Il Sole di Stagno

"Ed ora chi si prenderà cura di te? E, tu, cosa farai?"


“E il mondo è invece quello dei vivi, perché soltanto lì c’è la vita: sofferenze, patimenti, piccole gioie, felicità, lacrime di nostalgia e di rabbia. E la morte (“Le lacrime degli eroi” di Matteo Nucci, Einaudi)".  C’è un senso di straniamento all’uscita di “La grande bellezza” l’ultimo film del regista napoletano Paolo Sorrentino, perché questa pellicola si metabolizza tardi e bisogna un po’ pensarci su. C’è una Roma contemporanea borghese e falsamente intellettuale fatta di commediografi falliti, scrittori falsamente di sinistra, imprenditori arrapati, cardinali dispensatori di ricette, nobili decaduti o riccastri. In questo Circo dei miracoli si staglia la figura di Pep Gambardella – interpretato dall’usuale grande Toni Servillo - uno scrittore napoletano che ha al suo attivo un solo romanzetto e che ora vive facendo il critico d’arte e giudicando gli altri artisti o pseudo tali. Le feste a base di cocaina e le serate sulle terrazze romane ritmano il tutto. Pep è furbo, cinico, distaccato, ma alla festa dei suoi 65 anni c’è un passaggio in cui sente che il resto della vita è già passato: arriva la sofferenza e non riesce a capirla. Molti – prima di vedere il film – hanno insistito su una sorta di remake del felliniano “La dolce vita”, ma lì c’era solo una grande ostentazione del vuoto. Nel film di Sorrentino ‘la grande bellezza’ è quella più piccola: è la scoperta della pietas verso i sofferenti nel viaggio di curiosità di Pep. Solo piccoli squarci di bellezza che si aprono, ma solo a chi ha occhi per vedere, nel chiacchiericcio di chi parla in terza persona, di chi va ai funerali perché sa che lì c’è il meglio dell’actors studio, nelle ex dive della Tv che escono disfatte dalle torte, di chi va a guardare il relitto della Concordia. Bella la scelta di Sorrentino di fare uscire di scena Ramona – Sabrina Ferilli – con un pudore che ci restituisce la forza della morte. Pep-Ulisse che nell’assalto di Troia aveva usato la furbizia dell’eroe, ora nel viaggio di ritorno alle radici della sua prima essenza diviene l’uomo dell’Odissea e capisce che la vera bellezza è abscondita. In definita “La grande bellezza” non è un film che mette in contrasto stridente la stratificata bellezza di Roma con il circolo felliniano dei gaudenti senza futuro. Ma è un viaggio all’interno dell’uomo liquido e globalizzato dell’oggi che urla: “Schettino cosa fa?”, mentre in silenzio le unioni felici bevono un calice di vino e vanno a letto. Vincenzo Aiello