Parlamentari un'analisi approfondita del Progetto di legge e la mette a disposizione sul proprio sito internet.

Con i prossimi Comunicati Stampa si metteranno in evidenza i punti salienti del provvedimento.

Li enunciamo:

  • la soppressione di Eluana Englaro diventa il modello adottato dalla legge: il tutore potrà far morire il soggetto incosciente negandogli, oltre che le terapie, anche il cibo e l'acqua;
  • sarà possibile determinare la morte di neonati prematuri o disabili o affetti da malformazioni impedendo ogni trattamento intensivo neonatale;
  • anziani in stato di demenza, soggetti incapaci o privi di coscienza potranno rimanere senza le terapie necessarie per mancanza di consenso, così da giungere alla morte.

 

Questo è il fulcro della proposta: rendere possibile la morte procurata di tutti i soggetti "imperfetti" o "inutili" alla società, se non addirittura "costosi" per la società e per i loro familiari.

Una possibilità che riguarda tutti noi che, prima o dopo, avremo a che fare con malattie serie o l'età avanzata.

La proposta di legge non dà nessuna garanzia di cure adeguate. Le Disposizioni Anticipate di Trattamento funzioneranno solo a senso unico: permetteranno di interrompere le terapie anche salvavita, ma non obbligheranno i medici a proseguire in tali terapie.

 

Il principio del consenso informato, così come scritto nella proposta, e le Disposizioni Anticipate di Trattamento si risolveranno in un inganno per coloro che vi ricorreranno: la proposta non garantisce la libertà effettiva e un'informazione adeguata per chi firmerà questi fogli che potranno trasformarsi in vere e proprie condanne a morte.

Questo risultato sarà ottenuto con la garanzia per i medici di non avere nessuna conseguenza, né civile né penale.

 

La posta in gioco è molto alta: tutta la cultura basata sulla solidarietà costruita nei secoli con tanto impegno e sacrifici rischia di essere immolata sull'altare dell'individualismo più esasperato e dell'utilitarismo. La dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, sul cui rispetto si fonda la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo rischia di essere totalmente calpestata rendendo la vita umana anche dopo la nascita non più indisponibile. Sotto il velo di una presunta pietà e di una morte dignitosa si cela il progetto di poter decidere arbitrariamente il momento della morte di una persona, finora ignoto a tutti tranne nei casi in cui qualcuno decideva di porre fine violentemente alla vita di un'altra persona (omicidio) o di se stesso (suicidio).

 

Contro questa proposta occorre una presa di posizione dura basata sulla verità del suo contenuto totalmente inaccettabile e che non può non condurre i Parlamentari rispettosi della vita e della Costituzione ad una opposizione decisa, senza la ricerca di nessun compromesso.

Il Comitato Verità e Vita è una Associazione aconfessionale e apartitica. Inizia la sua attività il 28 febbraio 2004 - a seguito dell'approvazione della legge 40/2004 Sulla fecondazione extracorporea -  presenta il Manifesto-Appello "Una legge gravemente ingiusta: la verità sulla fecondazione artificiale 'in vitro' ". Pubblica nel gennaio 2010 il Manifesto Appello "Contro la legge sul testamento biologico. Contro ogni eutanasia." Sede legale: Mura di Porta Massimo D'Azeglio, 4; 40136 Bologna (BO)Telefono:  392 340 3020 Fax: 05119902255 Codice Fiscale: 91025100065 - C.C.P.: 67571448 

email: info@veritaevita.it; web: www.comitatoveritaevita.it; IBAN IT68R0760110400000067571448; 


 

 
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Il dolore innocente

Post n°132 pubblicato il 23 Gennaio 2017 da Veritatis1973

http://www.sehaisetediluce.it/fatima_20.jpg

 

Il dolore innocente e la risposta cristiana. Che c'è 

[...]

In realtà, dottrina e tradizione ci dicono che, per un credente, la risposta c'è. Dio non ha creato il male e la sofferenza, che sono conseguenze del peccato. Ecco la risposta, sconvolgente per la mentalità secolarizzata, ma inequivocabile per la Chiesa: il peccato. Un peccato al quale Dio, però, non ci abbandona come a una condanna inevitabile. Il Padre, infatti, manda suo Figlio ad assumere su di sé tutti i peccati, per sconfiggere la morte. Un'altra risposta sconvolgente, anzi scandalosa, per la mentalità secolarizzata. Ma altrettanto inequivocabile.

I due misteri, quello del male e del dolore innescato dal peccato, e quello della redenzione permessa dal sacrificio del Figlio di Dio, sono strettamente connessi.  Come spiegò Giovanni Paolo II in un'udienza generale del 1986 (10 dicembre) «il mistero del male e del peccato, il "mysterium iniquitatis", non può essere compreso senza riferimento al mistero della redenzione, al "mysterium paschale" di Gesù Cristo».  E nella «Salvifici doloris», la lettera apostolica dedicata proprio al senso cristiano della sofferenza, Giovanni Paolo II scrive: «La sofferenza deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell'uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio».

