VoceProletaria

Il modello leghista sott'acqua.


Nel Veneto sott’acqua affonda il modello leghista.di Ernesto Milanesi, autore di "Legaland. Miti e realtà del Nordest"Il Manifesto,  03.11.2010   PADOVA – L'autostrada chiusa perché invasa da acqua e fango a Soave. Argini che saltano da Monteforte d'Alpone (Verona) fino a Ponte San Nicolò (Padova).     Alluvionato il centro storico di Vicenza con Guido Bertolaso impegnato a schierare l'esercito. Traffico paralizzato fino ai confini con il Friuli e interi quartieri evacuati nella notte in mezza regione.    Con il terrore che la vera onda di piena non sia ancora passata.    E' Legaland, letteralmente con l'acqua alla gola.    Pioggia battente, vento di scirocco e idrovore in tilt hanno trasformato il «cuore» del Veneto in un immenso lago color melma.    Il bilancio, finora, parla di un anziano disperso.    Ma ha rischiato grosso il teatro Olimpico di Vicenza; s'è svegliata dentro un incubo la Marca trevigiana che frana; annaspa quasi tutto il Veronese; trema, come nel 2002, Motta di Livenza nel veneziano.    Una catastrofe difficile da spacciare per «naturale».    Gli effetti si avvicinano alla Grande Alluvione del 1966, quando il Polesine fu sacrificato per salvare Ferrara.     Oggi sono la «città metropolitana» e l'ex «locomotiva» a finire in ginocchio perché è definitivamente saltato il salvagente di scolmatori, consorzi di bonifica, manutenzione degli argini.   La verità è che, nel giorno dei morti, affiorano gli effetti del «sistema Galan» ereditato dal governatore leghista Luca Zaia.     Ma anche le conseguenze dissennate dell'urbanistica che nei municipi accomuna berlusconiani, centrosinistra e Lega.    Contano più gli «eletti» in combutta con gli immobiliaristi di qualsiasi evidenza da buon padre di famiglia.  E' l'alluvione dell'incuria, dell'interesse privato, della politica irresponsabile.            Il modello veneto imperniato su Grandi Opere, project financing e sussidiarietà si è tradotto in un folle consumo del territorio a senso unico.     Ed esattamente come il crac dell'economia era stato annunciato dai documenti ufficiali degli uffici di Bankitalia in piazza San Marco, anche la catastrofe «naturale» si poteva prevedere studiando un dossier di una trentina di pagine.         Pubblicato da Legambiente nel 2009, si intitola «Veneto: cancellare il paesaggio».     Spiegava l'architetto Sergio Lironi: «Nel 2004, con la nuova legge regionale urbanistica, i Comuni autorizzano 38 milioni di metri cubi di nuovi capannoni commerciali e 18 milioni di volumetrie residenziali, superando la media di 40 milioni di nuovi fabbricati realizzati annualmente nel Veneto dal 2001 ad oggi».     E Tiziano Tempesta del Dipartimento territorio e sistemi agroforestali dell'Università di Padova contabilizzava: «Le abitazioni costruite dal 2000 al 2004 sono in grado di alloggiare 600 mila nuovi abitanti.     Anche se rimanessero costanti i tassi d'incremento demografico alimentati dagli immigrati, ci vorrebbero 15 anni per utilizzare tutte le case».    Insomma, era un mega-villaggio architettato snaturando le fondamenta.     E' già un immenso non luogo strangolato dal cemento.     Sarà sempre più in balìa della natura violentata da ruspe, gru, betoniere?    La politica partorisce quasi esclusivamente suggestioni: dalla candidatura alle Olimpiadi 2020 a nuove autostrade, ospedali, centri congressi fino alla gigantografia di Veneto City, la super-fiera delle vanità nella Riviera del Brenta.     Nessuno (nemmeno i sindaci del PD) si concentra sulla «normale manutenzione» del bene comune che si chiama territorio.    Oltre l'indistinta melassa dell'ex miracolo economico, incombe l'urbanistica: l'immobiliare che si fa stato permanente degli affari, con la politica che appalta territorio e futuro.     Finora nemmeno la «rivoluzione» della Lega di governo ha dimostrato di arginare la tendenza.   Le statistiche sono agghiaccianti.  Proprio l'area centrale collassata in questi giorni rappresenta il 25,7% del territorio e accoglie il 50,7% della popolazione nel 47,2% delle abitazioni (ben 930 mila, di cui 80 mila senza inquilini).    Nella sola provincia di Vicenza, feudo della Lega, in 50 anni la «macchia» urbanizzata è aumentata del 342%, con un incremento di popolazione limitato al 32%.    Significa che i volumi urbani della città diffusa in ogni angolo sono passati da 8.647 ettari a oltre 28 mila: la cementificazione è quadruplicata.    E nella sola Padova con la giunta di centrosinistra del sindaco Flavio Zanonato si sono trasformati oltre 4,7 milioni di metri quadri di aree destinate a verde pubblico in aree di perequazione, delegando ai privati le nuove lottizzazioni in cambio di spezzatini verdi.    Cinque anni fa in Regione sono state protocollate 1.276 varianti urbanistiche (più 220% rispetto alla media degli anni precedenti).  Si appoggiavano a 389 piani di riqualificazione urbanistica e ambientale attuati nel biennio 2005-2006: la soluzione più semplice per costruire.    Sempre e comunque.    Anche a costo di veder tracimare torrenti fin dentro il «salotto» di Vicenza o il castello di Soave.    L'autostrada a tre corsie chiusa è l'emblema del Veneto che annaspa. Nella sua stessa melma.  E non sarà l'ultima volta...