La narrazione d’esordio del quarantenne sociologo puteolano Rosario Zanni, “Mal’aria – Colerosi, affamati e ribelli di fine ‘800 (Stampa Alternativa/Nuovo Equilibri; pagg. 264, euro 15)” è un romanzo storico che partendo dall’episodio realmente accaduto dell’epidemia di colera avvenuta a Pozzuoli nel 1887, e che costrinse i paria della contrada vinifera “in un panico di tufo e carne”, ci racconta le vicende della famiglia popolare allargata dei Pollio. Il tutto partendo dagli occhi di una bambina di nove anni Luigina , figlia del capostipite Gennaro Pollio, che nella malattia del padre vede il riflesso della cattiveria del mondo. Ma c’è chi resiste come il figlio Giacomo e la madre Maria Angela che organizzano la resistenza contro i linguaggi dei prefetti e dei medici e contro gli untori veri e presunti che generano lazzaretti in progress che servono solo a giustificare economicamente gli ingenti utilizzi di costosi distillati. Queste “energie baldanzose e puerili” incroceranno tante storie di lavoratori ancora in balia di curati e di garibaldini che cercano la consapevolezza della loro condizione, presagendo nelle rughe di Giacomo Pollio che un mondo – quello rurale – sta per finire e che presto nascerà una prima industrializzazione, figlia di un’incerta modernità. Questa classe di malasalariati incrocerà la loro protesta contro i ceti dei notabili e degli affaristi che l’ordine costituito contribuirà a spalleggiare con la leva dell’ordine pubblico manovrato per gli interessi di quelli di sempre. In tutto questo affresco storico-sociale Zanni ha innestato anche la vicenda d’amore di Giacomo Pollio con Rosa Bonito giovane apprendista sarta, virgulto di bellezza popolana, che sarà contesa dal cavatore del Rione Terra e dal giovane borghese Procolo De Simone. Insomma in questo esordio dell’autore puteolano c’è una felice unione di Storia e di storie minime e quotidiane che vengono tenute insieme da una lingua leggera – ma mai banale – che ha un pregio che emerge prezioso: quello di sapere disegnare non solo le connessioni tra le persone e le cose, ma soprattutto quello conseguente degli stati d’animo dei protagonisti, con una profonda conoscenza della loro umanità. I lettori potranno rintracciare, e trarne giovamento, queste scansioni cesellate di sentimenti comuni come la rabbia, l’odio e la voglia di azione, soprattutto, nel rapporto altalenante della giovane coppia Rosa-Giacomo. In tutto questo Zanni cuce i suoi riferimenti sociali – Denza, Munch, Richardson – e quelli sociali e politici di un’epoca di trasformazione – il mazziniano Ettore Cuocolo; il collettivista Domenico Plinio -, con delicatezza narrativa che non appesantisce l’ordito di quello che è un romanzo storico particolare nella produzione meridionale, che non riusciamo ad avvicinare a nessuno di quelli che da De Roberto a Striano fino alla Orsini Natale, abbiamo letto. Forse per la maestria dell’autore che più che al genere – puro espediente narrativo - strizza l’occhio con la lente celiniana della memoria storica, più che a quello che è già accaduto, alla nostra attualità potilico-sociale, sempre più confusa. “Mal’aria vuole dire colera, ma anche mancanza di lavoro e l’unica solitudine possibile è quella che temprava il corpo allenava la mente. Era il cuore, l’istinto, la pellaccia e la fatica ad indicare loro il torto e la ragione: un principio di realtà, una parvernza di perché” Solo così forse “la vita può rimettersi all’opera per espropriare la morte”.Vincenzo Aiello
"Resistere, resistere"
La narrazione d’esordio del quarantenne sociologo puteolano Rosario Zanni, “Mal’aria – Colerosi, affamati e ribelli di fine ‘800 (Stampa Alternativa/Nuovo Equilibri; pagg. 264, euro 15)” è un romanzo storico che partendo dall’episodio realmente accaduto dell’epidemia di colera avvenuta a Pozzuoli nel 1887, e che costrinse i paria della contrada vinifera “in un panico di tufo e carne”, ci racconta le vicende della famiglia popolare allargata dei Pollio. Il tutto partendo dagli occhi di una bambina di nove anni Luigina , figlia del capostipite Gennaro Pollio, che nella malattia del padre vede il riflesso della cattiveria del mondo. Ma c’è chi resiste come il figlio Giacomo e la madre Maria Angela che organizzano la resistenza contro i linguaggi dei prefetti e dei medici e contro gli untori veri e presunti che generano lazzaretti in progress che servono solo a giustificare economicamente gli ingenti utilizzi di costosi distillati. Queste “energie baldanzose e puerili” incroceranno tante storie di lavoratori ancora in balia di curati e di garibaldini che cercano la consapevolezza della loro condizione, presagendo nelle rughe di Giacomo Pollio che un mondo – quello rurale – sta per finire e che presto nascerà una prima industrializzazione, figlia di un’incerta modernità. Questa classe di malasalariati incrocerà la loro protesta contro i ceti dei notabili e degli affaristi che l’ordine costituito contribuirà a spalleggiare con la leva dell’ordine pubblico manovrato per gli interessi di quelli di sempre. In tutto questo affresco storico-sociale Zanni ha innestato anche la vicenda d’amore di Giacomo Pollio con Rosa Bonito giovane apprendista sarta, virgulto di bellezza popolana, che sarà contesa dal cavatore del Rione Terra e dal giovane borghese Procolo De Simone. Insomma in questo esordio dell’autore puteolano c’è una felice unione di Storia e di storie minime e quotidiane che vengono tenute insieme da una lingua leggera – ma mai banale – che ha un pregio che emerge prezioso: quello di sapere disegnare non solo le connessioni tra le persone e le cose, ma soprattutto quello conseguente degli stati d’animo dei protagonisti, con una profonda conoscenza della loro umanità. I lettori potranno rintracciare, e trarne giovamento, queste scansioni cesellate di sentimenti comuni come la rabbia, l’odio e la voglia di azione, soprattutto, nel rapporto altalenante della giovane coppia Rosa-Giacomo. In tutto questo Zanni cuce i suoi riferimenti sociali – Denza, Munch, Richardson – e quelli sociali e politici di un’epoca di trasformazione – il mazziniano Ettore Cuocolo; il collettivista Domenico Plinio -, con delicatezza narrativa che non appesantisce l’ordito di quello che è un romanzo storico particolare nella produzione meridionale, che non riusciamo ad avvicinare a nessuno di quelli che da De Roberto a Striano fino alla Orsini Natale, abbiamo letto. Forse per la maestria dell’autore che più che al genere – puro espediente narrativo - strizza l’occhio con la lente celiniana della memoria storica, più che a quello che è già accaduto, alla nostra attualità potilico-sociale, sempre più confusa. “Mal’aria vuole dire colera, ma anche mancanza di lavoro e l’unica solitudine possibile è quella che temprava il corpo allenava la mente. Era il cuore, l’istinto, la pellaccia e la fatica ad indicare loro il torto e la ragione: un principio di realtà, una parvernza di perché” Solo così forse “la vita può rimettersi all’opera per espropriare la morte”.Vincenzo Aiello