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Post N° 184


Questo è il racconto che scrissi riguardante il nostro primo incontro. Ho incontrato il mio attuale compagno su Cupido, stiamo insieme da 3 anni e mezzo e conviviamo da quasi 3.Faceva freddo quella mattina, salii su quel treno ripensando a ciò che stavo facendo. Strinsi le mani nelle tasche della giacca.Accesi una sigaretta e osservai le persone che passeggiavano pigramente sulla banchina attraverso il finestrino. La gente intorno si muoveva appesantita da bagagli multicolori. Avevo inventato una qualsiasi scusa ai miei genitori per incontrarlo… forse nemmeno ricordo cosa dissi loro. I pensieri andavano alle sue insistenze per vederci, alle mie titubanze, ai miei dubbi… avevo capitolato. Avevo scelto Verona. Da sempre amavo quella città, romantica e moderna quanto basta da non distruggere l’equilibrio tra il passato e il presente.Un solo spiraglio di futuro mi avrebbe spaventata in quel momento. ‘L’incontro con il destino’ lo aveva chiamato.Già. Col destino. Quale destino si può celare dietro a qualcuno che si è soprannominato ‘Demone’? Di fronte a me una ragazza sorrise. Risposi al sorriso. Poi guardai di nuovo fuori mentre i vagoni cominciavano a muoversi torpidamente.Scomparve il grigiore della stazione per lasciare posto a schiere di casermoni non meno grigi e poi, finalmente, al verde delle campagne. Mi sentii più serena. Ma accesi un’altra sigaretta. La ragazza parlò, si rivolse a me.Risposi, colloquiai con lei… ma non mi chiedete ora di che parlammo. Non saprei ricordarlo.La mia coscienza era sopita in un’altra dimensione. Quel volto conosciuto solo tramite qualche pseudo-istantanea mi tornava alla mente, alle volte dolce e sorridente, alle volte malefico e temibile.Mi spaventava la sua capacità di leggermi l’anima. Che fosse davvero un demone? Come avrei potuto difendermi? Io non sapevo, né volevo, più amare. Perché insisteva per incontrarmi? Perché me? Sentivo già la sua risposta ripetutami mille e mille volte ‘perché sai amare’.Io? Idiozie! Lo gridai con tutta forza in silenzio, che era un’idiozia. Non sapevo amare, io. Non sapevo più fidarmi, io. Ma lui… lui sosteneva il contrario. Ed il mio cuore batteva nell’udirlo parlare, o solo nell’immaginarlo o ricordarlo… sta buono,stupido, stupido cuore! Smettila! Non capisci?Non vedi che potrebbe essere l’ennesima delusione?Non mi ascoltava, come al solito. Diamine. Mai una volta che riuscissi a dominare quello sciocco muscolo. Il cellulare suonò. Risposi, ma già sapevo che era lui. E lo sapeva anche lo stupido cuore che tenevo nel petto. Era già alla stazione di Verona, lui. E mi aspettava, lui. Cristo Santo. Sta fermo! Smettila di battere così! Se continui farai la fine di una bomba…. Boom! E niente più stupidi muscoli nel mio petto. Il treno fischiò rallentando la sua corsa, permettendomi di leggere il nome della stazione su quel cartellone blu desiderato e temuto nel contempo. Scesi. Incerta. Terrificata. Santo Cielo… sto rischiando un infarto. Poi lo vidi. Ero certa che fosse lui e sorrideva. Non ricordo se sorrisi. Mi sentivo in trappola. Se almeno non mi fosse piaciuto avrei avuto una protezione. Invece non era così. Per niente. Era grande e forte, come lo avevo immaginato. Ed il suo sorriso ed il suo sguardo mi scaldavano il cuore. Sempre, sempre questo dannato cuore! Ed ora come mi sarei difesa da lui? E da me stessa? Cominciai a parlare di cose che non ricordo nemmeno. Impresse ho le strade che