Creato da kosmonauta il 23/06/2009

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Passione Univero ....Arrivare la dove nessuno uomo e mai giunto prima...

 

 

News Da Le Scienze

Post n°21 pubblicato il 20 Gennaio 2010 da kosmonauta
 

Astrofisica
Su "Nature"

La "catastrofe della materia oscura" e la formazione delle galassie


Durante le esplosioni di supernova nel nucleo della galassia vengono espulsi gas interstellare e materia oscura fredda

 

Molti fenomeni astrofisici sono spiegabili solo presupponendo l'esistenza della materia oscura fredda. In questo modo è possibile per esempio dar conto della distribuzione delle galassie e della materia ordinaria nell'universo a grande scala (ossia nell'ordine dei miliardi di anni luce), e della radiazione fossile di fondo derivata dal Big Bang.

Tuttavia se lo si applica a singole galassie, che hanno dimensioni da centinaia a decine di migliaia di anni luce, questo modello porta a conclusioni non coerenti con le osservazioni degli astronomi.

Le previsioni del modello suggeriscono che le regioni centrali delle galassie ruotino a una velocità superiore a quella che risulta effettivamente dalle osservazioni astronomiche. Di conseguenza il modello implicherebbe una densità di materia oscura fredda al centro della galassia superiore a quella consentita dalle misurazioni. Per quasi due decenni astrofisici, fisici delle particelle e astronomi si sono arrovellati per risolvere questa discrepanza, nota anche come “catastrofe della materia oscura fredda”, ma ogni soluzione apparentemente convincente ha sempre portato a successive ulteriori discrepanze.

Ora uno studio pubblicato su "Nature" è riuscito a dar conto di questa discrepanza e a risolvere l'enigma.

"Gran parte dei lavori precedenti includeva solamente una semplice descrizione di come e dove le stelle si sono formate all'interno delle galassie, o addirittura non ne contemplava la formazione. Noi abbiamo invece eseguito delle simulazioni che includevano una più precisa descrizione di dove e come avviene la formazione di stelle nelle galassie”, ha detto Fabio Governato, dell'Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e docente all'Università di Washington, che con Lucio Mayer dell'Università di Zurigo ha diretto il gruppo internazionale di ricercatori che hanno condotto lo studio.

I ricercatori hanno simulato la formazione di galassie a disco nane, per le quali la “catastrofe della materia oscura” è particolarmente evidente, modellizzando per la prima volta non solo il comportamento della materia oscura fredda come influenzata solamente dalla gravità, ma anche dal comportamento estremamente complesso della normale materia visibile al di sotto della scala a cui si formano i cluster di stelle. Per quanto la materia oscura rappresenti fra il 70 e l'80 per cento della massa di una galassia, essa è infatti comunque influenzata dalla materia normale.

Grazie a simulazioni ad alta risoluzione che hanno richiesto l'uso di numerosi supercomputer in contemporanea, i ricercatori hanno potuto mostrare che durante le esplosioni di supernova nel nucleo della galassia viene espulso non soltanto il gas interstellare, ma anche materia oscura fredda, la cui densità al centro della galassia così diminuisce (video). La simulazione ha quindi permesso di risolvere l'apparente paradosso della catastrofe della materia oscura fredda.

Ora lo studio proseguirà con l'elaborazione di un modello analogo relativo alle galassie simili alla Via Lattea, di cui si sta occupando Simone Callegari, già all'Università di Milano-Bicocca e attualmente all'Università di Zurigo. (gg)

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Post n°20 pubblicato il 17 Dicembre 2009 da kosmonauta
 

Astrofisica
Verso la colonizzazione spaziale
Terra, ecco i pianeti gemelli


I risultati indicano che i pianeti di massa limitata sono assai comuni intorno alle stelle vicine: la scoperta di mondi non lontani e potenzialmente abitabili potrebbe essere vicina

Sei pianeti di piccola massa in orbita intorno a stelle di tipo solare, tra cui due “super-Terre” dotate di massa pari, rispettivamente, a 5 e 7,5 volte quella del nostro pianeta: è quanto hanno scoperto alcuni ricercatori guidati da Steven Vogt dell’Università della California a Santa Cruz, e da Paul Butler della Carnegie Institution of Washington che firmano in proposito due articoli che compariranno sulla rivista Astrophysical Journal.

"Questi risultati indicano che i pianeti di massa limitata sono assai comuni intorno alle stelle vicine: la scoperta di mondi non lontani e potenzialmente abitabili potrebbe essere vicina”, ha spiegato Vogt, professore di astronomia e astrofisica dell’UCSC.
Nell’ambito dello studio sono stati combinati i dati raccolti dal Keck Observatory, situato sulle isole Hawaii e dall'Anglo-Australian Telescope (AAT), nel New South Wales, in Australia.

Tre dei nuovi pianeti orbitano intorno alla stella brillante 61 Virginis, distante da noi solo 28 anni luce e visibile anche a occhio nudo nella costellazione della Vergine, che per lungo tempo ha affascinato astrnomi e astrobiologi. Tra centinaia di stelle vicine, l’oggetto ha la particolarità di essere molto simile al Sole in termini di età, massa e altre caratteristiche. Vogt e collaboratori hanno trovato che 61 Vir ospita almeno tre pianeti, con masse che vanno da 5 a 25 volte quella della Terra.

Recentemente, un gruppo indipendente di astronomi ha utilizzato lo Spitzer Space
Telescope della NASA per scoprire che 61 Vir contiene anche uno spesso anello di polveri a una distanza all’incirca doppia di quella che separa Plutone dal Sole.
La polvere è apparentemente creata dalle collisioni di corpi simili a comete, nelle zone esterne e più fredde del sistema.

