Il Sole di Stagno

"Era il nostro Pontiggia"


Oggi 2 dicembre è morto lo scrittore napoletano, ma meno napoletano degli altri, Giampaolo Rugarli. L’ultimo suo libro che avevamo letto “Il battello smarrito (pagg. 167, euro 17, Marsilio)” ci aveva restituito il Rugarli migliore: quello di "Andromeda e la notte". Era una favola disperata su come il mondo odierno distrutto dalla comunicazione e senza più dialogo nei sentimenti stava andando alla deriva verso una bonaccia senza nostromi. Giampaolo Rugarli in questo viaggio della disperazione ha il tempo di spiegarci che la vera pazzia è la perdita del cervello che agisce da freno sugli altri istinti ma che poi la vera felicità è data dal non rispetto delle regole e dal ricercare il paradiso e l'infinito nei seni di una donna. Tra le righe bacchettava gli attuali romanzieri che scrivono solo gialli saccheggiando le cronache giudiziarie e la nera. Forse - come in Andromeda e la notte - la vera felicità è quel disegno infinito e continuo di stelle che accelerano i nostri sensi ed i nostri sogni di cui siamo fatti e che forse sono l'unica cosa che resta nel niente del niente della fine delle storie. Nato a Napoli il 5 dicembre 1932 si trasferì con la famiglia a Milano negli anni quaranta. Laureato in giurisprudenza, lavorò in una grande banca del nord dal 1955, venendo trasferito a Roma per la sua attività nel 1967, divenendo poi Direttore della Sede romana dell'Istituto nel 1972. Rientrato a Milano, diventò capo della Esattoria Civica, ma la sua esperienza si concluse quando ravvisò gravi irregolarità che segnalò all’Autorità competente. Dopo un periodo di punizione in una specie di reclusorio della banca (queste vicende sono state raccontate da Rugarli nella Introduzione del libro Diario di un Uomo a Disagio), venne nominato capo dell'Ufficio Studi. In questa veste fondò con l'Editore Laterza, e diresse, la Rivista Milanese di Economia, con i contributi di Claudio Magris, Pietro Citati, Claudio Cesa, Mario Monti e altri importanti intellettuali ed economisti. Alla fine del 1985, lasciò il lavoro in banca e cominciò a dedicarsi unicamente alla attività di scrittore (che aveva condotto privatamente nei lustri precedenti), pubblicando oltre 20 opere, tradotte in più lingue. Vincenzo Aiello