Dunque le risposte ci sono, e la Chiesa, anche di recente, le ha formulate con chiarezza. Certo, se non si fa riferimento al peccato, diventa impossibile cogliere il significato della sofferenza come richiamo alla conversione.

Il peccato, fin da quello di Adamo: ecco la risposta. Un peccato, il primigenio, che è stato di disobbedienza: l'uomo, la creatura, che pretende di fare la sua volontà e non quella del Creatore.

Si tratta di una verità che la Chiesa ha costantemente ribadito, come leggiamo nella «Gaudium et spes»: «Costituito da Dio   . . . l'uomo fin dagli inizi della storia abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio».

Ma l'uomo, Adamo, non ha fatto tutto da solo. È stato tentato da qualcuno. E da chi? Dal Maligno. Un'altra risposta inequivocabile. Perché, come si legge nel Libro della Sapienza (Sap 2, 24): «. . . la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono».

Le risposte ci sono, sono chiare. La Chiesa le possiede e le insegna da sempre.

Lungo i secoli, il problema del dolore innocente ha interpellato schiere di filosofi, teologi, scrittori, pensatori. La questione è quella alla quale gli atei fanno ricorso più volentieri per giustificare il loro non credere in Dio: se Dio c'è, ed è buono, come può permettere la sofferenza, sommamente ingiusta, dell'innocente?

Ecco, chi è senza risposte è appunto l'ateo. Ma il credente la risposta ce l'ha. Ed è una risposta che apre a infinite riflessioni. A partire da questa: il peccato fa irruzione nel mondo a opera di un solo uomo, Adamo, ma si riverbera sull'umanità intera. Allo stesso modo, il riscatto, la redenzione, è operata da un solo uomo, Gesù Cristo, ma va a beneficio di tutti. Non ce n'è abbastanza per interrogarci, in quanto credenti, sullo spessore della nostra responsabilità individuale nell'eterna battaglia tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male?

Sì, la Chiesa ha le risposte, e il suo insegnamento sorregge l'opera dei santi.

Il beato don Carlo Gnocchi, il prete che dedicò la vita ai bambini disabili, nel suo libro «Pedagogia del dolore innocente» dice che attraverso il dolore dei bimbi «si ha in mano la chiave per comprendere ogni dolore umano e consolare la pena di ogni uomo percosso ed umiliato dal dolore». Risposta alla luce della fede.

In questi casi penso sempre a quei genitori che hanno avuto figli gravemente disabili o hanno fatto l'esperienza della perdita di un figlio. Ne ho conosciuti alcuni che, dopo un primo momento di ribellione totale a Dio («perché mi hai fatto questo?»), hanno poi trovato la risposta proprio in Gesù. Ricordo in particolare una mamma che mi ha detto: «Per lungo tempo non ho capito, ma ora so che l'esperienza della malattia di mio figlio aveva ed ha un significato. Ho scoperto la solidarietà di altre persone, mi si sono aperti gli occhi su ciò che conta davvero, ho percepito la bontà disinteressata. Mio figlio non ha sofferto invano. La sua sofferenza ci ha toccato nel cuore e ci ha migliorati».

Certo, approdare alla risposta non è facile. Ma la risposta c'è. Ha un nome e un volto.

Sostenere che una risposta non c'è non è forse in aperta contraddizione con la fede di quanti, e sono tanti, l'hanno trovata proprio nel valore redentivo del dolore innocente unito alla passione di Cristo e nella partecipazione al mistero della Redenzione?

Mi scrive un amico prete: «Grazie alla Croce di Cristo, il dolore innocente non è un enigma senza risposte, ma un mistero in cui entrare con fede e speranza, alla luce della Pasqua. Il Signore non ha lasciato senza risposta lo scandalo di Pietro di fronte alla croce né la tristezza dei discepoli di Emmaus, ma spiegò loro  quello che in tutte le Scritture si riferiva a Lui e disse: "Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24, 26). Del resto Paolo, maestro di Luca, era convinto che la sofferenza, accolta nella fede, compie ciò che manca in noi dei patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24)».

Dunque le risposte, alla luce della fede, ci sono. Difficili, difficilissime da accogliere per la ragione umana, ma ci sono.

[...]

Il 29 maggio 1994, in un Angelus domenicale dai toni quasi mistici, san Giovanni Paolo II, reduce dal ricovero di un mese al Policlinico Gemelli per la frattura di un femore, parlò della sua sofferenza come di «un dono necessario», legato al mese mariano, e precisò: «Il Papa doveva trovarsi al Policlinico Gemelli, doveva essere assente da questa finestra per quattro settimane, quattro domeniche, doveva soffrire: come ha dovuto soffrire tredici anni fa, così anche quest'anno».

