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Vimala Thakar: Ritratto di una saggia contemporanea (parte I)


“Sono una persona semplice, un essere umano che ha amato la vita, considerandola divina. Sono stata innamorata della vita, pazzamente innamorata della divinità della vita umana!”La sua voce è profonda e sicura di sé, vibrante di una passione soffusa. Pronuncia chiaramente e senza esitazione ogni parola, dando l’impressione di una persona che affronta la vita a testa alta, senza cercare scuse e in modo totalmente presente. I suoi occhi sono dolci e senza paura. Siede sul bordo della sedia, attenta e china verso di noi, vestita con un sari bianco, fresco e pulito.Perfettamente immobile, dotata di un’innegabile potere, in un attimo diventa gentile e premurosa nel servirci il the. Questa è il nostro primo incontro con Vimala Thakar, la nota figura spirituale che ha viaggiato il mondo insegnando per più di trenta anni. Ho atteso con impazienza questo momento, l’opportunità di parlare e intervistare questa donna insolita. Una volta la sentii parlare a Londra, venti anni fa, e le sue parole lasciarono in me un’impressione duratura. È stato il ricordo della sua integrità e intelligenza che recentemente mi ha fatto decidere di rincontrarla. È la sola persona, per quanto ne sappia, alla quale J.Krishnamurti, il grande rivoluzionario spirituale, abbia mai chiesto di andare a insegnare. Insieme al mio vecchio amico Shanti Adams, sono venuto a cercare Vimala Thakar qui sul Monte Abu, una stazione collinare nel remoto angolo meridionale dello stato desertico Indiano del Rajasthan, dove trascorre i mesi invernali. La casa, che le è stata donata, è tranquilla e immersa nelle enormi formazioni rocciose che intercalano il paesaggio. Vimala ci incontra puntualmente alle 9.30 del mattino in un piccolo studio accanto all’atrio della casa, e le rammento l’intervista proposta. Mi sento mancare il cuore quando ci dice di essere più che felice di dialogare con noi, ma che non desidera essere pubblicata e fotografata. «Sono socialmente morta», aggiunge. Per noi è un gran sollievo quando, dopo un’ulteriore conversazione, molto cortesemente fa un’eccezione e ci consente di intervistarla per “What is enlightenment?”. Mi sovviene che la sua avversione alla pubblicità è una ragione per la quale non è molto conosciuta nei circoli spirituali. Non ho mai visto una sua intervista o un articolo su di lei, malgrado abbia viaggiato e insegnato in trentacinque paesi, abbia studenti e amici in tutti i continenti e abbia pubblicato molti libri in numerose lingue.Nel 1991 decise di interrompere i viaggi fuori dalla nativa India. A 74 anni, però, è ancora impegnata a incontrare singoli o gruppi che vengono da lei sul monte Abu o a Dalhousie, ai piedi dell’Himalaya, dove vive durante i mesi estivi. Conduce gruppi di ricerca e campi di meditazione con persone da tutto il mondo, tra cui insegnanti di yoga, buddisti, industriali e pacifisti Indo-Pachistani.«Lasciatemi vivere come un’insegnante invisibile, non come un maestro, ma come un’insegnante», dice Vimala con una voce che cattura la nostra attenzione. «Ho cercato di creare un modello di rapporto tra il ricercatore e l’illuminato che fosse fondato su basi egualitarie. Si tratta di un tentativo rivoluzionario. Tutta la mia vita è stata una condivisione, come membro di una famiglia spirituale, sulle basi dell’amicizia e della collaborazione».Le sue parole, pronunciate molto distintamente e senza esitazione, sembrano intensificare l’atmosfera di silenzio che percepisco nella stanza. Sono consapevole di un passero sull’orlo della finestra e del suo costante cinguettio di sottofondo.La storia di Vimala Thakar è straordinaria. Ci racconta della sua infanzia e di come la sua ricerca spirituale sia iniziata insolitamente presto, all’età di cinque anni. Nata da una famiglia bramina in India, vedeva la madre venerare Dio e si chiedeva: «Come può Dio essere quella cosa minuscola, una statua?». Interrogò al riguardo la nonna, che le disse che Dio viveva nella foresta. Vimala fuggì da casa verso la foresta, cercando Dio e implorandolo di rivelarsi.Attribuisce il suo approccio non autoritario alla spiritualità al padre, un razionalista convinto. Egli, fin dalla più tenera età di lei, capì che la sua vita sarebbe stata dedicata alla Liberazione. Quando aveva sette anni, le disse che la sua devozione verso la spiritualità non gli importava granché, ma le chiese di promettergli di non accettare mai nessun essere umano come autorità assoluta, dal momento che la luce della verità era nel suo stesso cuore. La incoraggiò ad andare negli ashram e a visitare tutte le più note figure spirituali; lui stesso organizzava questi viaggi. In famiglia, la spiritualità era accettata: suo nonno era stato un grande amico del famoso Swami Vivekananda.Per qualche tempo visse nelle grotte, facendo dei ritiri, sperimentando la concentrazione e altre pratiche. Da giovane, entrò nel Bhoodan Movement – il “Movimento del dono della terra” di Vinoba Bhave, che incoraggiava i ricchi proprietarie terrieri a condividere volontariamente la terra con i poverissimi. Girò l’India in lungo e in largo, tenendo incontri pubblici per un certo numero di anni. Fu durante uno di questi viaggi, nel gennaio del 1956, a Rajghat, nella città di Kashi, che un amico la invitò ad andare ad una serie di tre discorsi di J. Krishnamurti, la rinomata figura spirituale indiana. I discorsi ebbero un effetto molto potente su di lei, che comprese all’istante ogni sua parola. Non aveva la sensazione di stare ascoltando dei discorsi, perché si sentiva trasportata alla sorgente stessa della vita. In seguito, frequentò i suoi discorsi a Madras ed ebbe colloqui privati con lui; questi ultimi influenzarono profondamente la sua coscienza, facendola cadere in un silenzio profondo.... (continua)
(dal Web)