"La rivelazione di Spitzer di polveri fredde che orbitano attorno a 61 Vir indica che esiste una reale affinità tra tale stella e il Sole”, ha aggiunto Eugenio Rivera, ricercatore dell’UCSC che ha partecipato allo studio. Rivera ha infatti eseguito un’estesa serie di simulazioni numeriche per trovare un mondo abitabile simile alla Terra nella regione non ancora esplorata tra i pianeti appena scoperti e il disco di polveri esterno.

Secondo Vogt, il sistema planetario intorno a 61 Vir è un eccellente candidato per essere oggetto di studio mediante il telescopio Automated Planet Finder (APF) recentemente costruito presso il Lick Observatory sul Mount Hamilton nei pressi di San Jose.

Il secondo nuovo sistema trovato dal gruppo è un pianeta di circa 7,5 masse terrestri che orbita intorno a HD 1461, un perfetto gemello del Sole localizzato a 76 anni luce da noi, ed è accompagnato da almeno uno e forse due pianeti dello stesso tipo.

Denominato HD 1461b, possiede una massa all’incirca media tra la massa della Terra e quella di Urano. I ricercatori tuttavia non sono ancora in grado di dire se HD 1461b sia una versione in scala della Terra, composta in gran parte da roccia e ferro, o sia, come Urano e Nettuno, composto in gran parte da acqua. (fc)


 
 
 

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Post n°19 pubblicato il 26 Novembre 2009 da kosmonauta
 

Astrofisica
Nel cosmo profondo
Lo sviluppo embrionale dei buchi neri massicci


Le stelle supermassicce che ne sono i precursori necessitano di essere stabilizzate da qualche fattore, o la loro stessa rotazione o il loro campo magnetico

 

I primi grandi buchi neri dell'universo si formarono e crebbero probabilmente all'interno di un gigantesco "bozzolo" stellare che attutiva l'intensa radiazione X prodotta impedendo ai gas circostanti di essere dispersi nello spazio.

È quanto afferma una recente ricerca coordinata da Mitchell Begelman, docente di astrofisica dell'Università del Colorado a Boulder i cui risultati sono ora pubblicati sulla rivista "Monthly Notices of the Royal Astronomical Society".

I predecessori dei buchi neri sono oggetti chiamati stelle supermassicce, che cominciarono a formarsi nelle prime centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa. Un simile oggetto, secondo gli attuali modelli di evoluzione stellare, raggiunge infine una massa decine di milioni di volte quella del Sole e il cui nucleo, dopo un'evoluzione relativamente breve, collassa in soli pochi milioni di anni.

In questo studio Begelman e colleghi hanno calcolato in che modo si siano potute formare le stelle supermassicce così come i loro nuclei: i calcoli hanno permesso di stimarne la dimensione e l'evoluzione successive e di prevedere in che modo infine abbiano dato origine ai buchi neri.

Nel quadro emerso dalla ricerca, le stelle supermassicce necessitano di essere stabilizzate da qualche fattore: probabilmente dalla propria rotazione o da qualche altra forma di energia, quale il proprio campo magnetico, al fine di facilitare la veloce crescita dei buchi neri al loro centro.

"Il risultato notevole è rappresentato dall'aver trovato il meccanismo con cui si formano le stelle supermassicce, che fornisce nuove indicazioni per comprendere in che modo i buchi neri si siano potuti sviluppare in modo relativamente rapido”, ha commentato Begelman.

“In sostanza, la richiesta principale per la formazione delle stelle supermassicce è l'accumulo di materia al ritmo di una massa solare all'anno", ha concluso il ricercatore. "A causa dell'incredibile quantità di materia consumata da questi oggetti, i conseguenti buchi neri allo stadio embrionale che si sono formati al loro centro erano, con grande probabilità, di massa ben più consistente rispetto ai buchi neri ordinari – di sole poche masse solari – e successivamente crebbero in maniera ancora più veloce.” (fc)

 

 

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Post n°18 pubblicato il 05 Novembre 2009 da kosmonauta
 

Astronomia e cosmologia
A sette miliardi di anni luce da noi
Osservato un pezzo di "scheletro" dell'universo
Da diversi anni i cosmologi cercavano prove della presenza di questi "filamenti" di galassie, della cui esistenza nell'universo più lontano mancava ancora una solida prova 

 

La materia non è distribuita uniformemente nell'Universo: le stelle sono riunite in galassie, le galassie in gruppi e in cluster di galassie. Le teorie cosmologiche accettate prevedono che la materia si aggreghi su una scale ancora più ampia nella cosiddetta “rete cosmica” in cui le galassie, unite da lunghi filamenti che solcano il vuoto cosmico, creano una gigantesca struttura reticolare.

Questi filamenti misurano alcuni milioni di anni luce di lunghezza e costituiscono una sorta di “scheletro” dell'universo: le galassie si accumulano intorno a essi, e immensi cluster di galassie formano le loro intersezioni.

Da alcuni anni, molti cosmologi cercano prove della presenza di questi filamenti: sebbene infatti essi siano stati osservati su scale relativamente brevi, ancora mancava una solida prova della loro esistenza nell'universo più lontano.

Ora un gruppo di ricerca dell'ESO guidato da Masayuki Tanaka è riuscito a scoprire una grande struttura intorno a un cluster di galassie distanti in una serie di immagini catturate in precedenza. Per analizzare la struttura con maggiore dettaglio si è fatto ricorso a osservazioni spettroscopiche ottenute grazie agli strumenti VIMOS del Very Large Telescope dell'ESO e FOCAS del Telescopio Subaru, operativo presso l'Osservatorio astronomico nazionale, in Giappone.

Grazie a queste e ad altre osservazioni, gli astronomi hanno potuto identificare diversi gruppi di galassie che circondano il cluster principale, almeno 10.000 volte più massiccio della Via Lattea, distinguendo decine di questi aggregati, ciascuno dei quali ha una massa da alcune decine ad alcune migliaia di volte maggiore di quella della nostra galassia.