Il riferimento a tredici anni prima è ovviamente all'attentato del 13 maggio 1981. Poi papa Wojtyla spiega: «Ho meditato, ho ripensato di nuovo a tutto questo durante la mia degenza in ospedale. E ho trovato di nuovo accanto a me la grande figura del cardinale Wyszynski, primate della Polonia (del quale ricorreva ieri il tredicesimo anniversario della morte). Egli, all'inizio del mio pontificato, mi ha detto: "Se il Signore ti ha chiamato, tu devi introdurre la Chiesa nel terzo millennio". Lui stesso ha introdotto la Chiesa in Polonia nel secondo millennio cristiano. Così mi disse il cardinale Wyszynski. E ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo terzo millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisognava introdurla con la sofferenza, con l'attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio. Perché adesso, perché in questo anno, perché in questo Anno della famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c'è un Vangelo, direi, superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie. Volevo aggiungere queste riflessioni nel mio primo incontro con voi, carissimi romani e pellegrini, alla fine di questo mese mariano, perché questo dono della sofferenza lo devo, e ne rendo grazie, alla Vergine Santissima. Capisco che era importante avere questo argomento davanti ai potenti del mondo. Di nuovo devo incontrare questi potenti del mondo e devo parlare. Con quali argomenti? Mi rimane questo argomento della sofferenza».

C'è da restare senza fiato davanti a questo papa che, meditando sul mistero del dolore, non solo trova la risposta nel «Vangelo superiore», ma addirittura ringrazia la Vergine per il dono della sofferenza e proclama che per lui diventerà argomento privilegiato nel confronto che dovrà sostenere con i potenti della terra (la cui logica, evidentemente, è ben diversa da quella evangelica) per difendere la famiglia.

Le risposte, dunque, alla luce della fede, ci sono. E che risposte!

Aldo Maria Valli

Fonte: http://www.aldomariavalli.it/2017/01/06/il-dolore-innocente-e-la-risposta-cristiana-che-ce/ 

 

 
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Ideologia che danneggia i bambini

Post n°131 pubblicato il 23 Gennaio 2017 da Veritatis1973

 

http://www.thepublicdiscourse.com/wp-content/uploads/2015/06/McHUGH-paul1.jpg

 

La famigerata ideologia gender (genere) si insinua sempre di più nel nostro sistema giuridico e istituzionale, specialmente in ciò che riguarda la scuola, vale a dire nell'educazione dei bambini.

        Nel 2013, facendo seguito a una Raccomandazione dell'Unione Europea, il Dipartimento per le Pari opportunità del Consiglio dei ministri emanava la "Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere".

         Più recentemente, la legge chiamata "La buona scuola", approvata dal Governo Renzi il 13 luglio 2015, mentre ribadisce il concetto di "identità di genere", invita le scuole a contrasttare ogni "discriminazione" in questo campo.

        Tutto questo è molto preoccupante, non solo dal punto di vista morale, ma anche da quello strettamente scientifico. Tutta la ricerca scientifica, infatti, mostra l'infondatezza dell'ideologia di genere. In altre parole, stanno sperimentando sui nostri bambini in base a teorie che la stessa scienza rigetta.

        A mettere l'ultimo chiodo sulla bara dell'ideologia di genere è uno studio condotto dall'American College of Pediatricians, recentemente anticipato.

       L'American College of Pediatricians, per mano del suo presidente, la prof.ssa Michelle A. Cretella, del suo vice presidente, il prof. Quentin Van Meter, e con la collaborazione del prof. Paul McHugh, già primario di Psichiatria nell'ospedale Johns Hopkins, ha condotto un vasto studio sugli effetti del transessualismo e dell'ideologia di genere, soffermandosi con particolare enfasi sui pericoli per i bambini.

         Intitolato "L'ideologia di genere danneggia i bambini", lo studio dell'American College of Pediatricians smonta, pezzo dopo pezzo, l'ideologia di genere e condanna senza mezzi termini la sua diffusione, come cosa normale, nelle scuole e nella politica. I risultati saranno resi pubblici solo ad agosto, ma gli autori hanno già anticipato gli otto punti centrali del loro lavoro (https://www.acpeds.org/the-college-speaks/position-statements/gender-ideology-harms-children).

         Lo studio si basa esclusivamente su dati scientifici e biologici, mettendo in chiaro fin dall'inizio che le ideologie non vanno d'accordo con la ricerca scientifica. Riportiamo di seguito il documento integrale.

 

firma loredopicc                                                                                                                       Julio Loredo

 

 


L'ideologia di genere danneggia i bambini

 

      1. La sessualità umana è una caratteristica binaria, biologica e oggettiva. I geni "XY" e "XX" sono rispettivamente marcatori genetici di maschio e femmina; non marcatori genetici di un disturbo. La norma per il disegno umano è l'essere concepito sia maschio sia femmina. La sessualità umana è binaria per disegno, ed è ovviamente finalizzata alla riproduzione e allo sviluppo della nostra specie. Questo principio è evidente. I rarissimi disordini nello sviluppo sessuale (DSD) sono sempre deviazioni, medicalmente identificabili, dalla normale sessualità binaria, e sono giustamente riconosciuti come disturbi del disegno umano. Gli individui con DSD non costituiscono un terzo sesso.

