Ali della Notte

da leggere tra le righe


Non è mio il pezzullo che segue, ma mi ci riconosco. Completamente.Arrivi trafelato alla stazione, hai corso, è notte e sei convinto che non passerà più nessun treno. L’ultimo è partito, sei già rassegnato a trascorrere la notte all’addiaccio. Invece, da lontano, vedi due coni luminosi che fendono l’oscurità. Il treno si avvicina, non è solo in transito come spesso capita, ma si ferma e fai in tempo a salirci. E’ riscaldato, è comodo, pensi che finalmente ti porterà a destinazione, anche se non sai esattamente qual è la tua destinazione, ma l’importante è viaggiare e stai viaggiando. Nel tuo entusiasmo non ti sei accorto che non è un treno veloce, ma un locale che avanza lento, tossisce in continuazione e si ferma, definitivamente stavolta, dopo due sole stazioni. Ha finito la sua corsa e tu devi scendere. Di nuovo una stazione fredda, di notte. Era quello l’ultimo treno, l’hai preso e ora non ne passano più. Quella stazione è da allora fuori servizio e tu ci sei rimasto. Non passeranno altri treni, la stazione cade a pezzi a poco a poco, tra i binari crescono erbacce e sterpaglie e, all’orizzonte, da entrambi i lati non c’è nulla in vista. Te ne farai una ragione: alle notti all’aperto ci si abitua e di giorno, scopri, il paesaggio non è poi tanto male. Più passano gli anni, più ti sembra bello così: l’abitudine ha creato una nuova normalità.  ______________________________ Quello che hai fatto, lo rifarai. Lo rifarai domani, dopodomani, tra una settimana, un mese e un anno. Il sentiero disegnato dai tuoi stessi passi è il sentiero che percorrerai, non importa quanto ti annoi la vista dello stesso paesaggio, non importa il senso di scoraggiamento per il ripetersi di ciò che è sempre uguale. Diminuzione delle possibilità, il loro capitale si assottiglia e se, in potenza, potresti fare tutto - ti illudi di potere fare tutto -, in realtà sei una bomba a orologeria pronta a esplodere. Prima dell'esplosione non farà altro che ticchettare placida. Oh, certo: ci saranno momenti in cui il tessuto delle solite azioni quotidiane rappresenterà qualcosa di simile a un senso o a uno scopo nella vita e per fortuna che il movimento meccanico della macchina finirà, spesso, per ottundere le sensazioni, di modo che non t'interrogherai, ti adagerai e non ci penserai più. Per un altro po', almeno fino al salto successivo, quando tutta la realtà si rivelerà di colpo ai tuoi occhi e tu ti chiederai: "Ma che ci faccio qui?". Lo stupore della prima volta, l'ignoranza della prima volta accoppiati al disgusto dell'ennesima replica. E la domanda immediatamente dopo sarà: "Andrà avanti così?". A forza di vedere dieci, cento, mille volte, l'occhio si abitua a tutto, fino alla scossa che, una volta e una volta sola, lo fa vedere meglio, lo fa vedere davvero e gli fa vedere la realtà che aveva ricoperto dei veli della misericordia perché tu non capissi più dov'eri e ti lasciassi trascinare, oggetto tra gli oggetti, senza più memoria. Quante volte ti sei detto che c'era tempo e modo di cambiare, ma continuavi come sempre, persistendo nel tuo errore privato; ti sei immaginato altri luoghi e altri tempi, e sei rimasto lì, a fare colare il tuo tempo al setaccio; ti sei inventato altre voci, hai popolato il tuo cervello di altre identità, ma tu eri lì, impassibile, a farti cavare i lineamenti dal tempo. Lucido, ora sei intrappolato nel pensiero statistico che ti dice, appunto, che quello che hai fatto continuerai a farlo. Vedi altra soluzione? No, non vedi altra soluzione. Impegni, rituali minimi, sicurezze da utero della bestia, pancia piena e cervello a intermittenza. Oggi, domani e via così. Giri la stessa ruota di sempre, non c'è un pensiero fuori dal pensiero: il pensiero è quello e tu ci sei dentro, come un topo nella sua gabbia. Ottuso, macini il tempo e il tempo macina te.