Il Sole di Stagno

"Se una notte d'inverno uno scrittore"


E’ una storia che parla della verosimiglianza, della realtà (o delle molte realtà) e del mondo editoriale questo “Sistema Elefante (pagg. 64, euro 9, Punctum Roma)” l’ennesimo esordio letterario da Napoli: quello del 32enne Cristiano de Majo, oramai lavorativamente di stanza a Roma. Come in un racconto di Calvino ci sono quattro storie di scrittori - il serbo trapiantato a Roma nel 1985 Dejan Kovac; “Il tossico” nella Berlino del 1994; l’ “Uomo bruciato” in una Parigi del 2000 ed uno scrittore di successo, Richard Cartwright, in una Londra del 2006 – che asseriscono di avere scritto un libro che nelle loro diverse lingue è sempre la traduzione di “Sistema elefante”. Solo dopo la lettura dell’ultima pagina il concatenarsi di quattro storie bene costruite dall'autore, lascia l’effetto di confusione spazio-tempo con cui aveva avvolto il lettore, per delinearsi come un duro pamphlet contro il sistema editoriale che non legge più i libri disperati e veri e pieni di quella verosimiglianza individuale che è l’unica vera realtà autentica, ma che stronca nella prima storia lo scrittore borderline Dejan Kovac, che finisce a drogarsi seguendo altre realtà fittizie; nella seconda costringe “Il tossico” a darsi fuoco e nella terza l’ “Uomo bruciato” ad un salto nel buio. Non migliore sorte ha il grande baro Cartwright che chiude il libro abbandonato da tutti con la certezza che “la realtà delle cose non avrebbe avuto più importanza”. Perché – si chiede fra le righe de Majo – l’editor Alberto Raviola boccia il “Sistema elefante” di Kovac e si spinge a rinfacciare allo scrittore stile, uso della lingua, merito dell’opera provocando il fallimento che genera la sparizione dal mondo? E de Majo si risponde in un altro luogo del suo libro – e con un’altra storia – quando un'altra editor, la francese Sonia Cassin delle Edizioni parigine X, i libri li commissiona direttamente a Bruno Rohmer raccomandandogli già oggetto – fittizio – della storia e collegando già un tot di copie prevedibilmente vendute all’evento falso. Tutto questo fa de Majo con una lingua realmente fresca anche se curata letterariamente e che nell’intersecarsi dei quattro racconti-romanzo non fa perdere al lettore la voglia di concludere questo strano libriccino – editorialmente; per numero di pagine e struttura – che diverte con le sue trovate e che non disdegna, in questo tempo anche narrativamente prosaico, la ricerca di veraci arcobaleni di poesia. La speranza è che ci sia sempre almeno un lettore che non lasci ai margini questi Bartelby involontari come de Majo che in questi tempi editoriali di patinato pattume globalizzato sfornano storie narrativamente esemplari, con strutture originali e che hanno un senso reale comprensibile all’uomo della strada che non abbia perduto il gusto di una non morbosa curiosità.Vincenzo Aiello