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L'ARTE MILLENARIA KUNG FU  7

Post n°9 pubblicato il 20 Marzo 2008 da the_tsunami_san
 

L’addestramento fisico a mentale dato dall’ascetismo monastico dava probabilmente i suoi frutti. Nel frattempo, e per tutta la storia del monastero, esso era rifugio sicuro di briganti pentiti e guerrieri convertiti o braccati.

Tutti esperti nell’arte della guerra, che ebbero modo di confrontare con ciò che si praticava tra i monaci. Così il bagaglio dello Shaolin kung fu cresceva, come pure la sua fama, per arrivare al culmine tra 1500 e 1600. I racconti dell’epoca dicono che non fosse affatto facile essere ammessi a studiare a Shaolin Szu, e che una volta ammesso, il novizio veniva sottoposto a prove e umiliazioni che avrebbero scoraggiato persino i più forti, tutto allo scopo di saggiarne la personalità. Gli veniva poi rasato il capo, su cui un monaco anziano, durante un’apposita cerimonia, applicava delle bruciature per mezzo di una pasta vegetale scaldata da un bastoncino d’incenso. Quello era il marchio che suggellava indelebilmente la scelta del monaco.

A quel tempo non era facile neppure penetrare nel monastero, e tanto meno uscirne, senza il beneplacito dei superiori, poiché le vie d’accesso a esso erano costellate di infide trappole mortali.  Il monaco Shaolin avrebbe potuto lasciare il tempio solo quando i maestri lo avessero giudicato pronto. A quel punto, sempre secondo la leggenda, egli doveva superare un’ultima, terribile prova: le 36 camere.  

Era questo un percorso tra le segrete del tempio, che il monaco doveva  percorrere per giungere al portale che conduceva all’esterno. Lì avrebbe trovato un pesante calderone di bronzo pieno di braci roventi, che recava sui suoi fianchi degli intarsi a forma di drago e di tigre; nell’afferrarlo per spostarlo dall’ingresso, il marchio del drago a della tigre si sarebbe impresso a fuoco sui suoi avambracci, a suggellare per sempre l’appartenenza all’ordine. Solo che ognuna delle 36 camere celava insidie mortali, contro le quali il monaco avrebbe dovuto battersi per dimostrare il proprio valore e la propria preparazione. Secondo una versione più realistica della storia, il monaco doveva affrontare 36 confratelli, ognuno dei quali avrebbe combattuto con modalità diverse a senza esclusione di colpi.

  Uno dei primi stili Shaolin di cui si ha memoria è il Sho Pa Luohan Shou, le 18 mani dei discepoli di Buddha, sotto il cui nome vanno anche delle mosse giunte sino a noi. Famose furono anche le 32 tecniche del T’ai Tzu chang ch’uan, “la boxe lunga del Grande Antenato”, messe a punto dall’imperatore Chao K’uang Yin (X sec.). Alla stessa dinastia apparteneva anche il famoso generale ed eroe cinese Yueh Fei,

abilissimo nell’uso della lancia a creatore del pa tuan chin, gli “otto pezzi di broccato”, una ginnastica energetica che prepara il corpo al kung fu. Al comandante Yueh Fei la leggenda attribuisce anche la creazione del celebre stile interno hsing i. Ma lo stile che più facilmente viene ricondotto al monastero è il wu hsin ch'üan, il pugilato delle cinque forme, che si ispirava, come già fece Hua To, al modo di combattere di 5 animali: il drago, la tigre, il leopardo, il serpente e la gru. 

Esso fu codificato nel XVI sec. dal monaco Chueh Yuan, dopo aver beneficiato dei consigli e delle modifiche allo stile Shaolin dei maestri Li Sou e Pai Yu Feng. Le 70 tecniche della forma wu hsing originali sono, per quanto se ne sa, andate perdute, e le forme omonime attuali sono tutte di costituzione di gran lunga posteriore.

