Creato da zentao il 05/07/2008
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Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 22 Agosto 2008 da zentao
 

TAO TE CHING edito da Tecniche Nuove

L' essenza del tao nella quotidianità occidentale.

 
 
 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 22 Agosto 2008 da zentao
 

101 STORIE ZEN edito da Adelphi

Ciò che sta alla base dello zen manifestandone l' altezza.

 
 
 

Post N° 10

Post n°10 pubblicato il 22 Agosto 2008 da zentao
 

Come nella migliore tradizione orientale l' evoluzione parte anche dalle piccole pagine di questo blog aggiungendo un nuovo spunto libero di confronto, condivisione, approfondimento, scambio e riflessione.

 
 
 

Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 22 Agosto 2008 da zentao
 

La pienezza del vuoto è pari alla presenza del gesto nella quotidianità.

 
 
 

Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 22 Agosto 2008 da zentao
 

Talvolta la ragionevolezza dello spirito e la passionalità del cuore si scontrano realizzandosi paradossalmente in un gesto effimero; sentimento oppure diplomazia?!?!?    

 
 
 

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 22 Agosto 2008 da zentao
 

Dalla sincerità dei sentimenti trascende la purezza dello spirito che inconsapevolmente cela un istante di serenità e di pace interiore.

 
 
 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 21 Agosto 2008 da zentao
 

L' inconfutabile consapevolezza dell' essere permette ad ogni individuo di mantenerne la propria integrità evolutiva e ne conserva le peculiarità emotive.

 
 
 

Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 19 Agosto 2008 da zentao
 

La sterilità di determinate condizioni, in alcune situazioni, determina il dominio sull' intelletto, minando l' integrità intellettiva individuale.

 
 
 

Post N° 4

Post n°4 pubblicato il 19 Agosto 2008 da zentao
 

Finalmente si riprende il solito giro.

Bentornato amico mio nel mirabolante fagocitante mondo reale.

Anni di estenuanti continui rimorsi rimpianti.

L' essenza è senza l' essenziale apparente indotto corrotto.

In questa notte umile umida torrida torbida.

 
 
 

Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 20 Luglio 2008 da zentao
 

questo blog nasce dall esigenza fisiologica e impellente di portare a galla riflessioni inerenti il nostro vissuto quotidiano, e soprattutto dalla volontà di vivere intensamente ogni respiro.

 
 
 

Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 20 Luglio 2008 da zentao
 
Foto di zentao

 

Il Taoismo sorse sullo stesso terreno culturale in cui nacque il Confucianesimo e si servì degli stessi elementi utilizzati da questo, che formavano il patrimonio intellettuale della Cina della seconda metà del 1° millennio a.C. Ma mentre il Confucianesimo ne dedusse dei modelli da imitare per ritornare alle virtù morali degli antichi re "santi", il Taoismo li sottopose ad aspra critica, additando nei portatori di quelle virtù i corruttori della primigenia virtù del Tao, fatta di naturalezza e spontaneità. D'altro canto, essendo Lao Tzu e Confucio contemporanei, la medesima situazione storica di decadenza della dinastia Chou (che regnava ormai da sei secoli ed aveva perduto lo slancio riformatore dei primi sovrani), spingeva i due capiscuola ad evocare i tempi aurei in cui vigeva la semplicità del Tao, per Lao Tzu, o la carità e la giustizia dei santi imperatori, per Confucio. Bisogna ammettere però che i concetti che troviamo alla base del Taoismo e del Confucianesimo preesistevano ai fondatori delle due scuole, i quali non fecero che elaborarli e fissarli in un corpo di dottrine: Lao Tzu con lo scritto, Confucio con l'insegnamento.

La tradizione ci dice che Lao tzu(o Lao tze) - che è in realtà un soprannome che vuol dire "vecchio maestro" -, si chiamava Chung-erh o Po-yang o anche Lao tan. Visse nel 6° secolo a.C. ed era di qualche anno più vecchio di Confucio. Nacque nel villaggio di Ch'u-jen, nel territorio dell'odierno Honan (Cina orientale, a sud di Pechino). Fu storiografo negli archivi imperiali. Si dice che Confucio si sarebbe incontrato con lui e sarebbe stato colpito dalla sua saggezza. Lao tzu abbandonò il suo incarico quando la corta cominciò a dare segni di decadenza e se ne andò verso l'ovest. Arrivato al passo di Han-ku, il guardiano Yin Hsi gli chiese di scrivere un libro per lui e Lao tzu espose allora le sue dottrine nel Tao Te ching. Poi partì e non se ne seppe più nulla.