“E' la prima volta che si è riusciti a osservare una struttura dell'universo distante così importante e così ricca di informazioni”, ha spiegato Tanaka. "Ora possiamo passare dalla 'demografia', cioè dal censimento degli oggetti presenti che abbiamo appena concluso, alla 'sociologia', ovvero allo studio delle proprietà delle galassie che dipendono dal loro ambiente, in un'epoca in cui l'universo aveva un'età pari a solo due terzi dell'età presente.”

Il filamento osservato è posizionato a circa 6,7 miliardi di anni luce da noi e si estende per almeno 60 milioni di anni luce, anche se probabilmente tale struttura si estende anche oltre la capacità osservativa attuale. Per questo motivo occorreranno ulteriori ricerche per ottenere una stima definitiva della lunghezza. (fc)

 

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Post n°17 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da kosmonauta
 

Astrofisica
Nel Gruppo locale
La galassia Barnard nell'occhio dell'ESO


Le nuove immagini rivelano regioni di intensa formazione stellare, in cui stelle giovani ad alta temperatura riscaldano le nubi di gas circostanti

Nuove immagini della galassia Barnard sono state ottenute grazie ai telescopio dello European Space Observatory (ESO): un denso insieme di stelle brilla rispetto allo sfondo di stelle lontane nella costellazione del Sagittario.

Distante da noi circa 1,6 milioni di anni luce, la galassia Barnard fa parte del Gruppo Locale (ESO 11/96) un arcipelago di galassie che comprende la Via Lattea. Indicata nei cataloghi con la sigla NGC 6822. L’oggetto è intitolato all’astronomo statunitense Edward Emerson Barnard, che nel 1884 per primo riuscì a scorgere la sua flebile luce grazie a un rifrattore da 125 millimetri.

Quest’ultimo ritratto è stato realizzato invece con il Wide Field Imager (WFI), lo strumento integrato nel telescopio da 2,2 metri di diametro dell’osservatorio MPG/ESO situato a La Silla, nel Cile settentrionale.

Sebbene non regga il confronto in quanto a spettacolarità con le maestose galassie vicine quali la Via Lattea, Andromeda e la galassia del Triangolo, la galassia di Barnard non manca di punti di interessante attività stellare.

Le parti rossastre nell’immagine rivelano regioni di intensa formazione stellare, in cui stelle giovani ad alta temperatura riscaldano le nubi di gas circostanti.

Da rilevare nella parte alta a sinistra anche una nebulosa a forma di bolla al cui centro sono presenti alcune stelle massicce che investono con onde di materia il mezzo interstellare circostante, generando una struttura brillante che appare, dalla nostra prospettiva, di forma anulare.Altre simili onde di materia riscaldata ad alta temperatura si intravvedono poi un po’ per tutta l’estensione della galassia.

Arrivando solo a un decimo circa delle dimensioni della Via Lattea, la galassia di Barnard è classificata come galassia nana e contiene circa 10 milioni di stelle, contro i circa 400 miliardi di stelle che popolano la nostra galassia. Nel gruppo locale, così come nel resto dell’universo, le galassie nane sono molto più numerose rispetto a quelle di dimensioni maggiori. Le galassie nane devono la loro forma irregolare a “incontri ravvicinati” con altre galassie. (fc)



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Post n°16 pubblicato il 08 Ottobre 2009 da kosmonauta
 

Astrofisica
Osservati dal telescopio Hubble

Gas strappati da una galassia


Le spettacolari immagini catturate da Hubble mostrano grandi quantitità di materia che furiescono dalla galassia a spirale NGC 4522, situata a 60 milioni di anni luce dalla Terra

La "presssione Ram" è la forza di trascinamento che si manifesta quando qualcosa si muove attraverso un fluido, che si osserva anche quando le galassie che orbitano vicino al centro di un cluster, o ammasso, si muovono attraverso il mezzo “intra-cluster”, che nel processo strappa il gas dall’interno delle stesse galassie.

La galassia a spirale NGC 4522 è situata a 60 milioni di anni luce dalla Terra e rappresenta un esempio spettacolare di galassia a spirale a cui attualmente viene sottratto il contenuto di gas.

L’oggetto fa parte dell’ammasso galattico della Vergine, e il suo rapido movimento all’interno del cluster dà come risultato l’instaurarsi di forti "venti" all’interno della galassia che “lasciano indietro” il gas che vie era prima contenuto.

Gli astronomi stimano che la galassia si stia muovendo a più di 10 milioni di chilometri all’ora. Ora l’occhio attento del telescopio astronomico Hubble ha catturato l’immagine della formazione di nuovi cluster di stelle all’interno del gas così strappato. Sebbene si tratti di un’istantanea, si colgono abbastanza bene le deformazioni e i drammatici processi che stanno interessando la galassia.

L’immagine della NGC 4402 mette in luce, inoltre, nuovi presunti effetti della forza di trascinamento nella forma convessa del disco di gas e polvere, determinata nello specifico dalle alte temperature che si sviluppano nel gas.

Si tratta, a detta degli astronomi dell’Advanced Camera for Surveys on Hubble, che hanno effettuato le osservazioni, di risultati che non possono che portare a una migliore comprensione dei meccanismi che governano l’evoluzione delle galassie, e di come il tasso di formazione stellare venga fortemente influenzato nelle regioni più dense di materia dell’universo quali sono i cluster. (fc)


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Post n°15 pubblicato il 24 Settembre 2009 da kosmonauta
 

Astronomia e cosmologia
Dall'Osservatorio ESO di La Silla
La prima conferma di un esopianeta roccioso


Le osservazioni hanno mostrato che nello stesso sistema planetario esiste un’altra “super-Terra” dello stesso tipo

La più lunga serie di misurazioni di HARPS mai effettuata ha fornito per la prima volta una evidenza diretta nella natura rocciosa di CoRoT-7b, il più piccolo e più veloce esopianeta finora scoperto.