volevo incidermi nella memoria, ho il suo sorriso che mi fissava quasi inebetito facendomi avvampare. Camminammo a lungo. Parlammo, anzi, parlai. Distante però. Volevo stringermi a lui e per questo lo tenevo lontano. Poi mi prese sotto braccio. Avvampai nuovamente e le farfalle del mio stomaco cominciarono ad andare in fibrillazione. Oh diavolo! Non bastava il cuore, adesso pure lo stomaco ci si metteva. Il mio corpo era decisamente stupido e con una memoria troppo troppo corta. Dopo tanti passi giungemmo al cortile di Giulietta. La guardai. Sempre là. Sempre impassibile al tocco scaramantico dei turisti. Ma non l’avevo dimenticata e lei, forse, non aveva dimenticato me. Mi sembrava sorridesse, solo per me, solo per il mio cuore impazzito, come a volermi rassicurare. Mancavano pochi giorni a Natale ed al centro del cortile troneggiava un piccolo albero adornato da bigliettini d’amore in tutte le lingue. Li leggemmo vicini vicini. Volevo sentire le sue braccia intorno al mio corpo infreddolito, ma non osavo, né permettevo a lui di farlo. Decidemmo di andare a mangiare qualcosa. Non avevo fame, ma volevo sedermi un pochino al caldo e, soprattutto, mettere qualcosa, qualsiasi cosa, tra me e lui. Inizialmente un tavolo. Poi i miei racconti. Le mie esperienze peggiori, i miei ricordi più brutti. Li buttai tutti sul tavolo, come una mano vincente a poker. Ma non ero entusiasta. Non mi sentivo vincente. Lui non sembrava impressionato, o forse, speravo, non lo dava a vedere. Quelle parole dovevano spaventarlo e allontanarlo. Dovevano. Non poteva continuare a terrorizzarmi con il suo ed il mio amore. No. Non poteva. Ed invece poteva e lo fece. Continuò a starmi vicino, ed io lo desideravo sempre di più. Ricordo ancora quando cedetti a quelle braccia accoglienti ed a quel petto confortevole. Sotto i portici apparve un negozio di quadri. Adoro l’arte, da sempre. E mi diressi repentina verso la vetrina, quasi trascinando lui con me. Lui rise, ed imitò il gesto di un cagnolino fedele. Risi, e sentii il cuore scoppiarmi in petto.Lo strinsi, mi strinsi al suo petto circondata dalle sue braccia che cullavano la bambina ferita che lui aveva subito visto in me. Dondolavamo leggermente l’uno fra le braccia dell’altra.Un abbraccio quasi disperato. Volevo imprimermelo dentro. Volevo non lasciare più il confortante rifugio in cui mi aveva accolta. Non ricordo nulla dell’immediato futuro. Ricordo la sensazione di protezione. Come quando si ritorna nella propria casa dopo esser mancati a lungo. Riuscite ad immaginarla? Io la ricordo ancora nettamente.Ci incamminammo verso la stazione, ora vicini, ora stretti. Era tardi e tra poco ci saremmo separati nuovamente. Ma il gelo del mio cuore era stato appena scalfito. Ed io sapevo che non ci sarebbe più stato modo di tornare indietro. Ci sedemmo e lui mi tenne fra le braccia. Quel demone mi scaldò e mi cullò dolce fra le sue braccia accoglienti. Ed il freddo non entrava più nel mio cuore quella sera. Nel freddo gelido di quella stazione il mio cuore riprendeva calore. Ed io mi scioglievo. Sotto le sue carezze i miei sentimenti riprendevano a scorrere, dapprima come piccole e timide risorgive, poi come fiumi in piena che travolgevano i brutti ricordi scacciandoli in un angolo remoto della mia coscienza. Presi il treno, dopo. Ma non era vero. La mia anima, da allora, non si separò più da lui. Perché in un Demone la mia anima aveva trovato dimora.14 dicembre 2002: il giorno in cui incontrai il mio Demone