Marco Zio BLOG

OGGI HO VISTO IL PAPA A MILANO di Mario Raffaele Conti


 (e ho capito qual è la Chiesa che vorrei)Dunque – tra le polemiche per i costi della visita – Benedetto XVI è atterrato a Milano. Mentre scrivo è a La Scala. Oggi in Corso XXII marzo l’ho visto passare in Papamobile, piuttosto velocemente, preceduto e seguito da una scorta che farebbe invidia a Obama. Uomini armati di tutto punto. Lo so, mi dicono tutti che sono un ingenuo, ma quando vedo questo spiegamento di forze mi viene in mente Gandhi e mi dispiace – non immaginate quanto – che anche i Papi non professino la non violenza a rischio della loro vita.Lo so, sono ingenuo, dovrei capire – come fanno molti – che è un capo di Stato, un simbolo. Ma dove sta l’eroismo della sua missione? Dov’è Gesù Cristo in questa figura così alta?È un’istituzione “liberamente ispirata” al Vangelo, che è radicale dove dovrebbe relativizzare e relativista dove dovrebbe essere intransigente, o è davvero ispirata da Dio?Il dubbio mi rimane.Ma mi dispiace anche per l’uomo vestito di bianco che ho visto oggi. