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Ore 19.00
Sono stanca. Il sole del pomeriggio e il pranzo mi hanno intorpidito.
Mi sdraio sul letto.
Mi accorgo subito che il cuore ha un battito diverso. Aumenta. Anche lo stomaco mi dà dei segnali. Mi concentro sul battito. Mi sento sempre meno bene. Anche il respiro dà cenni di sregolatezza. Il cuore mi stà sfuggendo via. Stà andando. Sembra in fibrillazione. Lo controllo: più di un battito al secondo.
Comincia la guerra. Io contro il cuore, il respiro, lo stomaco.
Mi manca l'aria; il cuore corre; lo stomaco mi divora. La voragine mi tira giù, non c'è aria nella stanza, il cuore non si ferma, ingoio il mio veleno. Mi fermo senza fiato e constato che l'aria non arriva nei polmoni: non respiro. Sì. Stò respirando. Ma dov'è l'aria? Tiro il fiato. Uso il naso per l'ossigeno, mi concentro: 1, 2, 3, 4, 5, 6 - ho inspirato per 6 secondi - vuol dire che è entrata aria nei miei polmoni. Espiro. Sputo fuori veloce, e lavoro di diaframma. Gonfiando lo stomaco posso distendere i suoi muscoli. Ancora: inspiro - 1, 2, 3, 4, 5 secondi - butto giù l'aria nel diaframma, stando attenta a stirare i muscoli... la voragine allenta la presa, piano piano. Ancora una volta il solito giochino... e pure il cuore rallenta la sua fuga: posso riprendermelo, posso farcela... devo solo respirare ancora un pò e il cuore ritorna al suo posto, alla sua posizione regolare. Controllo i muscoli dello stomaco: stanno cedendo, mi tortureranno in un altro momento. Sono salva. Questa battaglia l'ho vinta io. Mi addormento.
Sono nel mare. Mi rilasso sul mio divano verde. Ci sei Tu. Ci godiamo la tranquillità della baia. Il dondolio dell'acqua. E' pomeriggio. Alle nostre spalle l'orizzonte.
All'improvviso il cielo si incupisce: diventa tutto buio in meno di un minuto. Siamo al largo. Il tempo di rendersene conto ed è tutto nero. Un infinto spazio nero. Tutto intorno a noi, tra di noi, alle nostre spalle, solo buio. Il buio più cupo e compatto del nero stesso. Il buio del "non ti vedo" a soli 50 centimetri di distanza. Mi prendi la mano. Sono terrorizzata, non c'è più niente intorno. Siamo sempre più al largo perchè è più freddo, ci sono più onde... Il divano verde, la nostra zattera, non può affondare. Ma dobbiamo trovare il modo di rientrare. Ho un solo pensiero: siamo dispersi. Chi ci troverà in questo buio? Il nero ci avvolge ancora, ma non piango. L'angoscia mi stà trascinando in un vortice infinito. Il cuore corre. Ci teniamo la mano. Poi all'improvviso davanti a noi si apre una crepa: il soffitto di piombo si spacca finemente e uno spiraglio di luce fioca rossastra illumina la baia: remiamo con le braccia per rientrare nella direzione che incanala la rientranza tra gli scogli. Ma stà arrivando un'onda altissima. Mi dici di tenermi. "Tu tieniti. Io ce la faccio" - Ti rispondo. L'onda arriva di quattro, cinque metri. Ci saliamo sopra col nostro divano verde e riscendiamo. Poi veloci veniamo trascinati nel tratto stretto tra gli scogli, ma è l'unico tratto attraverso il quale possiamo rientrare nella baia. Avviene tutto velocemente. Siamo nella baia. Il getto ci spinge fino a riva, fino alla spiaggia, fino alla piazzetta con il bar. Sempre ancora sul nostro divano verde. Scendo dal divano. Da un lato è un pò scolorito . "Deve essere stata la salsedine. Appena si asciuga lo tingo". E' passato tutto.
Mi sveglio. Ripenso al sogno. Nella mia vita non ho mai provato tanta paura. Piango.
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L'AMAZZONE
“Non mi seccate.
Sono un uomo libero. Ho bisogno della libertà, ho bisogno di star solo;
ho bisogno di rimuginare fra me e me le mie vergogne e le mie tristezze, di godermi il sole e i sassi della strada senza compagnia e senza discorsi, con la sola musica del mio cuore.
Cosa volete da me?
Quel che io voglio dire lo stampo; quel che voglio dare lo dò.
La vostra curiosità mi fa stomaco; i vostri complimenti mi umiliano; il vostro tè mi avvelena.
Non debbo nulla a nessuno e ho da fare i miei conti solo con Dio, se esiste”.
Henry Miller, Tropico del cancro.
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