      2. Nessuno nasce con un genere. Ognuno nasce con un sesso biologico. Il genere (cioè, la consapevolezza di sé come maschio o femmina) è un concetto sociologico e psicologico; non un fatto biologico oggettivo. Nessuno nasce con la consapevolezza di se stesso come maschio o femmina. Questa consapevolezza si sviluppa nel tempo e, come tutti i processi di sviluppo, può essere deragliato dalle percezioni soggettive della persona, dalle relazioni e dalle esperienze negative, dalla prima infanzia in avanti. Le persone che dicono di "sentirsi del sesso opposto" o "nella via di mezzo" non costituiscono un terzo sesso. Biologicamente rimangono sempre uomini o donne.

      3. La convinzione di essere qualcosa che non si è, nella miglior delle ipotesi, indica un pensiero alquanto confuso. Quando un ragazzo biologico perfettamente sano pensa di essere una ragazza, o una ragazza biologica perfettamente sana pensa di essere un ragazzo, vi è un problema psicologico oggettivo, che risiede nella mente e non nel corpo, e come tale andrebbe trattato. Questi ragazzi soffrono di Gender dysphoria (GD), in precedenza indicata come Gender Identity Disorder (GID), un disturbo mentale riconosciuto nella più recente edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell'American Psychiatric Association (DSM-V).

      4. La pubertà non è una malattia. Gli ormoni che la bloccano possono essere molto pericolosi. Reversibile o meno, il trattamento con ormoni per bloccare la pubertà produce uno stato di malattia - appunto, l'assenza di pubertà - e inibisce la crescita e la fertilità in un adolescente prima perfettamente sano.

      5. Secondo il DSM-V, il 98% dei ragazzi e l'88% delle ragazze con confusione di genere finiscono per accettare il proprio sesso biologico dopo aver superato naturalmente la pubertà.

      6. Gli adolescenti che fanno uso di ormoni per bloccare la pubertà al fine di impersonare il sesso opposto avranno poi bisogno di ormoni cross-sessuali nella tarda adolescenza. L'uso di tali ormoni (testosterone ed estrogeni) comporta gravi rischi per la salute, come ipertensione, coaguli, ictus, tumori ecc.

      7. I tassi di suicidio sono venti volte superiori tra gli adulti che fanno uso di ormoni cross-sessuali, o si sottomettono a chirurgia per cambiare sesso. Quale persona, compassionevole e ragionevole, condannerebbe gli adolescenti a questo tragico destino, pur sapendo che l'88% delle ragazze e il 98% dei ragazzi finiranno per accettare la realtà biologica, raggiungendo così l'equilibro di salute fisica e mentale?

      8. Condizionare i bambini, facendo loro credere che una vita intera di manipolazioni chimiche e chirurgiche per riuscire a impersonare il sesso opposto è normale e sano costituisce un abuso sui minori. Appoggiare una discordanza di genere come normale nella pubblica istruzione e nel campo politico provocherà solo confusione sia nei ragazzi che nei genitori. Portarli nelle "cliniche di genere" per subire trattamenti ormonali per bloccarne la pubertà costituisce un sopruso. Questo li indurrà a condurre un'intera vita fatta di uso di sostanze cancerogene e di chirurgie che mutileranno i loro corpi.

 

Michelle A. Cretella, M.D.
President of the American College of Pediatricians

Quentin Van Meter, M.D.
Vice President of the American College of Pediatricians
Pediatric Endocrinologist

Paul McHugh, M.D.
University Distinguished Service Professor of Psychiatry at Johns Hopkins Medical School and the former psychiatrist in chief at Johns Hopkins Hospital.

 

 

Newsletter dell'Associazione Tradizione Famiglia Proprietà - Gennaio 2016 - 1

 

 © Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Viale Liegi 44, 00198 Roma. Direttore responsabile: Julio Loredo.

 
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Pornotossina

Post n°130 pubblicato il 19 Gennaio 2017 da Veritatis1973

 

Pornotossina

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di Giovanni Marcotullio  

8 ottobre 2016, La Croce quotidiano

In quest'ultimo anno è la terza volta che mi capita tra le mani un libro che, di riffa o di raffa, tratta il problema della dipendenza sessuale online. Il primo è stato Dipendenza sessuale online del padre gesuita Giovanni Cucci (del quale peraltro conservo bellissimi ricordi accademici). Il secondo è stato Una gioventù sessualmente libera (o quasi) di Thérèse Hargot, che mi è tanto piaciuto da spingermi ad ingegnarmi per portarlo in Italia. Il terzo è stato Pornotossina di Antonio Morra.

 Un gesuita psicologo, una sessuologa filosofa, un webmaster predicatore: il cerchio si chiude senza che ci sia mancato niente. Qualcosa mi dice che questa storia della pornomania ha veramente i tratti di un'emergenza: Cucci analizza le costanti dei casi di dipendenza; la Hargot dedica l'intero primo capitolo del suo libro a bandire una crociata contro la pornografia; Morra spende 150 pagine per svelare i meccanismi dell'assuefazione psicologica (e biochimica, a livello di neurotrasmettitori) alla pornografia.Nessuno dei tre si ferma alla mera constatazione dello stato di fatto, anzi: il primo indica l'apporto positivo delle terapie di sostegno psicologico; la seconda la necessità di trasformare l'ora di educazione sessuale in un corso di filosofia; il terzo propone un metodo di disintossicazione dalla pornografia e lo espone step by step. Se pensiamo alle baby squillo, ai devastanti fenomeni del "sexting" e del "porn revenge", all'aumento delle violenze sulle donne e degli aborti vediamo che forse sussistono davvero gli estremi per la denuncia di un'emergenza. Difficile pensare che la soluzione consista in comandi contraddittori del tipo "guarda ma non toccare", "tocca ma non gustare", "gusta ma non ingoiare", come vorrebbero i teoreti del libertinismo pop (ed erano i comandi che nel film L'Avvocato del diavolo venivano attribuiti a Dio!), i quali sembrano per qualche motivo convinti che si possano ipersessualizzare precocemente dei bambini esponendoli alla visione di violenze sessuali esplicite e poi applicare una semplice etichetta di bon ton sulle loro eruzioni ormonali.

