Sensazioni

“Memoria delle mie puttane tristi” di Gabriel Garcia Marquez


25 aprile 2008, ore 15.00, mi imbarco da Civitavecchia con destinazione Olbia. Ho 10 giorni di vacanza davanti a me e neanche qualcosa da leggere. E’ per questo che, dopo aver consumato un panino, mi fiondo allo shop di bordo ed inizio a far scorrere gli occhi sui libri.La ricerca di un libro è un rito che consumo lentamente, rito in cui mi lascio guidare dai sensi prima di tutto. Nella mia scelta non mi lascio influenzare dal nome altisonante dell’autore o dalla fama raggiunta dal romanzo. E’ una questione di tatto, di odore, di percezione visiva. E’ così che sono arrivato a “Memoria delle mie puttane tristi” di Gabriel Garcia Marquez. E' un romanzo breve che parla d'amore. Il protagonista  è un 90enne, uomo colto che vive ormai di stenti (con la misera pensione di professore di latino e quel che rimedia da editorialista di un giornale locale), che decide di regalarsi per il suo compleanno una notte d'amore (d'amore folle scrive Marquez) con una vergine minorenne. Parte da questo originale desiderio un’avventura, prima di tutto interiore, che sconvolgerà il tessuto esistenziale del protagonista.  Davanti al corpo nudo addormentato, sensuale e suadente, della giovane, il nostro protagonista si scoprirà stregato e “senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore” inizierà ad apprezzare una delle gioie più profonde dell’amore qual’è, probabilmente,  la condivisione.  Avviene così, nel reiterarsi di questi incontri dall’ardente sapore ma sostanzialmente platonici, la trasformazione di un vecchietto cinico, in una persona nuova, che trova o ritrova il sapore di scrivere, ispirato da questo sentimento che lui ha sempre allontanato, forse combattuto, sicuramente pagato (per sua ammissione non è mai andato a letto con una donna senza pagarla). La consapevolezza di essere innamorato giunge, tuttavia, in un periodo di forzata astinenza da questi incontri. E’ la folgorazione di trovare finalmente risposta al tentativo di tradurre i canti di Leopardi, di cui da “Il primo amore” Marquez ci ricorda il verso “Oimé, se quest'è amore, com'ei travaglia". C'è ancora qualcosa però. Il nostro novantenne che ha sempre cercato, nella sua vita,  di tenere tutto sotto controllo, costruendosi una scala preordinata e razionale del suo quotidiano, scopre che “non era il premio di una mente in ordine, ma tutto il contrario, un intero sistema di simulazione inventato da me per nascondere il disordine della mia natura”. In ultima analisi è la comprensione dell’impossibilità di escludere il caso (o eludere il caos) dalla propria esistenza. Contro ogni mia aspettativa le 141 pagine di Marquez mi hanno tenuto compagnia per il solo tempo della traversata, ed in circa cinque ore mi sono ritrovato nuovamente senza nulla da leggere.