Creato da W_Kurtz il 28/05/2008

Clandestino

Mi vida va prohibida dice la autoridad

 

 

Ape regina del business

Post n°11 pubblicato il 29 Settembre 2008 da W_Kurtz

di Luca Fazio

Le api negli Stati Uniti sono un'industria, docile forza lavoro indispensabile per la produzione di frutta e verdura. Ecco perché sono gli americani i più allarmati per gli effetti del tasso di mortalità delle api che ormai supera il 30% (lo stesso che si registra nei principali paesi europei). Ma la morìa delle api ormai è un fenomeno globale che preoccupa gli agricoltori di tutto il mondo: secondo uno studio franco-tedesco pubblicato su Ecological Economics, il valore dell'impollinazione delle principali colture alimentari ha superato i 150 miliardi di euro nel 2005 (il 9,5% del valore totale della produzione di cibo). Dennis van Engelsdorp, del dipartimento di agronomia dell'università di Pennsylvania, è uno dei primi scienziati ad aver descritto la sindrome del «Disturbo da dissolvimento da Colonia» (Ccd) - il decesso repentino e inspiegabile di un'intera colonia - e ad aver calcolato che nel giro di quattro stagioni il sistema agricolo americano non potrà più sopportare questo tasso di mortalità delle api. In un'intervista pubblicata sul quotidiano francese le Monde, van Engelsdorp ha spiegato che negli Usa un apicoltore su due non commercia miele ma vive grazie alla «transumanza» degli alveari, percorrendo migliaia di chilometri per affittare ai contadini un servizio di impollinazione a domicilio. «Un apicoltore della Pennsylvania comincia la stagione sugli aranceti della Florida, poi ritorna a casa e posa gli alveari su un campo di meli, poi si reca dai produttori di mirtilli del Maine, in seguito va in California nelle grandi piantagioni di mandorle...». La California, per esempio, produce l'80% delle mandorle consumate nel mondo e per l'impollinazione utilizza metà delle colonie di api americane (1,4 miliardi): il rischio è che entro il 2012 non ci siano più api sufficienti per impollinare questa coltura (il prezzo per affittare una colonia di api intanto è già passato da 46 a 120 euro). I produttori di cocomeri della Carolina del Nord, per fare un altro esempio, hanno già ridotto la produzione del 50%. Dennis van Engelsdorp ammette che non ci sono ancora certezze condivise sulle cause del declino delle api, anche se ricercatori e legislatori di tutto il mondo ormai puntano il dito contro alcuni prodotti fitosanitari. Italia compresa. E' di cinque giorni fa, infatti, il decreto del ministero della Salute che vieta l'impiego dei pesticidi che contengono neonicotinoidi. Un provvedimento che non ha convinto gli apicoltori «non è indicata la durata del provvedimento», spiega il direttore della rivista Apitalia - e che ha scatenato la controffensiva di Agrofarma, l'associazione delle industrie agro-farmaceutiche. Qual è il problema? Il decreto, spiegano i venditori di pesticidi, avrebbe ripercussioni pesanti perché «i coltivatori di mais non potranno più controllare i parassiti con la conseguente perdita di intere coltivazioni». Quindi, proseguono, gli effetti si farebbero sentire anche sulla produzione delle carni suine, bovine e ovine (con il mais vengono nutriti gli animali). Non è dello stesso avviso la Confederazione italiana agricoltori (Cia) che da tempo ha chiesto la sospensione dei principi attivi devastanti per le api (clothianin, thiametoxan, imidacloprid e fipronil), suggerendo l'utilizzo di sostanze alternative. Insomma, la battaglia per salvare le api è appena cominciata. Nel frattempo tutti possono partecipare alla campagna mondiale per inserirle nella «Red List» delle specie protette: basta una firma su www.apitalia.net.