Antonio Morra è cresciuto nell'alveo di comunità pentecostali partenopee (altra interessantissima crasi culturale) e si è formato in università statunitensi legate alla stessa comunità ecclesiale (la FIRE School of Ministry del Dr. Michael Brown, che è pure il prefatore del libro, con sede a Charlotte, NC - USA): l'estrazione "protestante" è immediatamente evidente, per il palato del lettore cattolico, anche solo per "tic linguistici" come "insegnamenti biblici" o per la metodologia con cui vengono citati i passi delle Scritture. Un tratto che però stupisce il lettore cattolico è la completa assenza di acredine anti-cattolica: in effetti l'"anti-römischer Affekt" è una peculiarità delle arrugginite dialettiche interecclesiali europee, condizionate come sono da emimillenarie incomprensioni, guerre, anatemi reciproci. Morra è portavoce, in questo, di una comunità ecclesiale così giovane e così "leggera", quanto a struttura, da non recare i segni delle nostre vecchie faide: questo avviene soprattutto perché Morra ha qualcosa da dire, e da dire urgentemente - troppo urgentemente per poter attardarsi su antichi dissapori di famiglia.

Pornotossina è un libro estremamente asettico e oggettivo, ma nasce da un coinvolgimento personalissimo. Nella prefazione si trova la confessione di Morra: «Il mio passato mi ha portato a combattere, da credente e non credente, contro la pornografia ai limiti della dipendenza. La mia esperienza non è stata facile: momenti di buio totale intervallati da momenti di vittoria - una lotta senza tregua con Gesù sempre al mio fianco. Ci sono state tante cadute, lacrime e promesse non mantenute, ma adesso sono vittorioso in Cristo. Quindi questo libro è scritto da qualcuno che ha lottato, sofferto e perso tante battaglie» (p. 10). Come si può vedere, si tratta di una confessio nel pieno senso agostiniano del termine: il peccato di chi scrive che esalta la grazia del Dio che salva mediante il racconto della redenzione. E segue la dimensione ecclesiale, per cui il punto debole di un uomo diventa il suo talento da uomo redento, e va messo al servizio della comunità: «Abramo era vecchio, Giacobbe era insicuro, Lea non era attraente, Giuseppe subì degli abusi, Mosè balbettava, Gedeone era povero, Sansone era influenzabile, Raab era immorale, Davide ebbe una relazione extra-coniugale e ogni specie di problemi familiari, Elia voleva morire, Geremia era depresso, Giona era riluttante, Naomi era vedova, Giovanni Battista era eccentrico, Pietro era impulsivo e collerico, Marta si preoccupava molto, la donna samaritana aveva avuto molti matrimoni falliti, Zaccheo non era popolare, Tommaso aveva dei dubbi, Paolo era violento, Timoteo era timido. Dio ha usato tutte queste persone "poco adatte" per il suo servizio. Userà anche te!» (p. 11).

La prima cosa che Morra rivela dopo la sua personale confessione è che c'è un enorme sommerso di persone che vivono questa problematica e non riescono a uscirne: stando alle sue statistiche, nelle comunità pentecostali italiane in cui si reca per sensibilizzare al problema, ci sono 6 ragazzi su 10 e 4 ragazze su 10 che ammettono di vivere questa problematica. La seconda cosa che spiega è cosa caratterizza la presente emergenza rendendola qualitativamente difforme da ogni contesto in cui la pornografia è stata presente nei secoli e nei millenni precedenti: internet la rende oggi accessibile, abbordabile e anonima. Mai nella storia umana è accaduto che chiunque, purché in dotazione di una connessione al web, potesse istantaneamente accedere a una quantità tanto smisurata di pornografia, senza "metterci la faccia" e senza sborsare un quattrino (fino a vent'anni fa dovevi almeno presentarti a un edicolante). La documentarista francese ed ex pornoattrice Ovidie (pseudonimo di Éloïse Becht) ha calcolato che dal 2009 al 2015 «l'umanità ha guardato l'equivalente di 1,2 milioni di anni di video pornografici e ha visitato 93 miliardi di pagine su piattaforme gratuite», e si chiedeva se «non si stia creando una nuova forma di alienazione» (citazioni tratte dal documentario À quoi rêvent les jeunes filles?, del 2015 e visualizzabile su YouTube).