L'opera di Lao Tzu è divisa in due parti, la prima sul Tao e la seconda sul Te. In seguito fu suddivisa nel numero mistico di 81 capitoletti, e il nome di Tao Te ching fu dato, sembra, da uno dei suoi commentatori, Ho-shang Kung. L'opera ci è anche giunta in un'altra redazione, non molto diversa dalla prima, curata da Wang Pi.

Il libro si apre con una descrizione del Tao. La parola significa propriamente via e quindi anche modo di condursi, sistema. Il Tao è una astrazione metafisica che indica la legge universale della natura, lo spontaneo modo di essere e di comportarsi dell'universo. In questo senso è indicibile, ineffabile, indeterminato. Essendo il principio primo e assoluto, è privo di caratteristiche, giacché è la stessa fonte di tutte le caratteristiche; non è però il nulla, dato che è l'origine di ogni cosa. Esso è prima di tutte le cose, dà loro l'esistenza. "Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao, il nome che può essere nominato non è l'eterno nome" (In cinese suona più o meno così: Tao ke Tao fei chang Tao; ming ke ming, fei chang ming: cfr. Tao Te Ching, 1). In altri termini, il Tao è oltre ogni denominazione, visto che la fonte da cui tutto deriva non può essere nominata, costituendo l'origine dei nomi e di ogni descrizione possibile. Tao è quindi un non-nome; indica, piuttosto, ciò che consente alle cose di essere quello che sono; è ciò che dà loro l'esistenza (come se si dicesse: il questo da cui derivano l'essere e il non essere). Sebbene non si possa dire ciò che il Tao è, ma si possa soltanto accennarlo, lo si può in un certo modo comprendere considerando il suo "funzionamento", le sue manifestazioni. Il Tao si manifesta nell'universo, nella natura, dato che ciò che le cose individuale possiedono del Tao è il Te. La parola Te, tradotta il genere con virtù, non ha un significato strettamente morale bensì quello di vigore, potenza, facoltà, efficacia. È in pratica la manifestazione del Tao, come già accennato. Il Tao, in quanto origine, fonte, sorgente, dà l'esistenza alle cose, mentre il Te dà loro diversità.

Tutte le cose esistono nel Tao e il Tao è presente in tutte le cose. Finché le cose avvengono naturalmente, tutto è armonico e nulla turba l'equilibrio cosmico. L'uomo, se vuole vivere felice, deve seguire il Tao senza ostacolarlo. In questo senso, egli non deve agire, nel senso che non deve modificare l'armonia dell'universo. Se lo fa, allora non è più in accordo col Tao. Il principio della inazione (wu wei) non indica quindi il rimanere ozioso, senza far nulla, ma è piuttosto basato sul riconoscimento che l'uomo non è la misura e la sorgente di tutte le cose, ma lo è soltanto il Tao. La vita è vissuta bene solo quando l'uomo è in completa armonia con tutto l'universo e la sua azione è l'azione dell'universo che fluisce attraverso di lui. Il bene non viene compiuto dall'azione spinta dai desideri, ma dalla inazione (wu wei) che è ispirata alla semplicità del Tao. "Il Tao in eterno non agisce eppure non c'è nulla che non sia fatto. Se chi governa si attenesse ai suoi principi, gli esseri si svilupperebbero da soli. Se durante questo sviluppo crescesse il desiderio, basterà risvegliare in essi l'originaria semplicità di quello che non ha nome. La semplicità del senza-nome genera l'assenza del desiderio; l'assenza del desiderio genera la serenità, così l'impero si consolida da solo" (TTC, 37).