 
 
 

Imbrocchiamola

Post n°10 pubblicato il 08 Settembre 2008 da W_Kurtz
Foto di W_Kurtz

di Manuela Cartosio

Bere l'acqua del rubinetto, invece della minerale in bottiglia, è un atto di educazione civica. Da insegnare nelle scuole. Tornando tra i banchi, gli scolari di Desio troveranno una novità: brocche, una ogni quattro alunni, piene di ottima acqua del rubinetto. L'iniziativa è promossa da «Brianzacque», l'azienda che gestisce la rete idrica della Brianza. In futuro, promette l'azienda, sarà estesa alle scuole di ogni ordine e grado dei 52 comuni della futura provincia di Monza-Brianza. Per tranquillizzare qualche mamma iperapprensiva, l'Asl farà periodici controlli sulla qualità dell'acqua distribuita nelle brocche e per certificare la pulizia dei contenitori. Il fine dell'iniziativa è duplice: sensibilizzare i ragazzi all'uso consapevole e responsabile di un bene comune, convicerli a smetterla con la minerale.
Liscia o gasata, è inutilmente costosa e inquinante, perché prima viaggia per centinaia di chilometri sui tir e poi riempie le discariche di plastica. Solo il 5% dell'acqua messa in rete da Brianzacque è utilizzata per bere o cucinare. E' verosimile che la media nazionale sia analoga: siamo un popolo di gran bevitori di minerale, a tutto vantaggio delle multinazionali dell'acqua in bottiglia. Nel 2007 in Italia sono stati imbottigliati 12 miliardi di litri di acqua minerale. Per quantità assoluta siamo il quinto maggior consumatore di acqua minerale al mondo, ma sale al terzo posto (dopo Emirati Arabi e Messico) per consumo pro capite (in media ogni italiano ciuccia 202 litri di minerale l'anno).
Si riferiscono al 2006, ma restano validi, i dati contenuti nel dossier «Un paese in bottiglia» diffuso da Legambiente lo scorso marzo, in occasione della Giornata mondiale dell'acqua. Il rapporto censisce 189 fonti attive e 304 marche di acque minerali che generano un volume d'affari di 2,2 miliardi di euro. I canoni che le industrie pagano alle Regioni per attingere l'acqua minerale alle fonti si aggirano sui 3-5 centesimi ogni mille litri: non bastano neppure a coprire i costi sostenuti dagli enti pubblici per smaltire le bottiglie pet che sfuggono alla raccolta differenziata. Solo il 35% delle bottiglie di plastica va al riciclaggio (ci sono forti dubbi che una parte finisca comunque sottoterra). Sapendo che per produrre un chilo di pet (polietilene tereftalato) servono circa due chili di petrolio, è possibile stimare l'impatto ecologico delle sole bottiglie di plastica. Nel 2006 in Italia sono state utilizzate 350 mila tonnellate di pet, con un consumo di 665 mila tonnellate d petrolio e un'emissione di gas serra di circa 910 mila tonnellate di CO2 equivalente. Più difficile (ma basta un'occhiata alle autostrade piene di tir carichi di bottiglie) stabilire l'inquinamento prodotto dal trasporto su gomma dell'acqua minerale.
Solo il 18% delle bottiglie viaggia sui treni. I consumatori babbioni pensano che l'acqua in bottiglia sia più sicura dell'acqua del rubinetto. Convinzione rafforzata da un marketing martellante, fatto di raffiche di spot con testimonial famosi e messaggi pubblicitari sul filo dell'inganno. Solo in pubblicità l'industria dell'acqua in bottiglie investe 370 milioni l'anno. Dispongono di risorse assai più scarse le campagne di varie associazioni a favore dell'acqua «del sindaco». Una, lanciata da Legambiente e Altroconsumo, si chiama «Imbrocchiamola» ed è rivolta a ristoranti e bar perché servano ai clienti acqua corrente.
L'iniziativa brianzola porta le brocche nelle scuole. Con la speranza che i ragazzi conquistati all'acqua del rubinetto disintossichino i genitori che si fanno di minerale.