Questa inedita congiuntura di tecniche, mezzi e giri economici (perché la pornografia si fa per denaro anche se l'utente finale, non pagando in moneta, non se ne rende conto) produce uno scenario che fa somigliare le pagine di Aldous Huxley più a una cronaca che a un romanzo distopico. Cucci, la Hargot e Morra, ciascuno a modo suo, concordano: la dipendenza sessuale online è forse la più pericolosa delle "nuove dipendenze", a causa dei percorsi neurali scavati dalle potenti scariche degli ormoni sessuali - la modifica delle tracce della corteccia cerebrale rende la dipendenza particolarmente coriacea, e fa sì che il vizio (cioè l'abitudine negativa) diventi incisivo su molti ambiti della vita privata e pubblica di chi ne è affetto.

Il controllo della pornografia online è dunque una delle frontiere su cui deve combattersi la guerra aperta da questa emergenza educativa: non a caso il libro di Morra è realizzato «in collaborazione con il ministero CovenantEyes», che si occupa proprio di filtraggio dei siti internet (non si dovrebbe dimenticare, fra l'altro, che spesso il porno online è l'esca del "deep web", in cui a diventare "accessibile, abbordabile e anonimo" è ogni sorta di crimine ordito dalla malavita organizzata): l'autore sintetizza e implementa anche i contributi di Lisa Eldred, Luke Gilkerson, Matt Fradd e Sam Black, che a quel circuito fanno riferimento e che hanno arricchito il libro di una notevole quantità di dati statistici e clinici.

Il libro si articola in cinque capitoli e quattro appendici: i primi trattano rispettivamente "Il porno e il cervello", i "Cinque modi in cui la pornografia deforma la mente", i "Cinque modi biblici per rinnovare la mente (disintossicarsi dal porno)", come "Rompere la dipendenza dalla pornografia: uscire dal ciclo continuo" e "Il piano di battaglia (passi pratici)". Le seconde invece "La masturbazione", "La pornografia e i vostri rapporti sentimentali", "Che cos'hanno in comune la pornografia e l'aborto" e una pagina dedicata alla "Trasparenza cristiana: una guida alla discussione".

Anche solo a guardare l'indice si capisce la struttura della parte in capitoli: i primi tre sono strettamente collegati, e varrà la pena di soffermarsi un po' su questo; gli ultimi due rispondono ai primi nella proposta di una "road map" per l'esodo telematico ed esistenziale da questa nuova "schiavitù d'Egitto". La parte in appendici, invece, comprende argomenti importanti (e sorprendenti, come vedremo) che però non sarebbe stato possibile implementare nella prima se non a rischio di appesantire il tutto e sbilanciare il telaio del libro, che si potrebbe così sintetizzare: «Anziché giustificare i comportamenti di dipendenza con scuse neurologiche e sociologiche, quest'informazione ha lo scopo di schiudere le porte della conoscenza. La scienza ci insegna che il cervello è stato creato per imparare, e talvolta "bisogna disimparare ciò che si è imparato". Per molti, si tratta di un momento di rinnovamento della mente. Sì, il nostro incredibile cervello può talvolta lavorare a nostro svantaggio, ma è anche in grado di formare nuovi percorsi neurali e nuove abitudini positive» (p. 16).

La trasparenza è uno dei pregi del libro di Morra, che premette francamente la sua concezione della sessualità (sua e della sua comunità ecclesiale): «Il sesso è inteso per il matrimonio, e tutto ciò che esula da questo contesto - tipo i rapporti occasionali, lo scambio di contenuti sessualmente espliciti o la pornografia - va contro il meraviglioso piano di Dio» (p. 16). Può sembrare una premessa da talebani, perfino per non pochi cattolici nutriti a pane e compromessi: è invece una posizione condivisibile e condivisa anche da pensatori laici, purché capaci di interrogare il fenomeno della persona umana (ad esempio la stessa Hargot). Morra parafrasa - con toni coloriti inusuali nel contesto cattolico medio - il racconto biblico della tentazione e della caduta dei progenitori per esemplificare paradigmaticamente i meccanismi psicologici che intervengono in ciascuno di noi a corrodere l'adesione al precetto morale. Il sottotesto filosofico, chiaramente, è che il precetto non può integrarsi in una struttura personale incompiuta, ma che d'altro canto l'incompiutezza è strettamente imparentata con la finitudine creaturale della persona umana: la fessura con cui l'essere umano potrebbe comunicare con l'altro per esperire esistenzialmente un compimento che alluda alla Pienezza del suo Destino, quella fessura stessa diventa invece la breccia per cui il precetto viene disatteso e - caduta dopo caduta - diventa sempre più difficile da osservare. Considerazioni forse noiose e apparentemente fuori luogo, se uno ha preso in mano il libro di Morra con l'ansia di risolvere il proprio problema, ma ritenute dall'autore parte integrante della consapevolezza da cui parte la liberazione.