Il problema riguarda dunque il modo in cui si dovrebbe agire. La risposta è che si dovrebbe agire adottando la semplice via del Tao, non imponendo i proprio desideri al mondo ma seguendo la natura stessa. L'uomo deve conoscere le leggi che regolano i mutamenti delle cose per confermarsi ad esse; conoscendo tali leggi, l'uomo si renderà conto che è vano perseguire un fine diverso, poiché ogni cosa segue il proprio sviluppo, la propria intima legge. L'uomo deve liberarsi da ogni pensiero, passione, interesse, desiderio particolare per ritornare alla semplicità di quando era bambino; egli deve fare solo ciò che è necessario e naturale. Vivere semplicemente vuol dire vivere una vita in cui è ignorato il profitto, lasciata da parte la scaltrezza, minimizzato l'egoismo, ridotti i desideri. Non bisogna cioè agire con artifici e deformazioni ma lasciare che le cose si compiano in modo spontaneo e naturale.

Anche in ambito sociale, le istituzioni sono giuste quando si permette loro di essere ciò che sono naturalmente; anche la società deve essere in armonia con l'universo. Se il legislatore si attenesse alle norme del Tao, il governo procederebbe in modo spontaneo e naturale. E non ci sarebbe bisogno di leggi severe e di guerre. Quando si governa un paese, si dovrebbe badare a non opprimere troppo la gente, portandola a ribellarsi. Quando invece le persone sono soddisfatte non ci sono guerre e ribellioni. Perciò la semplice norma del governare consiste nel dare al popolo ciò che vuole, e nel rendere il governo conforme alla volontà del popolo, piuttosto che tentare di rendere il popolo conforme alla volontà di chi governa. Il lavoro di chi governa è quello di lasciare che il Tao operi liberamente, invece di tentare di opporsi alla sua funzione e di cambiarla. Così, chi vuole governare con l'aiuto del Tao, è avvisato di non fare uso di forza o violenza, poiché ciò finisce per determinare un rovesciamento. "Colui che assiste il principe col Tao non fortifica l'impero con le armi…tutto ciò che è contrario al Tao non può durare". Quando chi governa conosce il Tao e il suo Te, da in che modo deve starsene al di fuori della vita del popolo e servirlo senza intromettersi. Così Lao Tzu dice che le persone "sono difficile da governare poiché chi governa agisce troppo". "Più leggi e divieti ci sono nel mondo, più povero sarà il popolo… più si emanano leggi e decreti, più ci saranno ladri e predoni" (TTC, 57). Eliminando i desideri e lasciando che il Tao entri e ci pervada, la vita supererà le distinzioni tra buono e cattivo. Ogni attività verrà dal Tao, e l'uomo diventerà uno col mondo. Questa è la soluzione di Lao Tzu al problema della felicità. È una soluzione che dipende soprattutto dal raggiungimento dell'unità col grande principio immanente della realtà, ed è perciò, in questo senso, una soluzione mistica.

Nei secoli a cavallo dell'era volgare, i seguaci del Taoismo si dedicarono soprattutto alla speculazione metafisica e in particolare sul problema della morte e della immortalità. Nacque così una forma di religione taoista, che assunse ben presto aspetti istituzionali e che ebbe, sotto la dinastia dei Tang (620-906 d.C.), una enorme diffusione, pari al buddhismo. Il pensiero cinese delle origini non aveva elaborato una dottrina (come era successo in Grecia e nel Cristianesimo) che rispondesse al problema del destino dell'uomo dopo la morte. L'uomo cinese si vedeva solamente mortale. Da qui sorse la convinzione che l'immortalità fosse una sorta di conquista, da ottenere attraverso modalità per lo meno singolari. Il problema era appunto quello di far diventare il corpo umano immortale. Già da tempo erano stati codificati dei metodi per prolungare la vita e permettere una sorta di immortalità. Questi metodi si dividono in due gruppi: le pratiche per nutrire lo spirito e le pratiche per nutrire la vita o il corpo.

Le pratiche per nutrire lo spirito si riferiscono naturalmente all'esercizio delle virtù morali, cioè la purezza di vita, il riconoscimento e il pentimento delle proprie colpe e il compimento delle buone azioni meritorie.

Le pratiche per nutrire la vita o il corpo sono invece di ordine dietetico, respiratorio, sessuale e alchimistico. La pratica dietetica consiste nell'astensione dai cosiddetti cinque cereali, perché di essi si nutrono i tre demoni (san shih) che risiedono nel corpo umano e sono avversi all'uomo. L'astensione da quegli alimenti mira a liberare l'uomo dalla loro presenza, facendoli morire di inedia.

