Sensazioni

"Il Verdetto" di Valeria Parrella


Vorrei cominciare da una considerazione antipatica. Quando i miei occhi si sono posati su questo libricino di appena 53 pagine, dopo i soliti rituali sensoriali, mi sono soffermato sul prezzo (11 euro) e l’ho rimesso al suo posto.  Il problema è che i sensi, almeno i miei, sono poco inclini ad attribuire un valore economico all’arte. Avevo incrociato “Il verdetto” e ormai non potevo far altro che acquistarlo. Qualcosa mi diceva che non mi avrebbe deluso. Intuivo che, nonostante il furto, la casa editrice stava perpetrando con quel prezzo ingiustificabile, dovevo leggere Valeria Parrella. Non vorrei che qualcuno pensasse, dopo questo brevissimo sfogo, che come il professore emerito de “L’attimo fuggente”, Johnathan Evans Prichard, la mia intenzione sia di comparare la letteratura utilizzando un sistema di assi cartesiani.  Oggi che possiamo scaricare da internet “Guerra e Pace”, penso solo che pubblicare 53 pagine ed offrirle ai lettori al considerevole prezzo di 11 euro, sia l’ennesima prova di un disprezzo verso chi suda duramente per mettere in tavola un pezzo di pane.  La letteratura, oggi, è un mezzo come un altro per far soldi. Questa è la verità, la tristissima verità. “Il verdetto” è il monologo di una moderna Clitemnestra, ragazza di estrazione borghese, che ha ucciso suo marito Agamennone, boss della camorra. Un monologo diretto all’accertamento dei fatti, della profondità dei fatti, di tutto quello che in superficie può apparire limpido ma nasconde, come tutte le verità personali, un fondo da raschiare. Ecco allora che ci troviamo davanti al sacrificio di Ifigenia, figlia scomparsa in seno a vendette trasversali. Ecco che ci ritroviamo davanti Egisto che appare come una debolezza di una Clitemnestra abbandonata, ed ecco Cassandra (una Cassandra che porta in grembo il frutto del tradimento di Agamennone) una delle pietre della discordia. Ecco, in sostanza, i personaggi del mito greco che rivivono, nei giorni nostri, un dramma della gelosia e dell’abbandono che è senza tempo e senza alternativa. Cosa c’è di nuovo? Sicuramente il risalto di una passione profondissima. Sicuramente, l’analisi introspettiva di una donna che, prima di essere imputata, è giudice severo di se stessa. Lei che si presenta in aula con i guanti per l’incapacità di accettare la visione delle sue mani, di quelle mani che hanno spazzato via la sua vita non quella di Agamennone, ci chiede in conclusione: pensate voi di potermi restituire le mani?