«Sia che la pornografia diventi abituale nella gioventù oppure nell'età adulta, il filo conduttore è lo stesso. La pornografia, secondo il Dr. Laaser, diventa una valvola di sfogo che viene usata per alleviare le sofferenze emotive, fisiche, sessuali o spirituali. È stata una brutta giornata? Basta una cura a base di pornografia e masturbazione, e il cervello riceve subito una scarica di sostanze chimiche che concedono una tregua temporanea. I dolori della gioventù o del passato si fanno sentire? Basta correre a rifugiarsi nella pornografia. Ben presto, la pornografia e la masturbazione diventano una parte abituale della vita, o si evolvono addirittura in quella che i terapisti definiscono una vera e propria dipendenza» (pp. 30-31). Partendo da queste premesse sociologiche, Morra si addentra nella dimensione più tecnica, anzi biochimica, della pornodipendenza: la "desensibilizzazione al piacere" avviene tramite il traviamento del percorso naturale della dopamina («il neurotrasmettitore incaricato di aiutarci a ricordare dove poter soddisfare i nostri bisogni naturali»), che indica sempre e sempre più insistentemente nella pornografia la via per la soddisfazione delle pulsioni sessuali. «La continua esposizione alla pornografia, specie per lunghi periodi di tempo, rilascia ondate su ondate di dopamina, procurando al cervello una sensazione artefatta di sballo. Infine, il cervello arriva ad un punto di esaurimento, lasciando lo spettatore con la sensazione di volerne ancora senza però riuscire a raggiungere il livello di appagamento. Questo effetto si chiama desensibilizzazione. Le gioie di ogni giorno, compreso il sesso, cominciano a "perdere forza" e il consumatore amplia i propri gusti pornografici, andando alla ricerca di materiale nuovo o più esplicito per ottenere lo stesso livello di eccitazione» (p. 33).

Ecco perché "pornotossina": il vizio delle rivistacce esiste dai tempi degli egizî fino a Playboy (e a proposito, Morra ci informa che Hugh Hefner, l'ormai novantenne fondatore della più nota rivista erotica del Novecento, riusciva a eccitarsi solo guardando pornografia e praticando masturbazione, anche nei contesti più "paradisiaci" che il Corano possa prefigurare a un uomo), ma niente poteva preparare l'umanità alla micidiale sovraesposizione sessuale cui è ora sottoposta. Questo aspetto riveste un'importanza particolare che fa del libro di Morra (come di quello di Cucci e di quello della Hargot) uno strumento utilissimo per prendere coscienza di un fatto: noi che accendiamo il televisore, controlliamo la posta elettronica, andiamo in bici per le città e prendiamo la metro, tutti noi siamo continuamente intossicati da pubblicità ipersessualizzate che impongono subliminalmente non solo i canoni della bellezza estetica, ma anche quelli del piacere erotico. Naturalmente, se questa esposizione non è "corroborata" dalla masturbazione, che rilascia testosterone, norepinefrina e ossitocina nei solchi aperti dalla dopamina, l'intossicazione sarà meno grave, ma resta il fatto che chiunque viva e si muova nelle nostre società (del mondo sedicente libero) è per questo stesso fatto esposto alla contaminazione da pornotossina. Commentando uno studio rilevante nei capitoli successivi, Mary Anne Layden osservava: «Quando fu realizzato questo studio, quello che era stato definito Gruppo ad Esposizione Intensa [da pornografia, n.d.r.] - cioè, quelli che avevano guardato cinque ore di porno per un periodo di sei settimane - oggi potrei definirlo il Gruppo della Normalità Quotidiana».

Proprio per via di questa componente biologica e biochimica, Morra indugia anzitutto sul rapporto tra pornografia e cervello. Poiché però «il nostro cranio è ben più di un contenitore di sostanze chimiche» (p. 43) la questione non può ridursi alla mera dipendenza da sostanze, e la chiave d'uscita sta proprio nella mente, che mentre esprime il supporto del cervello ne trascende la finitudine aprendosi alla dimensione spirituale del sé.

A suon di statistiche e indagini sociologiche, l'autore documenta quindi le cinque vie in cui la pornografia inquina la mente: essa inquina il sesso, inquina i rapporti, inquina le donne, inquina la giustizia (proprio in senso penale!), uccide la libertà. A queste cinque vie d'inquinamento, Morra fa seguire le cinque vie di "disintossicazione biblica" da pornografia: qui sta uno di quei "tic linguistici" cui mi riferivo sopra, perché l'aggettivo "biblico" non si riferisce strettamente alla frequentazione delle Scritture (anzi, solo la seconda di queste vie è "biblica" in senso stretto). Morra intende qui, per "modi biblici" di disintossicazione, delle "vie ispirate alla Rivelazione cristiana così com'è veicolata nella Scrittura e interpretata dalla viva tradizione della Chiesa" (ecco, così c'è qualche tic linguistico cattolico, forse, ma basta capirsi). Questi cinque modi sono: responsabilità e trasparenza (avere un confidente o mentore con cui aprirsi e un gruppo ristretto per il confronto e l'esortazione reciproca); assimilazione delle Scritture; esercitarsi nei piaceri puri e buoni; stabilire una vera relazione spirituale con Dio, che conosce i cuori e può guarirli da ogni malattia; alimentare la speranza della giustizia.

