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E dopo lo sciopero del 28 gennaio?


E dopo lo sciopero del 28 gennaio?di Federico Giusti,  02.02.2011     Vasta e diffusa è stata la partecipazione allo sciopero nazionale dei metalmeccanici proclamato dalla Fiom nazionale e sostenuto fin da subito e attivamente dai Cobas, che lo hanno esteso a tutte le altre categorie del lavoro privato e del pubblico impiego.   E partecipate sono state le manifestazioni non solo nei capoluoghi di regione, ma anche in altre città.   Questa partecipazione alla giornata del 28 gennaio (come lo sciopero nazionale di due giorni prima, il 26 gennaio, proclamato dai Cobas per gli autoferrotranvieri con alte adesioni in molte città, tra cui Pisa) dimostra la ferma volontà  dei lavoratori di:* tutelare i diritti sul lavoro;* salvaguardare la salute dai turni e dai ritmi lavorativi massacranti;* ribadire il diritto alla piena retribuzione a carico delle aziende nei primi tre giorni di malattia;* esigere durante l’orario di lavoro le pause necessarie a riequilibrarsi nel corpo e nella mente;* difendere a oltranza l’occupazione;* stabilizzare il lavoro precario;* adeguare il salario al costo della vita;* difendere il diritto alla pensione, allo studio, ai servizi sociali, in primo luogo quello alla sanità;* rivendicare la pienezza dell’esercizio del diritto di sciopero.   I padroni e le loro associazioni, da Federmeccanica a Confindustria (passando per il governo loro complice e per gli avventurieri sindacali che dirigono Cisl-Uil-Ugl e svolgono il ruolo di parargli il sacco), tentano di giustificare l’attacco alle condizioni lavorative e a quelle di vita di milioni di lavoratori, inventando menzogne, con le quali vorrebbero dimostrare che essi intendono fare solo ciò che le aziende del resto d’Europa, Germania compresa, hanno già fatto.   Non dicono, però, che gli operai tedeschi, per esempio alla Volkswagen, hanno un orario pieno di 35 ore settimanali (7 ore per 5 giorni) e paghe lorde che vanno da 2.800 a 3.500 euro mensili, col costo della vita in Germania che è paragonabile o inferiore a quello italiano.   Lo stesso discorso vale per la Pubblica Amministrazione, dove il blocco della contrattazione per tre anni ridurrà  a poca cosa le retribuzioni (che sono già tra le più basse d’Europa) e dove aumenta a 65 anni l’età  pensionabile per le donne; è in via di lancio la campagna di pubblicità  ingannevole sulla previdenza integrativa per fregarci il trattamento di fine rapporto; viene scippata parte della paga col nuovo sistema di valutazione, finalizzato anche a dividere il personale.   Adesso, dopo lo sciopero del 28 gennaio, occorre porsi la domanda: “Siamo riusciti a ottenere quanto è legittimo e necessario per il rispetto della nostra vita, per condizioni di lavoro umane, per la nostra dignità  di persone e di lavoratori?”.   La riposta, naturalmente, è NO, perché il 28 gennaio non doveva finire lì, ma doveva, e deve, essere l’inizio di un percorso di mobilitazione e di lotta in tutti i posti di lavoro, per arrivare a un grande sciopero generale, che dia alle ragioni dei lavoratori la forza per avanzare.   A questo i Cobas ritengono che non si possa sfuggire. E questo la Fiom nazionale sta da mesi chiedendo alla sua confederazione di riferimento, la Cgil, la quale, con la sua segretaria generale Susanna Camusso, sta da mesi rispondendo “picche”, come ha fatto anche dal palco del comizio di Bologna, durante lo sciopero dei metalmeccanici, prendendosi fischi e contestazioni.   Non resta altro da fare, se non costruire dal basso tutto il movimento necessario a non farci schiacciare da un padronato e da un governo che si possono fermare solo con l’unità  e la lotta.COBAS PUBBLICO IMPIEGO - PISA