Nel frattempo erano state pensate alcune forme un po’ più morbide di Shaolin, come il rou ch’uan, “pugilato morbido”, e il mien ch'üan, “pugno di cotone”, precursori degli stili interni; in realtà, per assistere alla vera a propria divisione tra stili interni ed esterni, bisognerà attendere la dinastia Ch’ing (1644-1911). Siamo qui a un altro punto cruciale della storia del kung fu: dal 1644 al 1911, la Cina fu dominata dai manchu, una rozza popolazione barbarica del nord che si impadronì con la forza del trono imperiale, spodestando l’ultimo imperatore Ming.Fin dal primi momenti, tra il popolo cinese sorsero focolai di rivolta e  resistenza allo straniero.

Gli ordini religiosi guerrieri si schierarono in prima linea e i monasteri divennero centri di addestramento e rifugio per i rivoltosi. La cosa non sfuggì all’esercito invasore, che, oltre a proibire con la pena di morte la pratica delle arti marziali e l’uso di armi, nel 1736 distrusse, ed era la seconda volta, il monastero di Shaolin.

 La diaspora dei monaci scampati all’attacco, che ne seguì, li portò a disperdersi lungo tutto il territorio cinese. Essi si diedero ad addestrare segretamente il popolo, ovunque si trovassero, in vista della ribellione anti-manchu. Questo causò da una parte l’ampia diffusione tra la popolazione civile di segreti marziali, che per secoli erano stati riservati solo a individui scelti accuratamente; dall’altra causò la dispersione dei maestri su un territorio vastissimo, determinando l’ulteriore frammentazione delle conoscenze a degli stili. Contemporaneamente, senza dubbio con l’apporto clandestino dei monaci e dei clan guerrieri, vi fu un rigoglioso fiorire di società segrete, nate per opporsi allo strapotere dei dominatori e prendersi cura del popolo oppresso.

 Esse furono le precorritrici delle moderne triadi, poi degenerate allo status di gang criminali. Grazie alla suddetta diaspora, comunque, molti stili del nord poterono raggiungere le province meridionali.  A tal proposito vi è una storia, diffusa negli ambienti del kung fu, secondo cui i monaci scampati alla distruzione del tempio Shaolin del 1736 trovarono rifugio a sud, nella regione del Fuchien e lì costruirono un secondo tempio (secondo alcuni autori il tempio Shaolin del Fuchien doveva già esistere, così come altri omonimi appartenenti allo stesso ordine), dove crearono la scuola Shaolin del Sud (Siu Lam in Cantonese), che dovette influenzare la formazione di alcuni stili del tempo. Ma pochi anni dopo il tempio del Fuchien seguì la sorte del primo e questa volta solo 5 monaci sopravvissero, per dare vita a nuovi stili di Shaolin del Sud. Tra essi il choi li fat, l’hung gar e il mok gar. Del resto fu proprio durante la nefanda dinastia Ch’ing che emergono alla ribalta della storia molti degli stili tuttora conosciuti, come il t’ai chi ch'üan ed il pa kua per la scuola interna, il pai ho, il pai mei e lo yung chun per la scuola meridionale.  

 
 
 

L'ARTE MILLENARIA  KUNG FU 6

Post n°8 pubblicato il 20 Marzo 2008 da the_tsunami_san
 

I templi taoisti, in cui all’epoca si praticava una dottrina ancora permeta dall’animismo autoctono cinese, furono terreno fertile per lo sviluppo della vasta filosofia a che sta alla base del kung fu. Sorsero così arti al limite della magia, dai nomi misteriosi come fa shu, l’arte nera, yin shen shu, l’arte di far scomparire il corpo, o Mou Shan shu, l’arte dei monti Mou. E’ bene ricordare, comunque, che i maestri che portarono alla ribalta queste arti attingevano a pratiche antiche come la notte dei tempi, di cui loro non erano che i più recenti depositari.

Giungiamo così, attraverso un altalenarsi di rivolte e anni di pace, alla grande prosperità della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.). In questo periodo le arti marziali a mani nude vennero chiamate chi ch’iao, “abilità e talento”, oppure shou po, “mano che colpisce a pugno”; risale invece al I sec. d.C. l’invenzione da parte di Kuo I del chang shou, la “lunga mano”, uno stile che ha buone probabilità di essere un antecedente diretto della boxe del tempio Shaolin.

