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SOS per i beni archeologici iracheni


Se si vola verso la base americana di Tallil, appena fuori Nassiriya, nel centro dell'Iraq, la rotta passa sopra la grande ziggurat di Ur, considerata la più antica città della terra. Vista dalla base, attraverso la foschia del deserto o nella sabbiosa malinconia del crepuscolo, la struttura si confonde con le forme indistinte di depositi di carburante, magazzini, e hangar. Ur è al sicuro, all'interno del complesso della base, ma le sue mura sono segnate dai fori lasciati dalle granate, mentre su un sito archeologico adiacente si sta costruendo una casamatta. Quando, di recente, Abbas al Hussaini, che in teoria dovrebbe essere il direttore dell'ente indipendente per il patrimonio artistico e archeologico dell'Iraq, ha cercato di fare una ispezione al sito, gli americani gli hanno rifiutato l'accesso a quello che è il suo monumento più importante.Ieri Hussaini ha parlato al British Museum delle battaglie che sta facendo per proteggere il suo lavoro in una situazione di anarchia. Si è trattato di una presentazione straziante. Sotto Saddam, si rischiava la tortura e la fucilazione se si lasciava che qualcuno trafugasse reperti, nell'Iraq di oggi lo si rischia a non farlo. Se pensiamo alla tragica sorte del Museo Nazionale di Baghdad, nell'aprile 2003, è come se truppe federali avessero invaso New York, destituito la polizia, e detto alla comunità criminale di disporre del Metropolitan Museum a loro piacimento. Al comandante delle truppe corazzate locali venne espressamente ordinato di non proteggere il museo per tutta la durata delle due settimane successive all'invasione. Persino i nazisti protessero il Louvre.Quando, sei mesi dopo, avevo visitato il museo, l'allora direttore Donny George mi aveva mostrato con orgoglio in che modo era riuscito a fronteggiare al meglio una situazione tanto difficile. Stava per riaprire, per quanto metà dei reperti più importanti fosse stata rubata. La lobby favorevole alla guerra aveva smesso di fingere che gli americani non avessero nulla a che vedere con il saccheggio. Gli americani, con grande imbarazzo e sotto la direzione del dinamico colonnello Usa Michael Bogdano (che poi ha scritto un libro sull'argomento) stavano ora aiutando nel recupero degli oggetti rubati. L'italiano Mario Bondioli-Osio, energico inviato culturale della coalizione, contribuiva generosamente al restauro.Lo splendido Vaso di Warka, scolpito nel 3000 a.C., fu recuperato, anche se ridotto in 14 pezzi. La raffinata Arpa di Ur, lo strumento musicale più antico al mondo, fu ritrovata gravemente danneggiata. A Sadr City, fu utilizzato con qualche successo lo stratagemma di far indirizzare dai religiosi un invito alle donne perché rifiutassero i mariti finché gli oggetti rubati non fossero stati riconsegnati. Nulla purtroppo si era potuto fare per la Biblioteca Nazionale, inghiottita dal fuoco, e per la perdita degli archivi contenenti cinque secoli di storia ottomana (e alcune opere di Picasso e Mirò). Ma almeno sembrava che il messaggio per conquistare i cuori e le menti fosse passato.Oggi lo scenario è completamente diverso. Donny George è stato costretto alla fuga lo scorso agosto, in seguito alle minacce di morte ricevute. Il Museo Nazionale non è più aperto. Ma non è semplicemente chiuso: le porte sono state murate, è circondato da muri in cemento, e i reperti sono protetti da sacchi di sabbia. Neppure il personale può entrare. Non c'è nessuna prospettiva che venga riaperto.Hussaini ha confermato un rapporto fatto due anni fa da John Curtis, del British Museum, sulla trasformazione di Babilonia, la grande città di Nabucodonosor, nei giardini pensili della Halliburton, da parte degli Stati Uniti. Questo ha significato un accampamento di 150 ettari per 2.000 soldati. Nell'operazione, la pavimentazione in mattoni che va verso la Porta di Ishtar, che risaliva a 2.500 anni fa, è stata ridotta in frantumi dai carri armati, e la stessa Porta danneggiata. Il sottosuolo ricco di antichità è stato scavato con i bulldozer per riempire i sacchi di sabbia, mentre ampie aree sono state ricoperte di ghiaietto pressato per trasformarle in eliporti e parcheggi. Babilonia sta diventando archeologicamente sterile. Nel frattempo, nel cortile del caravanserraglio di Khan al-Raba, risalente al X secolo, gli americani facevano esplodere le armi sequestrate agli insorti. Una delle esplosioni ha distrutto gli antichi tetti e fatto crollare molti dei muri. Il sito è ormai una rovina.Fuori dalla capitale, circa 10.000 siti di incomparabile importanza per la storia della civiltà occidentale, dei quali appena il 20% è stato scavato, vengono saccheggiati con la stessa sistematicità con cui è stato saccheggiato il museo nel 2003. Quando