x factor e altro

il mio ultimo dell'anno


 Silenzio vuoto e solitudine.   Anche quest’anno sola a casa, Molti e sereni sono stati gli altri in cui me ne importava poco. Quest’anno mi sarebbe piaciuto uscire. Andare a ballare o uscire un po’.   Il vuoto il silenzio la solitudine invece hanno fatto sentire il loro passo gigante. Ho allora acceso una candela rosa. In televisione non ricordo cosa ci fosse. Alle 23,30 mi sono messa al pc e ho scritto sulla bakeca di facebook. Sola come un gatto. Scrivere cane sarebbe stato troppo forte. Con la parola gatto potevo far pensare ad un sorriso o in qualche modo a uno scherzo, a un moto di ironia.  Cane avrebbe fatto espandere irrimediabilmente il vuoto attorno a  me. La community cazzeggiante sarebbe fuggito da quello strano oggetto. La gente ha paura della solitudine. Ne corre lontano e solo i forti di spirito la reggono, la guardano in faccia e capiscono quella degli altri.   Nel pomeriggio avevo chiesto se Fusorari fosse stato aperto per un drink dopo la mezzanotte. Verso l’una mi sono preparata. La maglia blu che non ci daresti niente che mi ha passato la mia bella nipote mi stava bene. Mi rendeva più giovane. Le poche lacrime versate silenziosamente prima, avevano lavato il viso dall’espressione di dolore e ciò che vedevo allo specchio era ora un essere umano pulito e indifeso, i lineamenti distesi.   Così sono andata al Fusorari. Entro e tutti sono ancora a sedere. C’era mezzo comune di modena. Mannaggia esclamo dentro di me. Il primo che vedo è un viso di un v.i.p locale antipatico. Bell’inizio mi dico.   Mi dirigo al banco dove due soci mi danno le spalle impegnati a guardare una lista su carta grossa e porosa. Così non si accorgono che c’è qualcuno al banco. Io guardo avanti fisso per minuti e minuti. La situazione sembrava imbarazzante e lo era.  Dalle scale scende l’oste buono, l'oste dal viso buono. Sono impegnati per la fine della cena dell’ultimo dell’anno. Parla l’oste con l'uomo e la donna dietro il banco, così mi vedono. La ragazza con un bel sorriso mi saluta e la ricambio. Il ragazzo continua a darmi del lei anche se io dentro ho dodici anni. Gli chiedo se servono coca e rum. Mi dice “si” e gliene chiedo uno. Mi prepara con cura un bicchiere. Il rum è molto buono ma c'è troppo ghiaccio. Tolgo un cubetto con le dita e lo faccio scivolare nel lavandino rotondo lì vicino. L’oste dal viso buono mi chiede mentre lava i bicchieri se sono stata in piazza. Gli dico “No” senza aggiungere altro. Mentre due persone pagano e salutano sono costretta a mettermi di fianco e a posare gli occhi sulla  sala gremita dai conviviali seduti nel clima caldo e composto. Non ci sono strepiti se non quelli di una bimba piangente perché le hanno disturbato il sonno. Viene accudita dai genitori. Vedo ai piedi della madre un paio di sandali dal tacco alto scoperti  che lasciano le dita uscire da calze nere tagliate e metà piede. "Complimenti" volevo dire,,, è coraggiosa e controcorrente. Ma valeva la pena dilungarsi in un parlare inutile? Pubbliche relazioni.   Dopo un po’ visto che un antro accogliente, il più riparato della seconda sala, era rimasto libero dagli occupanti mi ci sono seduta dopo aver chiesto il permesso all'oste che mi da del "Lei". La sala è bella, ogni volta ne ammiro la composizione dell’arredamento che evoca il nord africa se non sbaglio. La scelta dei colori. Ogni volta guardo quei cuscini che io non avrei scelto ma che lì sono perfetti con il loro turchese a fare da contrappunto al rosa acceso della parete.   C’è una tavolata numerosa di persone ridenti. Scrosci di risa. Uno con un fiocchetto posticcio rosso penso proprio che fosse un architetto. Teneva banco. Persone benestanti. Genere che odio e tratto con diffidenza.   Io sono seduta in mezzo ai miei cuscini, protetta dall’arco. Sul lungo e stretto tavolino davanti a me i resti del pasto precedente mi fanno compagnia, allo stesso tempo danno l’idea della fine e dell’abbandono. Bevo l’ottimo rum e coca. Tengo lo sguardo fisso davanti a me.  Non posso posare lo sguardo sugli estranei ma in una mossa fuggevole intravedo un viso che mi sembra interessante e piacevole. Però non ho voglia di indagare vanamente.   Ad un tratto mi vengono in mente le mie due nipotine che sono nate da poco. Penso alla loro carne bianca. Il loro nord che è venuto a portare senza saperlo il nuovo nel nostro essere sud. E mi viene da piangere per questa opera silenziosa e potente.  Cerco ancora inutilmente nel telefono l’opzione per oscurare il numero chiamante. Bevo ancora e ascolto il piacevole rilassamento che dà l’alcol. Tutto mi sembra più accettabile e completo. Sento un po' di calore e dolcezza e in queste sto.  Scorro di nuovo la rubrica. Vedo "Alby." Il nome del nipote fra i grandi che ricordo raramente. Gli mando un messaggio d’auguri. L’unico spedito nella notte.   Ricevo subito la risposta vitale e con gioiosi punti esclamativi. Mi chiama "zietta" come mi chiamano affettuosamente i suoi fratelli.  Provo tanta tenerezza e una infinita gratitudine alla vita.