 

Spodestati gli Han, ebbe inizio il Periodo dei Tre Regni (220-280 d.C.), durante il quale le arti marziali vennero notevolmente raffinate e molti eroi ne rimpinguarono le leggende.

Poco prima di quest’epoca il medico taoista Hua To (141-208) codificò “il gioco dei 5 animali”, una serie di esercizi fisici ed energetici che prendeva spunto da cinque animali, (secondo altri storici gli animali sarebbero stati dieci): la tigre, l’orso, il cervo, la scimmia a la gru. E’ questa una delle prime testimonianze di ispirazione di una pratica fisica al regno animale, consuetudine che diverrà cara ai maestri di arti marziali.

La tappa successiva nella storia del kung fu concerne l’evento in assoluto più rinomato; si tratta dello stanziamento sul suolo cinese nel anno 527 d.c. del prete indiano Bodhidharma (Ta Mo in cinese), 28° patriarca del buddismo, che è stato considerato erroneamente l’iniziatore dello Shaolin kung fu.

di tecniche d’ispirazione yoga, che aiutassero i monaci a meglio sopportare le estenuanti sedute di meditazione. A tal proposito, si attribuiscono a Bodhidharma due trattati di chiara matrice anatomofisiologica: l’ “I Chin

Ch’ing” (“Trattato sul movimento dei tendini”) e lo “Hsi Sui Ching” (“Trattato sul lavaggio del midollo osseo”). Non sembra comunque così impossibile che Ta Mo fosse a conoscenza di tecniche di combattimento, essendo egli figlio di un re a per di più provenendo da una delle patrie storiche delle antichissime arti marziali indiane, Madras, nel Kerala.

Ancora più probabile appare il fatto che in quegli anni, nel via vai di monaci indiani in Cina intenti a diffondere il buddismo e monaci cinesi in India per studiarlo, ci sia stato un qualche scambio di conoscenze marziali.

Comunque sia andata, cento anni dopo la scomparsa, avvolta nel mistero, di Ta Mo, cominciò a risuonare per tutta la Cina la fama di combattenti formidabili dei monaci Shaolin.

Shaolin Szu (il Monastero della Piccola Foresta) sorgeva sulle pendici di uno dei monti sacri della Cina, il Sung  Shan , nella provincia di Honan; esso era stato eretto nel 496 d.c. dall’imperatore Wen Ti per ospitare il monaco indiano Pa Tuo e probabilmente aveva già ospitato tra le sue mura qualche monaco abile nell’arte del combattimento, oppure qualche esperto guerriero, attratto dalla recente rifioritura della dottrina buddista. Ciò che con maggior probabilità fece Bodhidharma, oltre a dare una svolta determinante al buddismo cinese con la consolidazione della setta Ch’an, fu l’apporto a Shaolin

 
 
 

L'ARTE MILLENARIA

Post n°7 pubblicato il 20 Marzo 2008 da the_tsunami_san
 

La pratica della guerra nacque quando un uomo desiderò qualcosa in contesa con un altro uomo; e da allora non ci ha più abbandonato.

Considerato il fatto che le armi da fuoco sono una risorsa tutto sommato recente, soprattutto in Oriente, non possiamo escludere che l’arte marziale sia nata con l’uomo. Tuttavia le prove storiche dell’esistenza di una vera a propria disciplina di combattimento risalgono a tempi più vicini al presente e, per quanto riguarda la Cina, sono difficilmente distinguibili dalla leggenda. Infatti la documentazione giunta sino a noi è assai scarsa o inattendibile, tale per cui la trattazione storica è necessariamente, a nostro parere, incerta.

Proprio in epoca protostorica, al tempo del mitico Imperatore Giallo Huang Ti (circa 2697 a.C.), la leggenda narra dell’esistenza di una violenta forma di combattimento, il ch’ih yu hsi, in cui i contendenti

Fu questo un periodo di grande fervore culturale,con la presenza di saggi che influenzeranno per sempre il pensiero cinese, arti marziali incluse. Tra essi Kung Fu Tzu (Confucio), il taoista Lao Tzu ed i grandi strateghi Sun Tzu e Wu Tzu.

