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Stamani una mia amica mi dice che tagliandosi il labbro superiore le ricrescerà migliore, nel senso che non avrà più alcun difetto (la mia amica è carina e non ne avrebbe bisogno. Le suggerisco infatti di lasciar perdere....).
La vedo avvicinarsi davanti ad uno specchio con un coltello da tavola nella mano destra:
con la sinistra prende l’estremità del labbro superiore sinistro, lo solleva un po’ e comincia a seghettare partendo da lato destro. Sono impressionata. Mi volto dall’altra parte. Le chiedo se ha finito. Lei non si lamenta. Dopo qualche secondo mi fà notare che in poco tempo si rimarginerà tutto. La guardo: non c’è sangue sul suo viso. Le si vedono l’arcata dentale e gengivale superiori. Nel guardarla, decido che è il caso che io mi tagli la lingua. Non ne ricordo il motivo. Prendo un coltello da tavola, un tovagliolo di cotone. Tiro fuori la lingua e la blocco ben bene fra le mie dita. Mi dirigo davanti allo specchio: comincio a seghettare. Anche per me non c’è sangue. Prendo il pezzo di lingua reciso fra le mani: è disgustoso; mi fa talmente senso che lo rimetto in bocca. Poi mi chiedo a cosa sia servito. Penso che dovrei andare al pronto soccorso... Invece mi faccio una passeggiata con la mia amica senza labbro, chiacchierando con qualche conoscente incontrato per strada.... In effetti ho qualche difficoltà a parlare. Ma l’importante è tenerla in bocca: riesco a muovere il pezzo di linguaa e a parlare, anche se vive di vita propria.
Mi sveglio disgustata ed abbastanza sconvolta.
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L'AMAZZONE
“Non mi seccate.
Sono un uomo libero. Ho bisogno della libertà, ho bisogno di star solo;
ho bisogno di rimuginare fra me e me le mie vergogne e le mie tristezze, di godermi il sole e i sassi della strada senza compagnia e senza discorsi, con la sola musica del mio cuore.
Cosa volete da me?
Quel che io voglio dire lo stampo; quel che voglio dare lo dò.
La vostra curiosità mi fa stomaco; i vostri complimenti mi umiliano; il vostro tè mi avvelena.
Non debbo nulla a nessuno e ho da fare i miei conti solo con Dio, se esiste”.
Henry Miller, Tropico del cancro.
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