Un'altra pratica molto importante è quella della respirazione controllata. Secondo le antiche tradizioni, il ch'i è il soffio vitale che permea l'universo. La pratica respiratoria tende ad immettere nel corpo il ch'i più sottile affinché lo nutra e piano piano elimini la parte densa e impura, portandolo alla stessa sottigliezza e purezza del cielo immortale.

La pratica sessuale consiste essenzialmente nella ritenzione del seme maschile: l'orgasmo dovrebbe essere ripetuto più volte e con diverse compagne, senza però lasciar sfuggire il ching maschile, in modo che torni indietro e si diffonda nell'organismo dove, unendosi al ch'i, darebbe nascita al corpo immortale. La pratica invece più difficile, dispendiosa e misteriosa, consisteva nell'ingerire, dopo una lunga preparazione alchimistica, il cinabro (solfuro di mercurio), che provocherebbe di per sé l'immortalità.

Come si vede, siamo ormai lontani dall'autentico Taoismo, che comunque fu importante perché fu la risposta a molteplici interrogativi spirituali. Inoltre non si dimentichi che, in campo politico, con la credenza messianica in una società migliore, molte furono le rivolte contadine che ebbero i loro capi in persone che si ispiravano al Taoismo. In campo artistico, il Taoismo, concedendo assoluta libertà all'individuo, permise la creazione di opere d'arte concepite per il godimento del letterato e del pittore e non, come volevano i confuciani, in esclusiva funzione di un certo tipo di società. In ultimo, la donna, che nella Cina confuciana e feudale era relegata a vivere all'interno della sua abitazione, acquisterà col Taoismo una certa parità con l'uomo, al punto di poter accedere anche a certi gradi della gerarchia religiosa taoista.


 
 
 

Post N° 1

Post n°1 pubblicato il 20 Luglio 2008 da zentao
 
Foto di zentao

Non uscendo dalla porta si conosce il mondo. Non guardando dalla finestra si scorge la via del cielo.(Lao Tzu)

Nel corso della storia si è constatato che la mente dell'uomo è capace di
due tipi di conoscenza; la prima modalità è quella razionale, tenuta in
grande considerazione dall'occidente; la seconda è quell'intuitiva che, in
genere, è esattamente l'opposto, ed è confacente all'atteggiamento
orientale. La conoscenza razionale appartiene al campo della scienza e
dell'intelletto, la cui funzione è quella di analizzare, discriminare,
dividere, confrontare, misurare e ordinare in categorie.

La conoscenza razionale è un sistema di concetti astratti e di simboli; in
questo modo si considera l'ambiente naturale come se fosse costituito da
parti separate, e si costruisce una mappa intellettuale della realtà, nella
quale le cose sono ridotte ai loro contorni.

Il pensiero orientale, e più generalmente il pensiero mistico, forniscono
alle teorie della scienza contemporanea un importante e coerente riferimento
filosofico: una concezione del mondo, nella quale i due temi fondamentali
sono l'unità e l'interdipendenza di tutti i fenomeni, e considera l'uomo
come parte integrante di questo sistema. Ciò che interessa ai mistici
orientali è la ricerca di una esperienza diretta della realtà, che trascenda
non solo il pensiero intellettuale, ma anche la percezione sensoriale. La
conoscenza che deriva da un'esperienza di questo tipo viene chiamata dai
buddisti "conoscenza assoluta", perché non si basa su discriminazioni,
astrazioni, e classificazioni dell'intelletto, le quali sono sempre relative
e approssimate. Essa è come dicono i Buddisti, l'esperienza diretta
dell'essenza assoluta, indifferenziata, indivisa, indeterminata.

La conoscenza assoluta è, quindi, un'esperienza della realtà totalmente non
intellettuale, un'esperienza che nasce da uno stato di coscienza non
ordinario, che può essere chiamato uno stato meditativo, o mistico. E' la
realtà della vita del Sé, che vive solo così com'è, la nuda esperienza della
vita (quel soltanto essere vivo ora). Il Sé non è superficiale: è la
pienezza della gioia.

Essere consapevoli del Sé significa essere gioiosi.

