2 passi tra le righe

"Da una vita perfetta" di Silvia Avallone


Lui scriveva. Avrebbe potuto passare ore in quella posizione scomodissima, pur di osservare Adele mentre sparecchiava, e immedesimarsi in lei. Prima i piatti, poi le posate: era in grado persino di prevedere i suoi gesti. Di rado le confidava qualcosa, anche solo per finta, con il pensiero; accadeva quando sua madre aveva una ricaduta e si sentiva solo. Ma il più delle volte rispettava il rigoroso ruolo che si era dato: quello del narratore esterno. Che al massimo simpatizza, ma non giudica e non interviene ... Adele non poteva saperlo, come del resto non sapeva un mucchio di cose, ma lui la considerava un'amica da molto tempo. E non una qualunque. Sentiva con lei un legame più puro, come accade tra gli amici di penna. Più esclusivo, come tra uno scrittore e il suo personaggio principale.Esagerò con il rossetto. S'infilò il tailleur elegantissimo con la camicia di seta che aveva indossato solo una volta, alla laurea. Rivoleva se stessa a vent'anni, la guerriera, ed era la prima volta che se ne accorgeva. Eppure voleva anche una Dora nuova, che non conosceva ma che forse stava nascendo. Una donna in grado di accettare un fallimento, e andare oltre.Li aveva letti, i libri consigliati durante gli incontri. Lo sapeva che i genitori sono coloro che ti hanno cresciuto, educato, amato. La conosceva, la differenza tra padre naturale e padre adottivo. Tra madre "di pancia" e madre "di cuore". E gli era chiaro che al centro doveva esserci il bambino, solo lui con il suo dolore, e non i sentimenti degli aspiranti genitori adottivi. Ma lui non ce la faceva, ecco.A ricordarlo, il giorno più bello della propria vita, gli veniva da piangere e da spaccare il muro. Erano entrati nella biblioteca di Italianistica prima di rincasare, ubriachi di avventura. Scaffali di legno fino al soffitto e sale affrescate. Con le vertigini, tanti libri c'erano. Avevano cercato nell'inventario, recitato alla perfezione. E dalla pancia di quel luogo favoloso era risalito in superficie questo, che stringeva tra le mani. Si sedette, lo tenne a lungo sulle ginocchia. All'estate in cui l'avevano letto, no, non ci poteva pensare. Trenta pagine a testa. Di mattina e di pomeriggio. Sui tetti, negli scantinati, sui marciapiedi. Tra un furto di alcolici, una partita a pallone e un copertone a cui dare fuoco. Leggevano ad alta voce. E non c'erano più padri assenti nè madri stanche nè figli troppo unici e troppo soli.- Posso dirti che ci sono quindicenni che hanno accoltellato per due grammi di fumo, ma credo che cambierebbero vita se avessero una madre ad aspettarli. Ho conosciuto un bambino di sei anni in una casa famiglia, che quando è stato adottato ha voluto essere attaccato al seno, e sbucare fuori da una maglietta simulando il parto. Per riprendersi quello che gli avevano tolto. Non ce n'è uno, anche adolescente, abusato o violento, che sia da considerarsi perso. E' che se da bambino non sei amato, poi non esisti.-Cos'è una colpa. Cos'è un destino. "Il processo" era rimasto incompiuto. Il finale "Karamazov" era completamente aperto. Dora si alzò dalla sedia su cui si era raccolta per frenare il cuore, per racimolare le forze. Le ultime sì, ma le doveva usare. - Io non lo so -cominciò. - Cosa serve di preciso per formare la madre, la famiglia "migliore". Non ho studiato medicina nè chimica nè psicologia. Insegno letteratura, finzioni. Non corro i cento metri, non nuoto. - ... - Sono nata senza una gamba, è vero. Perchè mia madre in gravidanza fumava. Perchè un gene non ha funzionato. Vai a saperlo, non mi interessa. Ma vi assicuro che quel "senza" ha contato più della gamba che avrei potuto avere. Che è grazie a quel "senza" se sono qui e non cedo. E voglio prendere in braccio mio figlio, un giorno, e aiutarlo a fare i conti con tutti i senza che si troverà davanti, con tutti i senza che lo hanno già segnato. - ... - Ci ho messo trent'anni a capirlo, ma non è una colpa. -Quando qualcuno ti abbandona, e lei lo sapeva bene, ti lascia in eredità un vuoto. Che rimane lì, tra le costole, e non c'è modo di mandarlo via. Però, le disse. Tu avrai una vita intera per costruirci intorno delle cose belle. Sai, io non conto niente alla fine. E' il mondo dove andrai ad abitare che conta. Un giorno ripasserò di qui, tra cinque, sei anni, te lo prometto. E la bambina più bella che vedrò giocare, anzi non la più bella, la più felice, penserò che sei tu.A me non piace il futuro, avrebbe voluto rispondergli. Ma si limitò a sospirare alzando gli occhi al cielo, come a dire: Si, tutte quelle abolizioni - della punteggiatura, degli aggettivi - erano proprio una stronzata. Lo seguì con lo sguardo attraverso il fiume degli altri. Era così alto, aveva quei capelli lisci e folti che gli scendevano fino alle sopracciglia, e quella sciarpa a righe arrotolata male che lo faceva sembrare un bambino bisognoso di affetto. il "suo" affetto.Adele immaginò questa ragaza della sua stessa età, questa estranea ben vestita, istruita, che provava a cercarla. E niente. Si sarebbe chiesta: Chi è la persona che mi ha lasciata lì, come una cosa? Perchè lo ha fatto? Senza uno straccio di nome. Forse sarebbe arrivata a domandare in ospedale , a setacciare i faldoni. O forse no, perchè la sua famiglia vera sarebbe stata lì, al suo fianco, a volerle bene. A quella ragazza che però non era una sconosciuta, perchè era Bianca. E l'aveva attaccata al seno, le aveva accarezzato la testa.