Viburno rosso

Microscopiche felicità


 Non fermano il cuore, né lo accelerano abbastanza da fargli inseguire un desiderio.Non scombinano l’ordine, non mettono pace nel disordine. Insomma, non cambiano certo la vita.Troppo esili per essere trattenute, ma appariscenti quel che basta per non passare inosservate.Illuminano l’esistenza come il flash di una macchinetta fotografica, che immortala la torta un attimo prima che il festeggiato soffi sulle candeline. O un attimo dopo.Fuori tempo utile per un solo istante. Così da lasciare la sensazione che sarebbe bastato uno scatto ad afferarle.Non servono quasi a nulla. Se non che a rendermi consapevole della fragile inconsistenza delle cose che hanno il potere di accendermi un sorriso.Ieri, per esempio, me ne è capitata una. Una microscopica felicità, capace di inondare di luce il tratto Piramide-Marconi.Sono uscita di casa con il solito irrecuperabile ritardo, e invece di accumularne altro, come la meccanica del traffico impone, sono arrivata alla metro con 10 minuti di inspiegabile anticipo. Sono riuscita a prendere la corsa precedente alla solita e alla fermata Piramide è salito il mio musicista ambulante preferito, un bravissimo chitarrista sudamericano che incrocio da anni ma putroppo assai di rado, e che in virtù di questa rara ma felice combinazione, coerentemente con il mio apotropaico razionalismo, ho inserito da tempo tra i segnali di buon auspicio per la giornata.  Non so come faccia, ma quell’uomo riesce sempre a indovinare la musica che mi suona dentro: Canta, canta, canta que tu dicha es tanta que hasta Dios te adoraCanta, canta, canta palomita blanca mientras mi alma llora