George cercò di recuperare delicate sculture in legno dall'antica città di Umma, per portarle a Baghdad, trovò già sul posto bande di saccheggiatori attrezzati con bulldozer, autocarri, e AK47.Hussaini ha mostrato uno dopo l'altro i siti ormai perduti per l'archeologia in questi quattro anni di “frenesia saccheggiatrice”. I resti delle città di Isin e Shurnpak, risalenti al 2.000 a.C., sembrano ormai spariti: nelle foto, al loro posto c'è un deserto di buche e fosse scavate da un esercito di circa 300 saccheggiatori. Castelli, ziggurat, città abbandonate, antichi minareti, e moschee sono spariti, o stanno per sparire. Le 11 squadre di Hussaini che setacciano il Paese nel tentativo di recupero il più delle volte non fanno altro che raccogliere i detriti lasciati dai saccheggiatori. La ridotta squadra di guardie non è in grado di fronteggiare le bande armate fino ai denti, che in pochi giorni riescono a trasferire i reperti a impazienti mercanti americani ed europei.Ma la cosa più di cattivo auspicio è un messaggio che sarebbe venuto dagli uffici di Muqtada al-Sadr, e cioè quello di rispettare le antichità musulmane, mentre quelle relative ai periodi precedenti potevano essere lasciate al primo venuto. Come ha detto George prima della fuga, i suoi successori potrebbero essere "interessati solo ai siti islamici e non al patrimonio iracheno precedente”. Anche se Hussaini si occupa chiaramente di tutta la storia dell'Iraq, è ancora presente nella mente di tutti la distruzione dei Buddha di Bamyian pre-islamici da parte dei talebani in Afghanistan.Nonostante quella che sembra essere la preferenza di Sadr, le milizie confessionali stanno portando avanti un'orgia di distruzione dei siti musulmani. A parte gli attentati di forte richiamo contro alcune delle più belle moschee tuttora superstiti nel mondo arabo, gruppi radicali contrari a qualsiasi tipo di santuario hanno iniziato a far saltare in aria strutture del X e dell'XI secolo, indipendentemente dal fatto che siano sunnite o sciite. Si sono così persi diciotto antichi santuari, di cui 10 a Kirkuk e nel sud solo nell'ultimo mese. Il grande monumento e il suq di Kifel, a nord di Najaf, dove si ritiene sia la tomba di Ezechiele, che un tempo era sorvegliato da ebrei iracheni (la maggior parte dei quali costretti all'esilio dall'occupazione), sono stati quasi completamenti distrutti.
È ormai assolutamente evidente che americani e britannici non stanno proteggendo i luoghi storici dell'Iraq. Tutti gli archeologi stranieri sono stati costretti ad andarsene. I soldati non fanno nulla per impedire il "raccolto" delle antichità note. Questo è in aperto contrasto con la Convenzione di Ginevra, che stabilisce che un esercito di occupazione dovrebbe “utilizzare tutti i mezzi in suo potere” per proteggere il patrimonio culturale del Paese sconfitto.Poco dopo l'invasione, il ministro britannico Tessa Jowell si era guadagnata elogi per aver “promesso” 5 milioni di sterline per la protezione delle antichità irachene. Non riesco a trovare nessuno in grado di dirmi dove, come, o se questi soldi siano stati spesi. Sembra si sia trattato solo di una dichiarazione a effetto. Gli unici a tenere alta la bandiera sono stati il British Museum e la British School of Archeology in Iraq. Quest'ultima si è vista recentemente ridurre le sovvenzioni, probabilmente a causa delle spese per l'abbuffata delle Olimpiadi.Fino a quando Stati Uniti e Gran Bretagna continueranno a negare l'anarchia che hanno creato in Iraq, naturalmente si sentiranno in dovere di negarne anche i devastanti effetti collaterali. I due milioni di rifugiati ora accampati in Giordania e Siria vengono ignorati, visto che si sostiene che la vita in Iraq è adesso “migliore di prima”. Analogamente, il gran numero di iracheni minacciati di morte perché lavorano per i britannici si sono visti rifiutare asilo. Accordarlo avrebbe significato per l'ostinato John Reid, ex segretario alla Difesa e ora agli Interni, ammettere di avere avuto torto. Lascerà che muoiano piuttosto.Benché fossi contro l'invasione, ritenevo però che alla fine, ne sarebbe risultato un ambiente più civile. Invece, la strage di iracheni continua per mancanza di ordine. L'autorità non esiste più. Il fatto che la culla della civiltà occidentale si trovi a essere in un Paese così ottenebrato come l'Iraq potrebbe sembrare un colpo di sfortuna. Ma solo adesso a quella culla viene negata qualsiasi protezione, in spregio al diritto internazionale. Se questa è la “guerra dei valori” di Tony Blair, allora la lingua ha perso qualsiasi significato. La collusione britannica in tanta distruzione è uno scandalo che sopravviverà a qualsiasi conflitto passeggero. E abbiamo avuto la sfacciataggine di definire vandali i talebani.Fonte: The GuardianTraduzione: Giuseppina Vacchia