Le stime indicano una massa pari a cinque volte quella terrestre, con un raggio circa doppio. Di conseguenza, la densità dovrebbe essere all’incirca simile a quella del nostro pianeta. Inoltre, nello stesso sistema planetario esisterebbe un’altra “super-Terra” di questo tipo.

Nel febbraio del 2009, la scoperta del satellite CoRoT di un piccolo esopianeta intorno a una stella per altri versi non particolarmente degna di nota, la TYC 4799-1733-1, fu annunciata un anno dopo la sua rilevazione e dopo molti mesi di pazienti misurazioni con diversi telescopi a Terra, tra cui alcuni dell’ESO.

La stella, ora nota come CoRoT-7, è localizzata nella costellazione dell’Unicorno, a una distanza di circa 500 anni luce da noi. Leggermente, più piccola e più fredda del Sole, CoRoT-7 è anche ritenuta più giovane, in virtù dei suoi 1,5 miliardi di anni. Ogni 20,4 ore il pianeta eclissa per un’ora una piccola frazione della luce della stella, pari a circa una parte su 3000. Il pianeta, denominato CoRoT-7b, è a una distanza di soli 2,5 milioni di chilometri di distanza dalla sua stella, paria 23 volte quella che separa Mercurio dal Sole.

Le misurazioni iniziali, tuttavia, non avrebbero potuto fornire la massa del pianeta, per la quale occorrono stime molto precise della velocità della stella, che viene leggermente alterata dall’interazione gravitazionale con la massa in orbita.
Con CoRoT-7b il problema è che questi sottili segnali sono confusi in una serie di variazioni del’attività della stella, simili alle macchie solari. Perciò il segnale principale è collegato alla rotazione della stella, che effettua una rotazione completa in 23 giorni.

Per arrivare al risultato, gli astronomi hanno dovuto sfruttare il migliore dispositivo per la caccia agli esopianeti del mondo, lo spettrografo High Accuracy Radial velocity Planet Searcher (HARPS), montato sul telescopio da 3,6 metri dell’osservatorio di La Silla, in Cile.

"Anche se HARPS detiene sicuramente il primato di sensibilità nella rivelazione dei piccoli esopianeti le misurazioni di CoRoT-7b hanno necessitato di più di 70 ore di osservazione”, ha commentato François Bouchy, dell’Institut d’Astrophysique di Parigi, coautore dell’articolo in attesa di pubblicazione sulla rivista “Astronomy and Astrophysics” (D. Queloz et al, "The CoRoT-7 planetary system: two orbiting Super-Earths", volume 506-1, 22 ottobre 2009). (fc)

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Post n°14 pubblicato il 11 Settembre 2009 da kosmonauta
 

Astronomia e cosmologia
Sulla rivista "Science"
Una futura supernova


Secondo i ricercatori si tratta di una stele di Rosetta per i sistemi binari di nane bianche: la precisa determinazione delle masse delle due stelle è cruciale per ulteriori studi e per poterne prevedere l'evoluzione futura

Grazie al telescopio spaziale XMM-Newton dell’ESA è stata possibile la prima osservazione diretta di una nana bianca in orbita intorno a una stella compagna che esploderà come un particolare tipo di supernova nel giro di pochi milioni di anni.

Come spiega Sandro Mereghetti, INAF–IASF Milano che ha coordinato la ricerca ed è primo autore dell'articolo apparso su "Science", non si tratta di una nana bianca ordinaria: dalle misurazioni risulta che essa ha una massa circa doppia rispetto a quanto atteso. La maggior parte di questi oggetti concentra circa 0,6 masse solari in un oggetto delle dimensioni della Terra. In questo caso invece una massa circa doppia rispetto a tale valore è contenuta in un oggetto con un diametro pari a metà di quello terrestre. Un’alta particolarità è che essa ruota su se stessa a una velocità finora mai osservata, compiendo una rotazione ogni 13 secondi.

Gli astronomi sono sulle tracce di questo misterioso oggetto fin dal 1997, quando fu scoperto che qualcosa stava producendo radiazione X nelle vicinanze della stella brillante denominata HD 49798. Ora grazie alla sensibilità degli strumenti montati a bordo di XMM-Newton, si è riusciti a ricavarne l’orbita e a stabilire che si tratta di una nana bianca, ciò che resta della morte di una stella.

Con tutta probabilità, un simile valore di massa è stato raggiunto cannibalizzando la stella compagna ed è ora vicino a un limite pericoloso. In corrispondenza di 1,4 masse solari, infatti, si ritiene che una nana bianca esploda o collassi a formare un oggetto ancora più compatto chiamato stella di neutroni.

L’esplosione di una nana bianca è la spiegazione più accreditata per il fenomeno classificato come supernova di tipo 1a, un evento estremamente brillante che insieme ad altri dello stesso tipo vengono utilizzati come radiofari per misurare l’espansione dell’universo. Finora, non si era mai riusciti a trovare una nana bianca in fase di accrescimento in un sistema binario in cui fosse possibile determinare accuratamente anche le masse degli oggetti.