Ma contemporaneo di Confucio fu un saggio assai poco conosciuto nella stessa Cina, il maestro Mo Ti. Questi, che fondò un sistema filosofico di notevole interesse e complessità, fu anche un grande guerriero, a capo di un gruppo di cavalieri che rappresentò forse l’acme delle capacità marziali della storia cinese. Si era nel turbolento periodo degli Stati Combattenti (V-III sec. a.C.) e questi prodi guerrieri, chiamati yu hsie, “cavalieri erranti”, erano professionisti della guerra assai ricercati, al soldo dei signori locali.

Il celebre storico Szu Ma Chien (vissuto intorno al 204 a.C.) ci parla degli yu hsie come di individui di grande spessore morale, coraggio disinteressato e determinazione guerriera. Spesso, quando l’esercito di cui un gruppo di yu hsie faceva parte veniva sconfitto, i cavalieri erranti cercavano rifugio in villaggi isolati, su aspre montagne o nella quiete dei templi. Qui essi potevano creare, sotto la loro sapiente guida, scuole marziali e sette guerriere, contribuendo alla commistione tra abilità marziali a quella ricerca filosofico-esoterica che era parte integrante della loro vita.

 Più probabilmente  si trattava di una lotta a base di testate, chiamata go ti, sopravvissuta in forma rituale sino a tempi recenti. Reperti archeologici risalgono invece al 1700 a.C., nella forma di vasche affrescate con scene di combattimento a mani nude.Reperti archeologici risalgono invece al 1700 a.C., nella forma di vasche affrescate con scene di combattimento a mani nude.

indossavano copricapi muniti di corna, con le quali cercavano di trafiggersi; lo stesso Huang Ti se ne servì per sconfiggere il malvagio mostro cornuto Ch’ih Yu, figura allegorica the potrebbe celare un crudele capo militare dell’epoca. 

 
 
 

KUNG FU  4

Post n°6 pubblicato il 20 Marzo 2008 da the_tsunami_san
 

Allenare il kung fu, in accordo con i principi dell'antichissima medicina cinese, che sempre più vengono confermati dalle scienze moderne, è anche un ottimo modo per mantenersi in ottima salute psicofisica; parallelamente a tutti quei vantaggi che può dare qualsiasi disciplina sportiva (condizionamento cardiorespiratorio, eliminazione delle tossine, riequilibrio ormonale, vantaggi per l'apparato muscolo-scheletrico,

miglioramento della coordinazione, eccetera), l'accento è posto sulla cura per gli aspetti respiratori ed energetici. La sensazione di benessere che si prova dopo un corretto allenamento di kung fu tende a stabilizzarsi, a lungo andare, nella vita quotidiana.

Col tempo la già citata, continua commistione tra strategia del combattimento, scienza, filosofia e religione ha comportato in molti casi un trascendere il rudimentale scopo della

predominanza nello scontro fisico, per puntare a un fine superiore:

fu così che molte scuole di kung fu fecero proprio l'ideale delta formazione di un individuo completo, in armonia con se stesso e con l'ambiente, in grado di vivere al massimo delle potenzialità umane. Così il kung fu è divenuto, in Cina, anche un prezioso strumento di educazione e di crescita personale. Il primo dovere di un shih fu, specialmente nei confronti degli allievi più giovani, dovrebbe essere proprio fornire un'educazione che aiuti a crescere persone complete e migliori.

In Cina, infatti, non era desueto che le famiglie affidassero, a tale scopo, un figlio a un maestro di kung fu. Così, per riassumere, prima di divenire un vero shih fu, dovrete avere acquisito conoscenze accurate in vari campi dell'umano sapere: dalla medicina alla psicologia, alla pedagogia; ma anche la fisica, la chimica (ciò che un tempo si chiamava alchimia) e le scienze naturali, senza trascurare le belle arti e la letteratura, essenziali per un reale arricchimento e un’evoluzione dello spirito umano: molti maestri sono stati ottimi calligrafi, pittori, poeti o musicisti. Tradizionalmente, l'ideale confuciano voleva il guerriero esperto sia di arti militari (wu) che di letteratura (wen). Ciò non significa, comunque, che la storia del kung fu sia stata costellata solo di grandi eruditi: non era tanto il livello di cultura raggiunto, quanto la disposizione, la qualità dell’animo.