"Cosa fa un Buddha sotto l'albero del Bodhi? Non fa nulla. Si limita ad
essere". Egli è colmo di un'insondabile gioia, perché ora non rimane nulla
da raggiungere. Nel proprio essere si scopre che qualsiasi cosa degna di
essere raggiunta esiste già. Il semplice accadere della vita, l'espirare e
l'inspirare, il semplice pulsare della vita, è beatitudine. Non ha nulla a
cui pensare, non pensa alla famiglia, né pensa al futuro, è semplicemente
immerso nella beatitudine -  il giusto modo di essere - non vi è passato, né
futuro.

Non sta andando da nessuna parte, il cuore batte, il respiro entra ed esce,
il sangue circola semplicemente esiste, tutto è vivo e pulsante. Un'energia
priva di scopo, che fluisce senza meta, che fluisce ovunque; ma che non va
da nessuna parte. Fluisce verso il nulla. L'estasi non è una meta. E', qui e
ora, proprio nel movimento; è felice di per sé, proprio nella pulsazione
dell'essere vivo.

Lo zen-  che ebbe origine in seno al Buddhismo, ma fu fortemente influenzato
dal Taoismo - si vanta di essere senza parole, senza spiegazioni, senza
istruzioni, senza conoscenza. Esso si concentra quasi interamente
sull'esperienza di illuminazione (satori), ed essa non consiste nel fare
qualcosa, o nell'ottenere qualcosa; ma, semplicemente, nel riconoscere
quello che è sempre esistito di fatto, e si interessa solo marginalmente di
interpretare questa esperienza.

A causa dell'educazione e del condizionamento ambientale, il funzionamento
delle nostre menti è legato a un sistema particolare di logica, formato da
concetti, e ogni cosa viene considerata attraverso un sistema di opposti:
buono cattivo, bianco o nero, giusto o errato. A causa di questo modo di
giudicare non possiamo raggiungere le unità attraverso la molteplicità. Lo
scopo dello Zen è quello di andare al di là dei legami della dualità,
rinunciare a tutti i concetti creati dall'intelletto e vedere le cose come
realmente sono, per mezzo della introspezione intuitiva. Poiché il flusso
della mente non può essere fermato mediante uno sforzo egocentrico di
volontà, quello che si richiede, momento per momento, è la osservazione
continua delle dualità, della tendenza continua del nostro io, delle
tendenze che costituiscono i nostri pensieri, i nostri sentimenti, il nostro
corpo.

In tutto il misticismo orientale, l'intelletto è visto soltanto come un
mezzo per aprire la strada all'esperienza mistica diretta, che i Buddhisti
chiamano "risveglio". Lo zen insegna che il risveglio (satori) attraverso la
meditazione è al termine della attesa-attenzione, che deve essere una
vigilanza senza oggetto. Non c'è nulla da attendere, infatti; ciò che
succede, succede. Non esistono leggi regole e scopi, né in natura né nei
pensieri. Riacquistare la spontaneità della nostra natura originaria, la
natura di Budda di tutte le cose, richiede un lungo percorso e costituisce
una grande conquista spirituale. Attraverso la meditazione si può fare
l'esperienza di sentire la nostra natura originaria.

Il programma basico dello Zen è quello di calmare la mente e il corpo, in un
primo tempo, mediante la pratica della meditazione, con lo scopo di arrivare
ad una visione interiore. Zazen (meditazione seduta), seduti con le gambe
incrociate, la schiena dritta, la respirazione calma, il corpo e lo spirito
unificati, senza spirito avido. Girando il proprio sguardo verso l'interno,
ciascuno depone naturalmente i limiti dell'egoismo e fa direttamente
l'esperienza del risveglio alla sua vera natura. La base della filosofia Zen
è il silenzio, è il Ku (il silenzio totale), che è la condizione originaria
della natura umana. Praticare aldilà di ogni oggetto è lo zazen più elevato;
soltanto sedersi senza scopo. Durante zazen non si pensa; anche se il
subconscio si manifesta, si lascia passare, non si ferma il pensiero, non si
trattiene. In questo modo la coscienza diventa illimitata, infinita.