 
 
 

La Verità che ricordavo

Post n°9 pubblicato il 31 Luglio 2008 da W_Kurtz
Foto di W_Kurtz

Sento di avere una milza nel cervello
la mia vita è un po' più facile
ma è finta
non è bello
come quando ero bambino
come quando ero sereno

sono sano cosi?
è così ch'esser sani?
sono sano cosi?
è così ch'esser sani?
sono così

spiego ai miei sogni
il concetto di onestà
loro che si son trasformati
in una professione adatta
voglio la verità che ricordavo
perchè questa è troppo brutta

sono sano cosi?
è così ch'esser sani?
sono sano cosi?
è così ch'esser sani?
sono così

e il sole sale sopra il continente del male
sopra il quale sto crescendo, migliorando
e dove fingo
di non essermene accorto
che non sto vivendo
sono morto

sono sano cosi?
è così ch'esser sani?
sono sano cosi?
è così ch'esser sani?
sono così

voglio la verità che ricordavo...

 
 
 

La magia di Silvio sui rifiuti campani

Post n°8 pubblicato il 25 Luglio 2008 da W_Kurtz
Foto di W_Kurtz

Prima il bastone dei militari, ora la carota della crisi risolta per tenere buoni i napoletani. Così il capo del governo mette la monnezza sotto il tappeto Berlusconi annuncia la fine dell'emergenza. Non è così Periferie e hinterland sepolte, proteste per Chiaiano
Adriana Pollice
NAPOLI

