Creato da zaraeteream il 21/11/2008
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Afrodite giacerà sullo scudo 

Post n°5 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da zaraeteream
Foto di zaraeteream

Una luna spenta compariva sporadicamente in mezzo all’indolente rincorrersi delle nuvole, mentre il vento proveniente da ovest soffiava sulle colline ricoperte di lentisco in fiore. In mezzo ad esse si apriva una valle che lasciava intravedere un monte al di sopra del quale si ergeva un’imponente costruzione: il santuario di Delfi. Un lungo recinto di pietra circondava la sua struttura composta da numerosi edifici separati tra loro da vie, la più lunga delle quali era la via sacra. Quest’ultima conduceva ad un ampio spiazzo antistante un altare ed un tempio, le cui alte colonne reggevano una cupola bianca, austera e solenne. Al suo interno una statua di Apollo guardava verso la città di Atene, situata a poche ore di distanza da lì, mentre ai suoi piedi un fuoco, alimentato da legno di abete, bruciava perennemente; numerose ghirlande di alloro circondavano un tripode di pietra, ed il pavimento era quasi diviso a metà da una crepa che sprigionava un intenso fumo dall’odore acre. Centinaia di luci illuminavano quella sacralità: erano le fiaccole dei supplici, i pellegrini provenienti da ogni angolo della Grecia per ascoltare il responso della Pizia, la sacerdotessa di Apollo.

Ognuno portava un obolo e si sottoponeva ad un percorso di purificazione per poter essere degno di rivolgere una domanda all’oracolo più importante di tutta l’Ellade. Tra i supplici accorsi c’erano anche i due generali dell’esercito greco, Temistocle figlio di Neocle della nobile stirpe dei Licomidi e Aristide figlio di Lisimaco, re di Tracia: non era difficile capire per quale motivo si trovassero lì. Da giorni ad Atene si parlava della guerra contro Serse e della disperata impresa che Leonida di Sparta stava compiendo alle Termopili.

Ad un tratto Temistocle arringò la folla di pellegrini: “Cittadini di Atene! Abitanti dell’Ellade! Come tutti voi sapete, gli spartani hanno chiesto più volte il nostro aiuto per fronteggiare il nemico…” Il generale aveva un portamento regale e la sua figura sprigionava vigore. Veterano di molte guerre, si era distinto più volte per le sue strategie militari e per il suo coraggio. Il viso era contornato da una barba e da capelli cortissimi, mentre una ruga gli solcava la fronte; il petto prestante era fasciato da una corazza, indossata sopra ad una tunica di lino che gli arrivava a metà coscia. Gli schinieri di bronzo e l’elmo che teneva in mano, completavano infine la sua elegante armatura.

“…E Atene non risponderà! Gli spartani non meritano il nostro aiuto! Vi siete forse dimenticati di Maratona?” Appoggiato alla base di un monumento votivo raffigurante un toro, Aristide aveva appena espresso la sua opinione. Abile condottiero, noto per la sua testardaggine ma anche per la sua imprevedibilità, il figlio del re di Tracia aveva combattuto la precedente battaglia di Maratona riuscendo a respingere l’attacco di Dario. “Nel furore di quella battaglia più volte chiesi aiuto agli spartani! Ma loro non ascoltarono le grida di Atene perché il loro oracolo gli sconsigliava di combattere in quel periodo!” La folla di supplici si scatenò in un applauso: “Aristide ha ragione! Sparta ha voltato le spalle ad Atene!” Furono i commenti della gente. Il generale sorrideva fiero di se stesso, quando ad un tratto Temistocle alzò un braccio, invitando i pellegrini a calmarsi: “Aristide ha ragione, è vero. Ma io vi chiedo di ascoltare il responso di Apollo, così come allora avevano fatto gli spartani! Per questo vi invito a lasciare il vostro obolo per chiedere alla Pizia se Atene deve combattere!” Il silenzio calò per un istante poi, da un angolo del santuario, un giovane con dei folti capelli neri urlò: “Temistocle dice il giusto!Io darò il mio obolo per il destino di Atene!” L’acclamazione che seguì diede ragione al nobile Temistocle ed infine ogni greco presente decise di sacrificare la propria richiesta di aiuto alla Pizia in nome di un’unica supplica: sapere se Atene avesse dovuto soccorrere Leonida. Temistocle sapeva che la folla si lasciava influenzare facilmente e giocando d’astuzia era riuscito ad ottenere quello che voleva. Ora doveva solo sperare che l’oracolo approvasse l’entrata in guerra di Atene così come lui avrebbe voluto, conscio del fatto che se i persiani foimponente esercito, non ci sarebbe più stata speranza per la Grecia.

Dopo qualche minuto uscirono dal tempio i cinque sacerdoti dell’oracolo, dei vecchi vestiti di bianco con una lunga barba lanuginosa e la chierica circondata dai capelli bianchi. Nel silenzio uno di loro si avvicinò all’altare e rivolgendosi a Temistocle domandò quale fosse la sua pretesa: “La mia richiesta è la medesima di tutti i greci qui presenti. Domanda ad Apollo se Atene dovrà combattere al fianco degli spartani!” Rispose.

Come se stesse obbedendo ad un comando segreto, il sacerdote entrò nel tempio e da una camera nascosta uscì una bellissima giovane, il cui volto era ingentilito da copiosi riccioli dorati. Si chiamava Perseide, come la ninfa nata dalla fecondità del mare ed era stata prescelta tra le povere famiglie di contadini che vivevano a Delfi, per ricoprire un ruolo degno di onore ma spaventoso al tempo stesso.