E' la coscienza cosmica (la cosmicità è la natura intrinseca della mente).
Il metodo Zen, questo tipo di approccio alla realtà, è un metodo
prescentifico, o metascentifico, o perfino antiscentifico. In questo modo,
lo Zen si immerge nella fonte della creatività e beve ad essa tutta la vita
che contiene. Tale fonte è l'inconscio dello Zen. L'inconscio è fuori
dall'ambito della ricerca scientifica, l'inconscio si può solo sentire, e
non nel senso comune del termine; pertanto, bisogna imparare a padroneggiare
le vie dell'inconscio e la saggezza sconosciuta del Sé. Ciò che esiste nel
centro interiore è aldilà di ogni spiegazione. Viceversa la scienza inizia
là dove comincia la spiegazione, all'esterno; è una ricerca sulla
circonferenza, nell'ambiente dell'uomo. Di solito la consapevolezza
scientifica è oggettiva: conosci gli altri, conosci il mondo, conosci le
stelle.

Nel momento, però, in cui la consapevolezza si rivolge all'interno e inizia
a conoscere se stessa; in altre parole, nel momento in cui la consapevolezza
diventa oggetto della propria conoscenza l'illuminazione fiorisce. D'ora in
poi la consapevolezza sarà il padrone e l'inconsapevolezza il servitore. La
porta della verità non è, né il centro, né la circonferenza  - che sono in
realtà due facce di una sola e unica verità, ma uno stato in cui colui che
vede e la cosa vista, l'osservatore e la cosa osservata, si uniscono. Solo
l'uomo libero da opinioni e da idee preconcette può vedere l'unità e
l'integrità della vita.

Scoprire il proprio inconscio non è un atto intellettuale, ma un'esperienza
affettiva che non può essere spiegata a parole.

L'intelletto, in ultima analisi, è superficiale; è qualcosa che fluttua alla
superficie della coscienza, e la superficie si deve spaccare perché possa
raggiungere l'inconscio cosmico; lo spirito logico deve dissolversi
progressivamente per consentire al pensiero translogico ed unificatore dello
Zen di emergere. Una volta che tale livello sia raggiunto, la comune
coscienza viene pervasa dal flusso dell'inconscio; è questo, appunto, il
momento in cui lo spirito finito comprende di avere le proprie radici
nell'infinito. La presa immediata e piena sul mondo è proprio la finalità
dello Zen, è l'autentico risveglio (farsi consapevoli) che si trova alla
radice insieme del pensiero creativo intellettuale, e dell'immediata
apprensione intuitiva, equivale al superamento della contaminazione
affettiva e della manipolazione cerebrale; equivale alla scomparsa della
polarità conscio e inconscio. Significa non avere nulla ed essere.

Il seguace Zen consegue, qui, il suo oggetto, perché è giunto a
destinazione; egli è adesso pervenuto nel cuore delle dualità e include in
sé tutto ciò che vi è di intellettuale, di affettivo, o creativo in modo
indiscriminato, indifferenziato o meglio assoluto. Le sue attività non sono
cambiate, ciò che è cambiato è la sua soggettività. La mia esperienza
personale della consapevolezza nella vita di tutti i giorni, è quella di
perderla facilmente, continuamente, in ogni momento. Mi capita a volte di
perdermi nelle reazioni, o mi isolo da ciò che accade. Ogni giorno, infinite
volte perdo la consapevolezza; spesso cado vittima della "tigre della
mente". Purtroppo le pressioni, le tensioni e la frenesia della vita non
sono certo condizioni ideali per la consapevolezza. Tuttavia non appena
riconosco di averla smarrita posso ricominciare d'accapo.

Si affaccia, così, un Sé semplice, basato sul respiro, capace di arrendersi
al momento presente. Ecco, quanto voglio sottolineare come esperienza
personale; nel momento in cui riconosco di aver smarrito la consapevolezza,
l'ho già riconquistata, perché quel riconoscimento stesso è una funzione
della consapevolezza. La consapevolezza infatti non è qualcosa di astratto o
lontano: per ognuno di noi prende vita nel momento in cui iniziamo, e ogni
volta che ricominciamo. Essere consapevoli, svegli, ricordarsi di Sé,
osservare, non farsi travolgere dal chiacchiericcio della mente, questo è il
potere della consapevolezza, essere attenti e presenti con equilibrio,
serenità e comprensione, sia che l'esperienza sia piacevole, spiacevole,  o
neutra. Restare un semplice testimone indifferente.