Ora, ciascuno di questi "modi" meriterebbe molte considerazioni, ma un rilievo complessivo va fatto: da questo approccio si vede non solo il solido realismo sottostante al libro di Morra, ma pure la non trascurabile sapienza che lo innerva, perché si promuove di fatto un'etica delle virtù che ripari la devastazione di un vizio, e lo si fa con un'oculata declinazione di quella che Giovanni Paolo II chiamava "legge della gradualità". A dispetto del presunto fondamentalismo di cui spesso sono tacciati non pochi predicatori evangelici, il battente rimando alle Scritture non è per Morra un'occasione per minimizzare la complessità della liberazione dalla pornodipendenza, né porta a dimenticare i tempi talvolta lunghi che una piena disintossicazione richiede: a lettura avanzata si riporta perfino un diagramma che rappresenta il ciclo della dipendenza come è stato schematizzato da Phil Monroe, e si forniscono utili accorgimenti a cui attenersi per tenere alta la guardia sulla propria dipendenza.

Soprattutto nel capitolo quinto, però, ho avuto l'impressione di star leggendo qualcosa di ispirato agli Esercizi Spirituali di sant'Ignazio di Loyola: l'autore, da me interpellato in merito, ha negato di aver mai fatto o letto gli Esercizi, anche se non esclude che alcuni dei suoi collaboratori di CovenantEye possano avervi attinto. In effetti, si parva licet magnis comparare, Pornotossina e gli Esercizi Spirituali hanno almeno due cose fondamentali in comune: l'una e gli altri sono stati scritti per accompagnare le persone a «vincere sé stesse e a mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna affezione che sia disordinata» (annotazione 21 agli Esercizi Spirituali). In positivo, poi, entrambe le proposte consigliano di prendere coscienza del proprio stato di miseria per poi confortarlo con la contemplazione del Mistero della salvezza rivelato in Cristo e con l'annotazione costante e metodica degli effetti della suddetta contemplazione (all'illustrazione di questo metodo è dedicato il capitolo quinto).

Un ulteriore punto di contatto tra le due opere, non me ne vogliano i lettori troppo pii, sta poi nello stesso punto di partenza: gli Esercizi Spirituali nascono dall'esperienza religiosa di Ignazio, la quale ha inizio il giorno in cui il soldato di Loyola, allettato dopo un intervento chirurgico, chiese per passare il tempo dei "romanzi cavallereschi" (genere ben ricco di contenuti erotici), ma essendo il luogo della degenza privo di simili letture glie ne portarono di devote (una Storia di Cristo e delle Vite dei Santi). Il confronto delle sensazioni di differente piacere e di differente amarezza dopo queste letture, con quelle provate rispettivamente dopo le letture di avventure erotiche, fu il primo passo mosso da Ignazio verso la propria mirabile esperienza di Dio (e verso l'immenso tesoro che è la Compagnia di Gesù per la Chiesa e per il mondo). Pensiamo che valga la pena segnalare il libro di Morra anche per questa assonanza che, se forse non è voluta, certamente è indice di qualità.

Un'ultima segnalazione dobbiamo farla tra le appendici, delle quali la terza è dedicata all'inquietante legame sussistente tra pornografia e aborto: «Se guardi la pornografia - si sentì dire un giorno Morra in un seminario a Nashville - stai bevendo dallo stesso pozzo dell'aborto». Una dichiarazione scioccante, che però l'autore sostanzia e argomenta in modo tutt'altro che peregrino: «Migliaia di uomini, indeboliti dalla vergogna che porta la pornografia, non sono più in grado di difendere i deboli. È difficile prendere posizione per la tutela dei bambini e delle donne quando la notte prima eri attaccato ad uno schermo di un computer (tablet o cellulare) guardando come la pornografia vittimizza e oggettivizza queste ultime.

La nostra società è in continuo dibattito su come arginare il fenomeno degli stupri e degli abusi. Discutendo da varie cattedre, dimentichiamo le scene emanate dagli schermi di migliaia di gadget che incitano alla più perversa depravazione: le violenze di gruppo (gang bang) sono tra i video più cliccati nell'emisfero del porno. Il futuro del porno è sempre più oscuro.

Tanti credono che la pornografia sia solo un'innocua fantasia. Il sociologo e ricercatore Dr. Gail Dines puntualizza che il porno più "popolare" dei nostri giorni sprigiona un'enorme odio verso le donne, denigrandole di ogni dignità fisica e mentale.

Se ogni notte milioni di uomini disumanizzano le donne sugli schermi dei loro computer, quanto semplice sarà disumanizzare il frutto dei loro grembi? Quanto semplice sarà rendere oggetto un bambino non ancora nato?».

Riteniamo che Pornotossina sia un libro utile a chi sta forse annaspando in una dipendenza inedita nella storia e rischia di restarne schiacciato. Esso sarà però un testo utilissimo per tutti, uno strumento di sensibilizzazione per una rivalutazione del pudore: prima o poi il mondo si accorgerà che una sessualità casta dev'essere anche, tra l'altro, molto più appagante. E per questo, se c'è un Dio ce ci ha creati per essere felici, anche a Lui piace così.

Fonte: Federico Bonuccelli

 

 
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