Voli Interrotti

NI DE LEIS NO-M VOLH ESTRAIRE


Ai las, Ai per que-m fai tan mal traire ? qu'ilh sap be de que m'es gen qu'el seu pretz dir e retraire sui plus seus on piegz en pren  qu'ela-m pot far o desfaire com lo seu no li-m defen  ni de leis no-m volh estraire si be-m fai morir viven.E tu mi fai tremar le vene e i polsi,mentre il respiro della pioggia, lievesospirante,viene fuggiasco alla mia pelle,a calmare questo mai addolcito male, che s’aggregacon forza dietro la fragile velatura del mio volere.S'esforça ma dolor! Due occhi - che occhi non sono, ma sfere perfette di marmo screziato -misurano il lento movimento del mio divenire,in scatti concentrici, lesti e nervosi.Nella sala un terzetto d’archi esegue un timido Chopin,così poco adatto ad una notte di rese e lotte.L’inevitabilità di questa sera di ottobre mi annulla,scivolando sulle mie limitate prospettive,portando l’odore di foglie secche che brucianoe il suono risolutivo d’una porta sbattuta.Il soffitto ha il colore di un cielo in tempesta:non ci sono ombre a delineare le cose.All’improvviso, da dietro gli orli di questa piana di tetti,rotola il borbottio di un tuono:tintinnano appena i vetri della finestrae vibra l’esile diaframma dell’anima mia, stanca;si attenua il brusio degli spettri,che ancora si attardano sul tè e sui biscotti,disposti su piatti orlati d’azzurro,(perché questi sono il mio corpo e il mio sangue)tra la teiera e le tazzine di fine ceramica.(offerti in sacrificio per voi)Mi guardo alle spalle, come se qualcuno m’avesse chiamato,ma c'è solo lei, seduta davanti all’ovale luminoso dello specchio;sotto il pettine vibra pelo di belva color dell’ebano,le cui punte immagino elettriche, ardenti.“Se solo potessimo essere due granelli di renaperduti sul fondo del mare ...”, sussurro,ma lei sembra non aver udito le mie parole,che infatti precipitano sul pavimento come uccelli dalle ali spezzate.Dovrei uscire subito da questa stanza,invece di rimanere qui, con l’ottusa tenacia di una marionetta,dimenticata nell’angolo più buio e polverosodi una soffitta deserta;o dovrei ascoltare le mie stesse inutili digressionie poi ribattere, a vuoto e assenza, con altrettanto inutili considerazioni?O forse dovrei unirmi a loro, gomito a gomito con pazzi e assassini,ma sempre per dire qualcosa a qualcuno,che nemmeno fingerebbe di ascoltare;e - in fondo – non dire niente di ciò che meriterebbe d’essere dettoe non tacere niente di ciò che sarebbe meglio tacere..E quando tutto fosse finito,(detta l’ultima parola, espirato l’ultimo silenzio)giocare un’ultima partita a scacchi, dall’esito scontato,e perduto il re,chiudere la scacchiera e capire che é ormai troppo tardi,anche per un’ultima stretta di mano.Mentre il tempo passa, marcato da contrappunti di tuono,io mi riverso nel vuoto ceduto al mio orrore,in un distacco tanto definitivo quanto formale.E l’ultima cosa che vedo, con avvilente chiarezza,é il pavimento che mi s’addossa veloce.Più tardi sono in riva ad un mare irato e rumoroso;alle mie spalle, distese d’erica in fiore.