Quando siamo presenti, osserviamo con la visione meditativa, con
un'attenzione profonda e penetrante, caratterizzata dall'assenza di
superficialità, e sappiamo incontrare direttamente ciò che accade nel nostro
mondo (la nuda realtà), con apertura, sensibilità, lucidità. Quando
accendiamo la luce dell'attenzione saggia, possiamo vedere con chiarezza,
comprendiamo che non dobbiamo fare neppure un passo in nessuna direzione,
per ritrovare il nostro posto dove possiamo essere a nostro agio; è proprio
qui, dove ci troviamo ora. Di solito, manchiamo d'intuizione e di una chiara
visione, perché siamo prigionieri dei nostri condizionamenti. La realtà è
già presente in noi; ma, per la nostra cecità, essa ci sfugge completamente.
In un certo senso sperimentiamo qualcosa di continuo, ma siamo scarsamente
in contatto con le nostre esperienze, solo a metà svegli di fronte alla
realtà.

In questo senso possiamo dire che non sperimentiamo veramente. Per la
Gestalt la vera esperienza è terapeutica, o correttiva di per sé; è quel
punto al di là delle tecniche, come realtà-consapevolezza-responsabilità. Un
momento di veglia, un momento di contatto con la realtà è quello in cui i
fantasmi dei nostri sogni a occhi aperti possono venire riconosciuti per
quello che sono, è un momento di addestramento all'esperienza, attraverso il
quale possiamo imparare, ad esempio, che non c'è nulla da temere, o che la
soddisfazione di essere vivi supera la sofferenza o la perdita che avremmo
voluto evitare col nostro dormiveglia. Colui che ha sviluppato la
stimolazione dall'interno, può ricongiungersi, così, ai suoi sensi ed
entrare in contatto con la propria esperienza, ridestandosi e tornando alla
realtà nuda della vita che è "il Sé in Sé per Sé", il Sé che fa se stesso in
Sé stesso, qualunque cosa capiti.

Questa è la vera dimensione spirituale, quel punto in cui non si è più
diretti dall'io, ma da una coscienza non dualista; non c'è più nessuno che
pensa: "tu giungi senza alcun concetto di giungere e vedi senza alcun
concetto di vedere". Finche' non avremo superato il dualismo, non
conosceremo la libertà definitiva (l'ultima realtà). Realizzare questa
profonda comprensione di sé stessi è la fonte della vera saggezza;
l'autentica saggezza risiede nell'osservazione e nella conoscenza di se
stessi. Il punto di vista della terapia gestaltica, su questo come su altri
temi, è che la consapevolezza è abbastanza, tenendo bene a mente la
distinzione tra essere aperti all'esperienza e fabbricare esperienze.
Infatti le azioni che derivano dall'esperienza e la esprimono non sono tese
a produrre un effetto.

Le azioni che affermano la vita, piuttosto che negarla; che rivelano,
piuttosto che nascondere, che esprimono piuttosto che reprimere, sono in un
certo senso non azioni. L'azione, infatti, contrariamente alla manipolazione
(di se stessi, o degli altri), viene sperimentata come fluente dall'interno,
invece che compiuta per andare incontro a modelli estrinseci. Per finire,
voglio dire che la consapevolezza è il nostro vero Sé: è ciò che siamo.
Perciò, in un certo senso, non c'è bisogno di sviluppare la consapevolezza:
basta rendersi conto di come la blocchiamo con pensieri, fantasie, opinioni
e giudizi.

Stare semplicemente nell'istante; fare una cosa alla volta e consegnarci
totalmente a essa è il modo più efficiente di vivere; è essere semplicemente
qui, vivere la nostra vita. "Niente di speciale". La vita è così com'è, il
lavoro è così com'è, il mondo è così com'è, e forse, se sappiamo accettarlo
così com'è, ci sveglieremo al suo significato.

In ogni situazione, che gli altri ci osservino o no, dovremmo essere
consapevoli di ciò che avviene in noi e stare in guardia contro la
trascuratezza e la disattenzione. Così, non nuoceremo agli altri. La meta è
sviluppare gradualmente la consapevolezza, e attivare quella compassione e
gentilezza amorevole che già sono in noi. E questo è alla portata di tutti.

 
 
 
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