"Si tratta di una stele di Rosetta dei sistemi binari di nane bianche: la nostra precisa determinazione delle masse delle due stelle è cruciale: ora possiamo studiarle ulteriormente e ricostruirne il passato e di conseguenza prevederne il futuro”, ha spiegato Mereghetti. (fc)

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Post n°13 pubblicato il 01 Settembre 2009 da kosmonauta
 

Ecologia e ambiente
Modelli climatologici
Dal ciclo solare al clima terrestre


Il clima terrestre sarebbe molto sensibile alle variazioni di energia legate alle macchie solari a causa di meccanismi sinergici che amplificano gli effetti di quelle piccole fluttuazioni

La quantità di energia emessa dal Sole fluttua secondo un ciclo che dura 11 anni, e che gli scienziati seguono contando il numero di macchie solari che appaiono sulla superficie dell'astro. Queste fluttuazioni undecennali sono tuttavia relativamente piccole ed è piuttosto difficile comprendere come esse possano avere effetti significativi sul clima terrestre, anche se è stata indubiamente rilevata una associazione fra il periodico picco di queste oscillazioni e lo schema delle precipitazioni e della temperatura superficiale delle acque del Pacifico.

Secondo un nuovo modello elaborato da Gerald Meehl e colleghi del National Center for Atmospheric Research (NCAR), e illustrato in un articolo pubblicato su "Science", il clima terrestre sarebbe eccezionalmente sensibile al ciclo solare per la presenza di due meccanismi che operano in sinergia così da produrre un ciclo di feedback capace di amplificare il piccolo effetto solare.

Il primo sarebbe un processo "dall'alto al basso", in cui le fluttuazioni nell'energia solare producono una catena di reazioni che influiscono in prima battuta sull'ozono stratosferico, per tradursi quindi in un aumento delle precipitazioni tropicali. Il secondo sarebbe un processo "dal basso verso l'alto", nel quale le relazioni fra oceano e atmosfera sono influenzate dalle variazioni di energia solare attraverso un aumento dell'evaporazione superficiale, le precipitazioni tropicali, l'intensità dei monsoni e l'aumento delle temperature superficiali delle acque.

Normalmente i modelli climatologici in uso adottano l'uno o l'altro di questi mecanismi, ciascuno dei quali, però, isolatamente preso non è in grado di spiegare l'intensità dell'influsso dei cicli solari sul clima del pianeta, anche perché per varie ragioni, non ultima la "dominabilità" del modello stesso, ciascuno di essi rinuncia a una dettagliata analisi di alcuni fattori: nei modelli down-up non è in genere presente una realistica modellizzazione della stratosfera, negli altri è carente l'analisi delle relazioni all'interfaccia fra la superficie del mare e l'atmosfera.

Adottando una serie di ipotesi e semplificazioni Meehl e collaboratori sono riusciti produrre un modello che unifica i due approcci che ha permesso di riprodurre gli andamenti climatici relativi alle precipitazioni e alle temperature delle acque superficiali del Pacifico mettendole in buona relazione con i cicli solari.

Il nuovo modello ha peraltro già sollevato le critiche di diversi altri ricercatori che hanno osservato da un lato che esso andrebbe testato su periodi più lunghi di quello che è stato preso in considerazione dai suoi creatori, e dall'altro che il sistema atmosfera-oceano è molto più complesso di quello che appare ipotizzato nel modello. (gg)

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Post n°11 pubblicato il 27 Agosto 2009 da kosmonauta
 

pianeta

Astronomia e cosmologia
Le Scienze, Settembre 2009, n. 493
Pianeti improbabili


Gli astronomi stanno individuando pianeti in luoghi del cosmo dove sembrava che la loro esistenza fosse impossibile. Di Michael W. Werner e Michael A. Jura

La straordinaria diversità dei pianeti extrasolari è stata una sorpresa per gli astronomi. I più incredibili sono quelli che orbitano intorno a stelle di neutroni, nane bianche e nane brune: oggetti che a loro volta hanno dimensioni non molto superiori a quelle planetarie. Le stelle di neutroni sono prodotte nelle esplosioni di supernova, perciò con ogni probabilità i loro pianeti sono corpi di seconda generazione aggregati a partire dai resti dell'esplosione. I pianeti in orbita intorno alle nane bianche sono invece i superstiti della fine violenta di una stella di tipo solare.

 

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Post n°10 pubblicato il 25 Agosto 2009 da kosmonauta
 
Tag: fisica

Fisica
Un rivelatore versatile
LIGO: osserva il cosmo e "vede" i quanti


A un milionesimo di grado sopra lo zero assoluto, gli interferometri destinati a captare le onde gravitazionali dei collassi cosmici possono "vedere" effetti quantistici a scala subatomica

"Il presente lavoro, grazie al raggiungimento di temperature dell'ordine dei microkelvin, dimostra che i rivelatori interferometrici di onde gravitazionali, progettati come strumenti di controllo della relatività generale e di fenomeni astrofisici, possono diventare sensibili strumenti di prova di effetti quanto-mecccanici macrosopici": lo scrivono in un articolo pubblicato sul " New Journal of Physics" Thomas Corbitt e Nergis Mavalvala del Massachusetts Institute of Technology, che curano la messa a punto e la calibrazione di alcune strumentazioni di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory).

LIGO è una collaborazione internazionale che fa capo alla U.S. National Science Foundation per la rilevazione delle onde gravitazionali: misurando i più deboli movimenti esibiti da masse di prova rappresentate da specchi, ci si aspetta che LIGO riesca a osservare direttamente la radiazione gravitazionale generata da fenomeni esotici che avvengono nello spazio lontano, dalla collisione fra stellle di neutroni e buchi neri, fino all'esplosione di supernove.

Per monitorare gli spostamenti relativi degli specchi dell'interferometro - posti a 4 chilometri di distanza l'uno dall'altro - vengono utilizzati fasci di luce laser, grazie ai quali LIGO è in grado di registrare spostamenti inferiori al millesimo della dimensione di un protone. Questa sensibilità è richiesta perché l'effetto delle onde gravitazionali previsto è decisamente piccolo.