Gli occhi, smeraldi cangianti, lasciavano trasparire una purezza che la rendeva estranea a quello che stava per compiere. Lentamente si sedette sul tripode e bevve una coppa d’acqua proveniente dalla vicina fonte Castalia, sgorgata dall’amore respinto di Apollo. Subito dopo masticò delle foglie di alloro e cadde in estasi: rotolò a terra perdendo il controllo del suo corpo sinuoso che cominciò a contorcersi in movimenti lenti e sconnessi, mentre la veste leggera fluttuava nell’aria. Infine si adagiò sul pavimento esausta: con occhi vitrei fissò un punto nel vuoto e le labbra rosa e carnose si divisero in un lento respiro. Il sacerdote si avvicinò ed ascoltò le parole che ella pronunciò, trascrivendole su una tavoletta che subito dopo porse a Temistocle, uscendo dal tempio. Il silenzio di quell’istante era totale. Tutti osservarono il volto serio del generale mentre leggeva il responso dell’oracolo, cercando di interpretare il suo sguardo che improvvisamente si incupì. Alzando gli occhi verso la folla lesse ad alta voce le parole pronunciate dalla Pizia:

Impenetrabile il legno resiste all’onda  irruente.

Ma Pallade Atena impugnerà la lancia quando Afrodite giacerà sullo scudo!”

 

Nessuno capì il significato di quelle parole, tranne Aristide: “Significa che Atene non scenderà mai in guerra!” Disse sicuro di sé, ma Temistocle lo rimproverò: “Figlio di Lisimaco, lascia che siano i sacerdoti ad interpretare il messaggio.”

 
 
 

L'Ultima Rivelazione

Post n°3 pubblicato il 22 Novembre 2008 da zaraeteream
Foto di zaraeteream

 

L’oscurità silente avvolgeva il suo corpo.
Buio.

Silenzio.
Poi un lampo accecante illuminò un volto.

Un uomo dallo sguardo terribile e minaccioso si ergeva in una maestosa regalità, impassibile alla pioggia che si abbatteva sul petto nudo e possente, parzialmente coperto da un immenso scudo.

Stava lì, fermo ed immobile, fissandola con odio.

Lei, pietrificata, non riusciva a muoversi, non riusciva a gridare come avrebbe voluto perché era persa nella freddezza di quello sguardo.

Aprì gli occhi ansimando e capì di aver sognato.

Con la mente confusa e lentamente tornò alla realtà mettendo a fuoco gli oggetti intorno a lei: preziosi tappeti dai mille colori, delicati cuscini di seta, un tavolo in legno preziosamente decorato, animali esotici imprigionati per sempre sulle pareti di un vaso..

Guidata dalla luce fioca di una candela si alzò, lasciando il giaciglio di lenzuola di lino nelle quali era avviluppata.

Un drappo bianco copriva con naturalezza il suo corpo sinuoso, lunghi capelli neri le incorniciavano il volto, la pelle ambrata contrastava sulle iridi azzurre degli occhi, corruschi laghi di serenità e dolcezza; respirò lentamente assimilando il profumo di incenso che aleggiava in quella tenda rossa.

Una tenda…

Era lì che si trovava, in mezzo ad una battaglia, tra odio e sangue ma pur sempre al sicuro, almeno finchè il suo signore e padrone, Serse re di tutti i Persiani e del mondo, l’avesse protetta.

Zahra, questo era il suo nome, era una schiava, la più bella fra tutte.

Ripensò all’incubo che aveva turbato il suo sonno.

Quell’uomo… i suoi occhi…

Forse era un dio che voleva lasciarle un messaggio…

Mentre si poneva mille domande turbata, un rumore, diverso da quello della pioggia che scrosciava da ore, attirò la sua attenzione, portandola ad uscire velocemente dalla tenda.

I suoi occhi corsero veloci lungo il paesaggio che ormai era lo stesso da giorni: centinaia di tende nere e dorate colmavano la rasa pianura a ridosso del mare, imponenti costruzioni in legno proteggevano viveri ed animali, enormi navi ondeggiavano nel mare ribelle, a poca distanza dalla riva.

Ascoltò oltre la pioggia e sentì i passi celeri di qualcuno che si avvicinava, scorgendo un uomo che correva verso una vasta e fastosa tenda.

Zahra lo seguì, noncurante della pioggia.

Doveva essere un messaggero dal momento che le guardie che piantonavano l’ingresso di quella sontuosità lo avevano lasciato passare immediatamente.

Entrò anche lei e si fermò dietro un altissimo vaso d’oro.

L’uomo si inchinò dinanzi ad una figura solenne e silenziosa.

“Re Serse - disse l’uomo – ti porto cattive notizie. Al largo del promontorio Sepiade la tempesta ha distrutto centinaia delle tue navi. Molte sono state trascinate verso le città di Melibea e Castanea..Ma non se ne hanno più notizie.”

L’uomo fece una pausa aspettando che il sovrano dicesse qualcosa.

Poi proseguì titubante:

”Inoltre…”

”Continua!” tuonò Serse.

“..300 opliti spartani stanno marciando verso il passo delle Termopili.”

Serse scoppiò in una risata che sconquassò la sua nobile compostezza.

“300 hai detto?E chi guida questi folli verso morte certa?” domandò divertito.

“Leonida, re di Sparta, mio signore” fu la risposta.

 
 
 
 
 

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