Il Sole di Stagno

"Curre, curre guagliò"


    Era diventata quasi un’abitudine. Dico quella di fare per due volte la settimana quei 40 minuti di corsa. L’idea era venuta proprio a lui il giornalista quando in un treno pomeridiano di pendolari tristi aveva rivisto il vecchio amico del calcetto giovanile che ora faceva il commercialista. “Tito, non possiamo arrenderci a trenta-quarant’anni! Dobbiamo riprendere la corsa” aveva detto Vincenzo. Qualche altro incontro occasionale e feriale aveva fatto il resto. Ed erano partiti pieni di entusiasmo: c’è sempre quest’elemento in ogni partenza. Poi erano arrivate le prime difficoltà legate agli orari da incastrare nel quotidiano e caotico mestiere di vivere odierno fatto di velocità e di insoddisfazioni. Poi i primi dolori alle caviglie, ginocchia ed affini. “Si sa quando si sta fermi per anni… “. Dopo un po’ però i nostri avevano ottenuto i primi risultati: qualche treno preso a volo come quelli mattutini dei primi anni d’università, la ragazza che ti dice: “Sei dimagrito?”. Diciamo la verità soddisfazioni di Pirro, ma soddisfazioni. Poi dopo avere selezionato due percorsi diversi per giorno a settimana – perché ci vuole varietà per andare – avevano pensato a cronometrare eventuali miglioramenti. Nella vita - si sa anche questo - ad un certo punto quando ripeti gli stessi percorsi e l’abitudine ti attanaglia, devi forzare il ritmo. Ma se tu forzi poi – prima o poi – ti fermi senza fiato. Soprattutto nelle salite. Anzi per superare una salita impari subito che bisogna arrivare con determinate energie, perché al contrario rischi di fermarti di nuovo e per troppo tempo. Ma una vita senza salite che vita è? Col tempo – la vita non è forse un attraversamento di questo liquido a volte senza superficie ed appigli? – però i due avevano imparato che forse era meglio partire piano – in caso contrario si rischiava di non finire il percorso. Che per trovare un ritmo – qualsiasi ritmo – era necessario lasciarsi trasportare. Ma che anche se si andava piano in un tragitto in discesa c’era la possibilità di arrivare freschi in salita. Avevano imparato che non tutti i giorni erano uguali, ma che salvare un giorno con i bioritmi bassi terminando con qualsiasi tempo in percorso gli avrebbe consentito la prossima volta di fare il record trovando il ritmo in forza del giorno di riposo. Mai poi lasciarsi irretire da compagni occasionali di corsa andassero più forte o più piano: ognuno hai i suoi fini ed i suoi ritmi e non è questo che conta nella vita. Insomma quei quaranta minuti comunque ritmati, con più salite e meno discese, con più o meno dolori erano diventati la misura del mestiere di vivere. Ed era quello il ritmo da non abbandonare.Vincenzo Aiello