In diverse bande di frequenza, peraltro, la sensibilità di LIGO è limitata dal "rumore" che deriva dalla natura quantistica della luce laser e dal rumore termico proprio degli stessi specchi. L'osservazione del comportamento quanto-meccanico di LIGO richiede quindi la riduzione del rumore termico, che può essere ottenuta con tecniche simili a quelle per il raffreddamento laser degli atomi, in modo da raggiungere temperature molto prossime allo zero assoluto.

Ora i ricercatori sono riusciti a raggiungere una temperatura di un milionesimo di grado al di sopra dello zero assoluto, e a osservare le oscillazioni di un pendolo a un livello molto prossimo al suo stato quantistico fondamentale. Il risultato suggerisce quindi come l'apparato possa essere utilizzato anche per osservare comportamenti quantomeccanici, come per esempio l'entanglement, a una scala di masse finora ritenuto impensabile. (gg)

 

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Post n°9 pubblicato il 21 Agosto 2009 da a.ciervo
 

Astrofisica
Un'ipotesi alternativa
L'origine della misteriosa radiazione della Via Lattea


I positroni che riforniscono la radiazione non provengono dalla materia oscura ma da una sorgente completamente differente e più misteriosa: le stelle massicce che esplodono e lasciano dietro di sé elementi radioattivi che decadono in particelle più leggere

 

Non è la materia oscura la sorgente della misteriosa radiazione presente nella Via Lattea: è quanto hanno scoperto i ricercatori dell'Osservatorio per raggi gamma Integral dell'ESA.

Più precisamente, la materia oscura non è più necessaria per spiegare ciò che viene osservato da Integral, che ha permesso una migliore comprensione di come si comportano i positroni che viaggiano nella nostra galassia.

La radiazione in questione è nota fin dagli anni settanta, e finora sono state proposte diverse teorie per spiegarla. Ora la risoluzione spaziale e spettrale degli strumento di osservazione di Integral ha mostrato la presenza di un picco molto accentuato al centro della galassia, con un'asimmetria lungo il disco galattico.

Alcuni studiosi hanno considerato la possibilità che all'origine della radiazione vi sia la materia oscura, postulata, com'è noto, per rendere conto della massa mancante dell'universo che, pur essendo invisibile, fa avvertire la sua interazione gravitazionale. Secondo le attuali conoscenze, essa è presente anche all'interno e intorno alla Via Lattea, formando un alone.

Il recente studio ha trovato che i positroni – le antiparticelle degli elettroni – che riforniscono la radiazione non sono prodotti dalla materia oscura ma da una sorgente completamente differente e molto più misteriosa: le stelle massicce esplodono e lasciano dietro di sé elementi radioattivi che decadono in particelle più leggere, tra cui positroni ed elettroni.

L'ipotesi originale era stata formulata considerando che i positroni, elettricamente carichi, sono influenzati dai campi magnetici e non sarebbero perciò in grado di viaggiare su lunghe distanze. Poiché la radiazione veniva osservata in regioni che non sono in accordo con la distribuzione delle stelle, la materia oscura era stata invocata come alternativa dell'origine dei positroni.

I risultati recenti del gruppo di astronomi guidati da Richard Lingenfelter dell'Università della California a San Diego provano invece che i positroni che si formano con il decadimento radioattivo possono viaggiare anche su lunghe distanze, e lasciare anche il disco galattico. (fc)

 

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Post n°8 pubblicato il 18 Agosto 2009 da a.ciervo
 

Astrofisica
Presentato dal Goddard Space Flight Center della NASA
GEMS, nuova missione per studiare i buchi neri


Lo strumento sarà 100 volte più sensibile nei confronti della polarizzazione di qualunque altro osservatorio a raggi X








 

Porta il nome di GEMS, acronimo per Gravity and Extreme Magnetism Small Explorer (GEMS), la nuova missione astrofisica guidata dal Goddard Space Flight Center della NASA di Greenbelt, nel Maryland, che intende fornire una rivoluzionaria visione dell'universo, misurando per la prima volta la polarizzazione delle sorgenti di raggi X.

"Finora, gli astronomi hanno misurato la polarizzazione dei raggi X di un solo oggetto posto al di fuori del sistema solare, la Nebulosa del Granchio, che segna una regione di esplosione stellare”, ha commentato Jean Swank, astrofisico del Goddard e principal investigator del GEMS. “Ci aspettiamo che GEMS riveli decine di sorgenti di questo tipo e possa aprire una nuova frontiera di ricerca.”

Per comprendere l'obiettivo scientifico della missione, occorre tener conto che della fisica del buco nero: a emettere la radiazione X sono elettroni che si muovono ad alta velocità e che spiraleggiano intorno agli intensi campi magnetici. Inoltre, il campo gravitazionale estremo nelle vicinanze di un buco nero ruotante non solo devia il cammino dei raggi X, ma ne altera la direzione del campo elettrico.

Le misurazioni di polarizzazione possono perciò rivelare, grazie a GEMS, la presenza di un buco nero e fornire agli astronomi informazioni sul loro spin,fornendo così  gli strumenti per esplorare un altro aspetto di questi ambienti estremi dell'universo.

"Grazie a questi effetti, GEMS può studiare scale spaziali inferiori a quelle di qualunque telescopio si possa immaginare”, ha commentato Swank. I raggi X polarizzati portano con sé informazioni sulla struttura delle sorgenti cosmiche che non è possibile ottenere in altro modo. GEMS sarà 100 volte più sensibile nei confronti della polarizzazione di qualunque altro osservatorio a raggi X, e per questo ci aspettiamo molte nuove scoperte”, ha concluso Sandra Cauffman, project manager del GEMS. 