L'esibizione dei muscoli, con l'esercito a presidiare il piano rifiuti della Campania, non ha fermato le proteste delle popolazioni e allora, dopo il bastone, arriva anche il tempo della carota. Secondo consiglio dei ministri a Napoli in 58 giorni, ieri, e nessuna decisione reale da prendere se non organizzare il mega spot sui rifiuti di Silvio il risolutore supremo, che porta in dote ai sudditi campani 526 milioni di euro, cofinanziati in parti uguali tra ministero dell'Ambiente e regione Campania.
L'obiettivo è quello di effettuare le bonifiche e compensare i 37 comuni campani (un elenco di disastri lunghissimo, in cui spiccano i siti di Pianura, Acerra, Giugliano, Marano, Pozzuoli, Terzigno e Villaricca nel napoletano e poi Andretta, Ariano Irpino e Savignano Irpino nell'avellinese, Campagna, e Serre nel salernitano, Santa Maria La Fossa e Villa Literno nel casertano, Sant'Arcangelo Trimonte nel beneventano) che hanno sopportato e sopporteranno discariche abusive mai bloccate per decenni, siti di stoccaggio di ecoballe non a norma, sversatoi che hanno ingoiato tal quale e che altro tal quale ingoieranno in attesa dei termovalorizzatori, cioè i quattro impianti di Napoli, Salerno, Santa Maria La Fossa e quello di Acerra, che dovrebbe entrare in funzione a gennaio 2009, il cui completamento è stato affidato alla solita Fibe, sulla quale pendono ben due procedimenti in tribunale. A Napoli, invece, si starebbe procedendo all'individuazione di un altro sito (forse nella zona orientale), dopo che quello di Agnano è stato bocciato dai tecnici.
Per la gestione, poi, sono già partite le lettere di invito per la gara d'appalto e questo, forse, spiega l'attacco all'Asìa - la municipalizzata che gestisce la raccolta a Napoli, accusata dal presidente di avere dipendenti fannulloni - che si era candidata a gestire il servizio. Ma pare già vedere le nuove trame delle alleanze stringersi intorno ai colossi del nord, con la A2A di Brescia in testa, così anche la Lega è felice. Altro asso nella manica, l'apertura in autunno di ulteriori due discariche a Chiaiano, nella selva, e a Terzigno nel Parco nazionale del Vesuvio, tanto per chiarire che il ciclo del cemento è di nuovo in moto e nessuna riserva di verde può fare sogni tranquilli. Tutto pulito, eppure basta girare per Pozzuoli o imboccare le traverse alle spalle del Museo di Capodimonte per trovare micro discariche di immondizia. «Si tratta di rifiuti tossici - tira dritto il premier - li raccoglieranno ditte specializzate. Ho portato Napoli di nuovo in occidente e farò diventare i campani i più civili del mondo con una campagna di stampa», e poi via a una nuova pioggia di spot sulla stampa internazionale per ripulire il buon nome dell'Italia. Niente è così grave che un po' di pubblicità tv non possa aggiustare.
Insomma, il risolutore è fiero di aver portato a termine l'incarico che pareva impossibile per tutti, tutti incluso lui che per i precedenti cinque anni da premier non aveva fatto una piega di fronte le tonnellate di rifiuti che invadevano le strade, le discariche che si esaurivano a ritmi vertiginosi e l'assenza di bonifiche. Ma adesso il piano è pronto, grazie alla ministra dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, «gracile e dolce ma dal pugno di ferro», dichiarava civettuolo il premier, al ministro della difesa La Russa, che con lo sguardo pareva covare i generali in prima fila mentre rispondeva «Grazie Silvio», e a Guido. Cioè Bertolaso, il suo uomo sul fronte di ogni crisi, dal maltempo ai rifiuti fino al prossimo G8 alla Maddalena. Tra i due pare davvero nata una gran passione.
Per i ringraziamenti la cornice è delle più degne: il consiglio dei ministri si svolge nella sede della prefettura a Palazzo Salerno, ma la conferenza stampa Silvio la tiene a Palazzo Reale, incorniciati da ori e stucchi, come un Borbone osannato dai suoi sudditi. Che difatti lo osannano a piazza Plebiscito, dove le donne di Forza Italia esibiscono fiere e commosse manifesti con «Grazie Silvio Berlusconi» e persino «Grazie Mara Carfagna».
Ad altre donne però, questa volta «in nero», è invece impedito l'accesso alla piazza. Vengono in corteo a ribadire che la salute dei cittadini di Chiaiano, Napoli e Marano non è barattabile con i meccanismi compensativi. Le forze dell'ordine le fermano prima, non che non si possa manifestare visto che le colleghe di destra lo fanno, però è di cattivo gusto rovinare l'atmosfera. Un po' più in là però la protesta funziona. Sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria circa 60 autovetture dei comitati anti discarica si esibiscono nel soft walking, traffico in tilt sull'arteria più frequentata del sud in un giorno di esodo per le vacanze, a dimostrazione che il governo decide ma poi è con le popolazioni locali che bisogna fare i conti.
E i conti ancora non tornano: «Giovedì - dichiara Pietro Rinaldi dei comitati e del centro sociale Insurgentia - l'università di Tor Vergara ha diffuso i risultati del suo studio su Chiaiano: alla cava non possono accedere più di 30 autocompattatori al giorno, cioè cento in meno del previsto. Ennesima prova che la discarica lì non si può fare». Non tornano nemmeno le stime sulla differenziata, con l'obiettivo fissato dal governo al 25% a fine 2008, pena lo scioglimento delle amministrazioni. Un tetto basso, come dimostrano i molti comuni che già ora sfiorano l'80 per cento e persino Napoli, dove il primo esperimento condotto dal comune ha fruttato oltre il 70 per cento nella zona dei Colli Aminei. Tirando le somme, manca ancora un ciclo ecocompatibile, i progetti di smaltimento seguono le direttive tracciate nel 1994, e anche allora erano vecchi, e stanno in piedi economicamente solo grazie ai contributi Cip6, il parere dei tecnici e delle popolazioni è tenuto in nessun conto, mentre si chiede di barattare il diritto alla salute e al dissenso con un po' di soldi. Davvero un bel successo.

