Non ci sono solo le aranceJeanette Winterson “Non ci sono solo le arance” è un titolo sintomatico che serve a ricordarci che dovremmo sempre provare a guardare il mondo da una diversa prospettiva, che non esistono solo il bianco e il nero ma notevoli gradazioni tra gli estremi, che i fautori delle grandi certezze, come scrive Luciano De Crescenzo ne “Il Dubbio”, sono spesso dei fanatici che non vedono oltre il proprio naso e, per ritornare al nostro libro, che non si può mai dire sotto quali vesti si presenterà l’amore! Jeanette Winterson, che con questo libro vince il Whitebread Award per l’opera prima, con un sottile e pungente umorismo ci racconta la storia di “Jeanette” figlia adottiva irrequieta che, nella visione materna, una maniaca religiosa, è destinata ad un futuro da missionaria. Ricca di inventiva e ricca di curiosità nei confronti del mondo, Jeanette viene “illuminata” dall’amore, che le si presenta nelle femminili sembianze di Melanie, proprio quando sta diventando una brava predicatrice. La dolcezza, l’ironia, la sensibilità e la spontaneità di Jeanette servono all’autrice per smontare, mattone dopo mattone, gli archetipi di una comunità che vive, metodicamente, con ingombranti paraocchi, attrezzi necessari, non in ultimo, per non guardare dentro se stessi e nel profondo dell’animo altrui e per attribuire all’opera del demonio tutto ciò che si discosta dalle più limpide norme della moralità. La morale, tuttavia, è figlia del costume e il costume paga sempre il suo tributo al tempo che, come ci ricorda la Winterson, “è un grande anestetico; la gente dimentica, si annoia, invecchia…”. La narrazione propone a tratti una visione fantastica delle avventure vissute da Jeanette in prima persona. Eccola allora, solo per fornire un esempio, diventare, all’atto di abbandonare la casa materna pur di non rinnegare le sue scelte, un fragile Parsifal che vaga alla ricerca del Santo Graal lontano dall’amata Camelot. Questo espediente serve a mettere ordine, a chiarire se necessario le idee su cosa appare giusto e cosa non lo è, su chi sono i buoni e chi i cattivi, nel modo più immediato possibile. “Non ci sono solo le arance” è un libro al femminile. Gli uomini sono spesso poco delineati o addirittura resi fantasmi dall’autrice, inadatti per definizione all’amore romantico. Inadatti, lo sono, soprattutto per Jeanette alla ricerca di un rapporto di coppia in cui si sia disposti ad essere distruttori e distrutti allo stesso tempo mentre gli uomini “vogliono essere i distruttori e mai i distrutti”. Jeanette, per tutto il libro, avverte l’incapacità di farsi accettare. Diversa dalle compagne di scuola per la sua passione religiosa, diversa per la sua omosessualità che la rende una peccatrice agli occhi della sua comunità. Il risultato finale è, tuttavia, un sottile paradosso! Spesso il problema non è farsi accettare dagli altri. Quando si è convinti delle proprie scelte, il problema diventa accettare gli altri nelle loro debolezze e nelle loro manie, nel caso specifico anche una madre che, al passo coi tempi, si è comprata una ricetrasmittente per radioamatori e al microfono si annuncia col nome di “Luce Divina”.
Recensione
Non ci sono solo le aranceJeanette Winterson “Non ci sono solo le arance” è un titolo sintomatico che serve a ricordarci che dovremmo sempre provare a guardare il mondo da una diversa prospettiva, che non esistono solo il bianco e il nero ma notevoli gradazioni tra gli estremi, che i fautori delle grandi certezze, come scrive Luciano De Crescenzo ne “Il Dubbio”, sono spesso dei fanatici che non vedono oltre il proprio naso e, per ritornare al nostro libro, che non si può mai dire sotto quali vesti si presenterà l’amore! Jeanette Winterson, che con questo libro vince il Whitebread Award per l’opera prima, con un sottile e pungente umorismo ci racconta la storia di “Jeanette” figlia adottiva irrequieta che, nella visione materna, una maniaca religiosa, è destinata ad un futuro da missionaria. Ricca di inventiva e ricca di curiosità nei confronti del mondo, Jeanette viene “illuminata” dall’amore, che le si presenta nelle femminili sembianze di Melanie, proprio quando sta diventando una brava predicatrice. La dolcezza, l’ironia, la sensibilità e la spontaneità di Jeanette servono all’autrice per smontare, mattone dopo mattone, gli archetipi di una comunità che vive, metodicamente, con ingombranti paraocchi, attrezzi necessari, non in ultimo, per non guardare dentro se stessi e nel profondo dell’animo altrui e per attribuire all’opera del demonio tutto ciò che si discosta dalle più limpide norme della moralità. La morale, tuttavia, è figlia del costume e il costume paga sempre il suo tributo al tempo che, come ci ricorda la Winterson, “è un grande anestetico; la gente dimentica, si annoia, invecchia…”. La narrazione propone a tratti una visione fantastica delle avventure vissute da Jeanette in prima persona. Eccola allora, solo per fornire un esempio, diventare, all’atto di abbandonare la casa materna pur di non rinnegare le sue scelte, un fragile Parsifal che vaga alla ricerca del Santo Graal lontano dall’amata Camelot. Questo espediente serve a mettere ordine, a chiarire se necessario le idee su cosa appare giusto e cosa non lo è, su chi sono i buoni e chi i cattivi, nel modo più immediato possibile. “Non ci sono solo le arance” è un libro al femminile. Gli uomini sono spesso poco delineati o addirittura resi fantasmi dall’autrice, inadatti per definizione all’amore romantico. Inadatti, lo sono, soprattutto per Jeanette alla ricerca di un rapporto di coppia in cui si sia disposti ad essere distruttori e distrutti allo stesso tempo mentre gli uomini “vogliono essere i distruttori e mai i distrutti”. Jeanette, per tutto il libro, avverte l’incapacità di farsi accettare. Diversa dalle compagne di scuola per la sua passione religiosa, diversa per la sua omosessualità che la rende una peccatrice agli occhi della sua comunità. Il risultato finale è, tuttavia, un sottile paradosso! Spesso il problema non è farsi accettare dagli altri. Quando si è convinti delle proprie scelte, il problema diventa accettare gli altri nelle loro debolezze e nelle loro manie, nel caso specifico anche una madre che, al passo coi tempi, si è comprata una ricetrasmittente per radioamatori e al microfono si annuncia col nome di “Luce Divina”.