GEMS verrà lanciato non prima del 2014 e durerà circa due anni. L'investimento stimato sarà di 105 milioni di dollari, escluso il lancio. (fc)

By.... Voyager.ONE

 
 
 

Da Le Scienze

Post n°7 pubblicato il 18 Agosto 2009 da a.ciervo
 

Astronomia e cosmologia
Oggetti cosmici
Nuove immagini galattiche catturate da Spitzer


L'anello che appare di colore bianco nelle immagini all'infrarosso rappresenta una regione di intensa formazione stellare

Il telescopio spaziale Spitzer ha permesso di catturare spettacolari immagini della galassia a spirale NGC 1097,  localizzata a 50 milioni di anni luce di distanza da noi. 

Al suo centro è presente un gigantesco buco nero circondato da anelli di stelle: nel codice di colore del rivelatore a raggi infrarossi di Spitzer, l’area del buco nero è visibile in blu, mentre le stelle sono riconoscibili nella parte di colore bianco.
Il buco nero è di dimensioni enormi: possiede una massa pari a circa 100 milioni di volte quella del Sole e alcune centinaia di volte la massa del buco nero al centro della Via Lattea.

"Il destino di questo buco nero, così come quello di altri, rappresenta un’area di ricerca molto vivace”, ha commentato George Helou, direttore dello Spitzer Science Center  della NASA presso il California Institute of Technology di Pasadena. "Secondo alcune teorie, esso potrebbe rimanere quiescente e infine entrare in una fase di ancora minore attività come quello della Via Lattea”.

L’anello che vi sta intorno è invece un’area di intensa formazione stellare.
"Lo stesso anello è un oggetto affascinante e meritevole di approfonditi studi, poiché il tasso di formazione stellare che lo caratterizza è veramente molto elevato”, ha aggiunto Kartik Sheth,  astronomo dello Spitzer Science Center. (fc)

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By... Voyager.ONE

 

 
 
 

Buon Ferragosto

Post n°6 pubblicato il 14 Agosto 2009 da kosmonauta
 

ferragosto

Ciao A tutti....

Buon ferragosto....

By... Voyager.ONE

 
 
 

Stelle Cadenti...

Post n°5 pubblicato il 12 Agosto 2009 da kosmonauta
 

Sweden, Lapland, European Space Agency (ESA) Kiruna, satellite dish under starry night sky

Meteora

Meteora Fenomeno luminoso provocato dall’ingresso di un corpo solido nell’atmosfera di un pianeta; per effetto dell’aumento di temperatura determinato dall’attrito con l’aria, il corpo, detto meteoroide, vaporizza rapidamente, consumandosi prima di giungere al suolo e rendendosi visibile sotto forma di scia luminosa.

Le meteore brillanti, note come “bolidi”, sono fenomeni rari e consistono di un nucleo luminoso seguito da una scia di luce simile a una cometa, che persiste per alcuni minuti; alcune esplodono, accompagnate da un suono simile a un tuono. Le meteore deboli, dette più comunemente “stelle cadenti”, sono in genere fenomeni singoli e sporadici. Vi sono però alcuni periodi dell’anno in cui, nell’intervallo di pochi giorni o addirittura di poche ore, si vedono migliaia di meteore, che sembrano provenire da una stessa regione del cielo, detta quadrante. Questi sciami sono chiamati piogge meteoriche e prendono il nome dalla costellazione in cui si trova il quadrante. Alcuni di essi appaiono ogni anno negli stessi giorni e sono detti piogge periodiche; altri si verificano irregolarmente. I periodi delle piogge meteoriche coincidono generalmente con quelli di alcune comete.

La maggior parte dei meteoroidi si disintegrano in volo e, sulla Terra, cadono solo delle polveri; i frammenti di meteoroidi che riescono a raggiungere la superficie terrestre o di un altro pianeta sono detti meteoriti.


 
 
 

Buco Nero

Post n°4 pubblicato il 18 Luglio 2009 da kosmonauta
 

buco nero
Buco nero
1.Introduzione

Buco nero Corpo celeste dotato di un campo gravitazionale talmente intenso da attirare a sé tutta la materia circostante e da trattenere perfino la luce e ogni altro tipo di radiazione elettromagnetica. Il campo gravitazionale che lo caratterizza è tale che la materia al suo interno viene compressa in uno stato a densità pressoché infinita. Il concetto di buco nero venne sviluppato per la prima volta nel 1916 dall’astronomo tedesco Karl Schwarzschild sulla base della teoria della relatività generale di Albert Einstein.

2.Formazione

I buchi neri rappresentano lo stadio finale dell’evoluzione delle stelle più massive. Quando il combustibile nucleare di una stella si esaurisce, la pressione verso l’esterno, associata al calore prodotto dalle reazioni nucleari, non è più sufficiente per contrastare il processo di contrazione gravitazionale dell’astro.

In queste condizioni, secondo la massa della stella, questa può degenerare in una nana bianca, nel caso di massa modesta paragonabile a quella del Sole, oppure in una stella di neutroni, nel caso di massa maggiore. Se la massa del nucleo stellare che rimane al termine dell’evoluzione della stella supera un valore pari a tre masse stellari, la contrazione gravitazionale è talmente forte da dare origine a un buco nero.

3.Proprietà

Il modello corrente di buco nero prevede che esso sia delimitato da una superficie sferica ideale, detta “orizzonte degli eventi”, che segna il limite attraverso il quale la luce può entrare ma non uscire. Il raggio di questa superficie, detto “raggio di Schwarzschild”, è dato dalla formula R = MG/c2, dove m indica la massa del buco nero, G la costante di gravitazione universale e c la velocità della luce. Riformulando la relazione in funzione della massa del Sole, si trova che R = 3(M/Ms) km; partendo da quest’ultima formula, è facile verificare che un ipotetico buco nero della massa del nostro Sole avrebbe un raggio pari a soli 3 km (il raggio del Sole, per confronto, è di circa 700.000 km).