 
 
 

L'uso politico degli aiuti

Post n°7 pubblicato il 08 Luglio 2008 da W_Kurtz
Foto di W_Kurtz

Marina Zenobio

Secondo organizzazioni della società civile zimbabwese, tra queste Restoration of Human Right (Rohr) fondata nel 2006, sono circa sei milioni - oltre un terzo della popolazione - le persone che nel paese africano devono affidarsi agli aiuti alimentari. Eppure da oltre un mese molte province dello Zimbabwe non vengono più raggiunge dai camion degli aiuti umanitari gestiti dal Pam (il Programma per l'alimentazione dell'Onu) e da organizzazioni non governative (in particolare Care International e World Vision). Si tratta di aree rurali inaridite dalla siccità, la cui popolazione negli ultimi cinque anni è sopravvissuta proprio grazie all'assistenza umanitaria che, tutti i mesi, riforniva ogni famiglia di 50 chili di mais, 25 di orzo, due litri di olio per cucinare, 5 chili di fagioli e mezzo chilo di sale. Ma dal 3 giugno non è più così, da quando il governo di Robert Mugabe, attraverso un comunicato del suo ministro ai servizi pubblici, lavoro e welfare Nicholas Goche, proibisce alle organizzazioni umanitarie di operare nelle aree rurali del paese perché, secondo quando riportato sul quotidiano filogovernativo The Herald, le ong utilizzano l'assistenza alimentare per immischiarsi in fatti politici interni del paese. Alcune di loro, secondo Goche, hanno strumentalizzato la sofferenza dei zimbabwesi per dare il proprio contributo alla campagna elettorale dell'opposizione, a volte anche appoggiando direttamente il leader del Movimento per il cambiamento democratico (Mdc) Morgan Tsvangirai - rivale di Mubage e della sua Unione nazionale di Zimbabwe-Fronte patriottico (Zanu-Pf) -, nel ballottaggio per le elezioni presidenziali del prossimo 27 giugno. Per il governo di Mugabe non è vero che nelle aree rurali del paese si muoia di fame, perché da quando il governo gestisce l'intera distribuzione di alimenti attraverso «le sue strutture», la situazione sarebbe molto migliorata. Le sue strutture sarebbero i veterani di guerra, i miliziani, i capi comunitari e potentati locali che, secondo il portavoce dell'Mdc Nelson Chamisa, sono percepiti dalla maggior parte della popolazione come collaboratori dello Zanu-Pf. In pratica gli alimenti verrebbero ora distribuiti solo ai simpatizzanti di Mugabe e chi vuol mangiare deve ripudiare la sua appartenenza al Movimento per il cambiamento democratico. Oppure abbandonare la propria casa prima che venga bruciata dai miliziani dello Zanu-Pf.
Rigetta le accuse espresse dal governo Mugabe l'associazione Nango, una sorta di coordinamento tra ong nazionali e internazionali operanti in Zimbabwe, che attraverso il suo portavoce Fambai Ngirande ricorda che le organizzazioni hanno un codice di condotta che impedisce loro di partecipare ad attività politiche, che il divieto imposto sta lasciando migliaia di persone senza alcune fonte di alimenti e altrettante, sieropositive all'Hiv, senza i farmaci retrovirali. Per Ngirande la risoluzione Goche infrange il diritto internazionale umanitario, in un paese come lo Zimbabwe, incapace di sfamare la propria popolazione. D'accordo anche il vicepresidente del Rohr, Stendrick Zvorwadza, che ritiene illegale il divieto imposto in momenti in cui la popolazione dello Zimbabwe ha più bisogno che mai di assistenza umanitaria. La sua unità finalità è quella di soffocare le voci dei dissidenti. Da aggiungere a tutto questo una nota dell'ong Care International la quale denuncia che da quando vige il divieto, la ong ha dovuto sospendere oltre 300 suoi operatori locali attivi nelle province di Bikita, Chivi, Mberengwa, Gutu, Shurugwi e Zaka.

 
 
 
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