ViolaMentespettri viola di parole e musica |
CANZONE ECOLOGICA
Parole che vanno e vengono in quantità:
come pennellate di colore cariche
aggrumano le preziose tenuità
in cumuli di volgari croste, ovunque.
Forse sarebbe più bello tacere,
in accordo coi nostri pensieri,
che solo ad esprimerli in verbi e parole
non sono più verità.
Ma so che sarebbe anche bello
Sceglierle bene;
per farle aderire con più precisione
all’anima con la sua musica.
Sento svanire il suono infinito,
il timbro che unisce le vite
alle cose del mondo:
l’umano ululato strepita
e tutto si fa disarmonico.
Quanto rumore e parole in libertà…
Quanto timore di ammutolire in sé…
L’umano fracasso contamina
Il fiato dell’universo.
Marlene Kuntz
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Post n°16 pubblicato il 21 Agosto 2009 da violet_space
Sei sempre stata un passo davanti a me. Siamo venute a questo mondo nello stesso giorno, ma un piccolo scarto, dalla mattina in cui sei nata tu fino alla sera in cui sono arrivata io, lo abbiamo costantemente mantenuto. Un piccolo passo, quello che distanzia l’alba dal tramonto, il sant’orsola dalla maternità, l’ultima cifra del numero sip e i pochi chilometri che separavano le nostre case. Ci sono voluti trent’anni, perché l’amicizia si misura sulle lunghe distanze e lungo le fratture della vita, ma l’essersi scelte è un legame forte e flessibile, forse più del sangue che avremmo condiviso se fossimo state sorelle. La somiglianza fisica, infatti, non ci ha mai tradito. Fin dall’asilo, ricordi, come in quella foto di carnevale in cui tu facevi gran mostra dei tuoi occhioni verdi, dei capelli ramati e delle lentiggini che spargevi con la bacchetta da fatina azzurra, mentre io sorridevo sdentata*, “piccola e nera”, infagottata in quei quattro stracci rosa che nella mia mente prefiguravano le vesti delle regine degli zingari. La tua dolcezza, la tua fermezza e la tua riservatezza sono cresciute accanto alla mia esuberanza e cialtroneria, e s’incontravano tutte le volte che, chiamandoci con quei nomiglioli che ci portiamo ancora addosso, ci chiedevamo (davanti ad una bottiglia di vodka) se davvero la normalità era l’eccezione e, soprattutto, se davvero eravamo le uniche due pivelle in paese che non trombavano. Ma, puntualmente, al ritmo di gesti costanti, senza bisogno d’allerta e di tutte quelle parole che a me piace tanto sprecare, tu sei diventata adulta ed io, io ti ho seguita sempre con un battito in ritardo: il primo bacio, i primi viaggi, la prima volta, i primi esami, il primo lavoro, la prima casa, come a mostrarmi la strada e spronarmi a non aver timore a crescere. Eppure quella più fragile, e non solo d’aspetto, sei sempre sembrata tu. Questa volta, però, il tuo passo è oltremodo lungo per me. Non so quando, o se mai, ti raggiungerò in questa impresa: un figlio è una cosa troppo da grandi per me. Giocherò ancora a fare la zia, dispensatrice di regali e battute cretine, e dal momento che la forza, l’amore, la sicurezza, la tenerezza non mancheranno al tuo ranocchietto, a me non resta che augurargli un pizzico di buona fortuna, che, tra l’altro, gli permetta di conoscere l’amicizia così come l’abbiamo imparata noi.
*colpa di quella belva di mio fratello che mi scaraventò contro la spalliera del lettone. |
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