Secondo la relatività generale, in prossimità di un buco nero la forza gravitazionale altera in maniera sensibile lo spazio-tempo. In particolare, il tempo rallenta man mano che ci si avvicina, dall’esterno, all’orizzonte degli eventi, e si ferma completamente sull’orizzonte stesso. Inoltre, la stessa forza gravitazionale è responsabile di un altro fenomeno previsto dalla teoria della relatività generale, ossia dell’incurvamento della luce: un raggio di luce, notoriamente rettilineo, che passasse in vicinanza di un buco nero, verrebbe incurvato dal suo campo gravitazionale e deviato dalla linea retta. Tale fenomeno prende il nome di lente gravitazionale. Al limite, a una distanza pari al raggio di Schwarzschild, il raggio di luce si avvilupperebbe intorno al buco nero senza poter più proseguire.

4.“Osservazione” dei buchi neri

Poiché i buchi neri non emettono radiazioni, non possono essere osservati in modo diretto come tutti gli altri corpi celesti. La loro rilevazione, dunque, avviene in modo indiretto, attraverso gli effetti gravitazionali che essi producono nello spazio circostante. In particolare, gli scienziati attualmente ricercano i buchi neri tra i componenti invisibili di sistemi stellari binari, e soprattutto tra quelli sorgenti di raggi X. In questi casi, ci si accorge della presenza di un buco nero dal moto orbitale compiuto da una stella intorno a un invisibile centro di massa. Se poi questa stella è una gigante rossa, i gas e le polveri dei suoi strati più esterni vengono risucchiati dal campo gravitazionale del buco nero e vanno ad addensarsi in una struttura discoidale chiamata “disco di accrescimento”. Da qui, lentamente, per effetti gravitazionali e magnetici, collassano sul buco nero, emettendo radiazione X.

Uno dei buchi neri ipotizzati dagli astronomi si potrebbe trovare in corrispondenza di Cygnus X-1, una stella probabilmente doppia, nella quale la componente primaria è rappresentata da una stella di massa pari a circa 30 masse solari. Lo spostamento delle linee dello spettro di emissione, dovuto all’effetto Doppler, lascia supporre un suo moto orbitale intorno a un ipotetico compagno. Un’emissione simile a quella che si osserva per Cygnus X-1 è generalmente prodotta da un disco di accrescimento. Dato l’elevato valore della massa, il compagno in Cygnus X-1 potrebbe essere proprio un buco nero.

Altri possibili buchi neri osservati sono due sorgenti di raggi X situate nella vicina galassia della Grande Nube di Magellano (vedi Nubi di Magellano), nella costellazione dell’Unicorno e al centro della galassia M87.


 
 
 

Vacanze...

Post n°3 pubblicato il 26 Giugno 2009 da kosmonauta
 

mare

Ciao A tutti

il Blog chiude per ferie

ci ritroveremo a fine luglio

Grazie a chi passa di qui e lascia un commento

By...Voyager.ONE

 

 
 
 

Buco Bianco

Post n°2 pubblicato il 24 Giugno 2009 da kosmonauta
 

buco bianco

 

Buco bianco

Buco bianco Ipotetico corpo celeste con caratteristiche opposte a quelle del buco nero. Se effettivamente esistesse, un buco bianco sarebbe una singolarità che continuamente riversa materia ed energia nell’universo. La regione circostante un buco bianco dovrebbe essere caratterizzata da un intenso campo gravitazionale, capace di attirare a sé tutta la materia e l’energia eiettata dal buco bianco. Alcuni scienziati ritengono che il fenomeno del Big Bang, con cui avrebbe avuto origine l’universo, potrebbe essere ricondotto a un caso di buco bianco. Secondo un’altra ipotesi, i buchi bianchi potrebbero essere il lato nascosto dei buchi neri, collegati a questi da tunnel dello spazio-tempo chiamati cunicoli spazio-temporali.


 
 
 

Big Bang

Post n°1 pubblicato il 23 Giugno 2009 da kosmonauta
 

big bang
Big Bang

Big Bang Modello cosmologico che descrive l’origine dell'universo come una gigantesca esplosione a partire da una singolarità, un punto infinitamente denso e caldo dello spazio-tempo. Il modello descrive tutto ciò che si ritiene possa essere accaduto a partire da 0,0001 s dall’istante iniziale: come da una massa informe di energia possano aver preso forma a poco a poco tutte le particelle costituenti la materia – e l’antimateria – e come lo spazio-tempo possa essersi espanso in un processo di dilatazione che continua tuttora.

Il modello del Big Bang fu formulato a partire dagli anni Venti del Novecento, quando dalle equazioni della relatività generale di Albert Einstein apparve evidente che l’universo non è un sistema statico, ma dinamico. Il primo a fornire una teoria di universo in espansione fu l’astronomo belga Georges Lemaître; seguirono i contributi di Aleksandr Fridman, Edwin Hubble, George Gamow e Stephen Hawking, che portarono alla costruzione del modello attuale. Fu Fred Hoyle, tuttavia, principale oppositore dell’idea di universo dinamico, a coniare il nome di Big Bang (in inglese “grande colpo”) con intenzioni denigratorie.

La teoria del Big Bang trova importanti conferme sperimentali nel fenomeno dello spostamento verso il rosso della luce proveniente da galassie lontane e in quello della radiazione cosmica di fondo, il residuo dell’energia presente negli istanti iniziali della grande “esplosione”; lascia tuttavia importanti questioni aperte inerenti l’origine delle galassie e le sorti ultime del processo di espansione. Riguardo a queste ultime, le ipotesi sono tre: potrebbe essere che lo spazio-tempo sia destinato a dilatarsi indefinitamente (ipotesi di universo aperto); oppure che debba esaurire un giorno la sua espansione per raggiungere uno stato di equilibrio (universo piatto); oppure, infine, che debba un giorno invertire il processo di espansione per intraprendere una gigantesca contrazione, oggi definita Big Crunch (universo chiuso).


 
 
 

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