Oggi,un po’ in tutto il mondo, giovani e meno giovani, donne e uomini si accostano al kung fu per svariate ragioni. Spesso la motivazione può essere un’insicurezza più o meno profonda, che non deve costituire fonte di vergogna, giacché si tratta di un ruolo che il kung fu ha svolto praticamente da sempre, sia nel suo aspetto fisico che in quello psichico o spirituale.

 
 
 

KUNG FU   3

Post n°5 pubblicato il 20 Marzo 2008 da the_tsunami_san
 

D'altro canto, nella Cina Popolare, a partire dall'avvento del comunismo, quando si parla di wu shu si intende spesso il wu shu moderno, una disciplina sportiva che pone enfasi sull'estetica del movimento e sulla prestazione ginnica, più che sull'aspetto marziale. 

A livello popolare, i termini wu shu e wu i sono considerati più dotti e accademici, mentre, d’altra parte, nel linguaggio comune capita di indicare la pratica del kung fu con ta ch'üan, che letteralmente significa “colpi di pugilato”, ma in senso esteso indica appunto l’allenamento delle arti marziali.

Il kung fu è primariamente un modo di combattere di origine cinese; per millenni, e nelle più svariate condizioni storiche e sociali, i cinesi l'hanno utilizzato per lottare, conquistare e difendersi, non di rado anche a scapito delta vita. Un'arte marziale che sia veramente tale deve fornire i mezzi per vincere in uno scontro, di qualunque tipo esso sia. E per millenni gli stessi cinesi hanno cercato il modo più efficace di pervenire a questo risultato. L'abilità degli antichi praticanti è divenuta giustamente leggendaria, a nella maggior parte dei casi il livello attuale è ben lontano da essa. Ciò non toglie che ancora oggi i vari stili tradizionali di kung fu rappresentino un metodo di combattimento di notevole efficacia. Efficacia che, tuttavia, si rivela alto studente solo dopo un periodo piuttosto lungo, variabile a seconda delle attitudini individuali, di pratica assidua

Le tecniche di combattimento, infatti, devono essere praticate ripetutamente per innumerevoli volte, finché non entrino a far parte delle reazioni inconsce e istintive dell'allievo; solo allora non ci sarà più spazio tra l'attacco dell’avversario e la propria, precisa, reazione, perché non ci sarà bisogno di ricorrere ai lenti processi della mente razionale per pensare al da farsi.

Tutto accadrà spontaneamente e il tempo e lo spazio muteranno di significato, al servizio dell'ineluttabile vittoria del guerriero kung fu. Infine l'uomo diventerà il kung fu. Ecco perché si dedica molto tempo all'allenamento quasi ossessivo delle forme e delle tecniche di base, create secondo il principio della massima utilità. Al principiante occidentale può sembrare di perdere del tempo in posizioni assurde, soprattutto se confrontate con sport da combattimento più recenti; sono solo, in realtà, chiavi di  accesso a una realtà più profonda. Per costruire un castello, si dice nel kung fu, ci vuole molto tempo a lavoro, ma sarà poi assai difficile da abbattere, mentre per costruire una casa ci vuole meno tempo, ma essa crollerà molto più facilmente. 

 Le arti marziali cinesi sono state nei secoli codificate seguendo le leggi delta natura, della fisica, secondo una precisa conoscenza del corpo e dello spirito umani. Questo ci porta a considerare un secondo aspetto delta pratica del kung fu, quello salutare. Sarebbe oltremodo stolto divenire bravissimi nell'evitare di essere danneggiati da un avversario per poi autodanneggiarsi con una pratica scorretta.

Considerazioni come queste portarono probabilmente il grande, mai dimenticato maestro Chang Dsu Yao ad asserire che il kung fu è per un 30% autodifesa a per un 70% salute.

 
 
 
 
 

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Un blog di: the_tsunami_san
Data di creazione: 17/03/2008
 

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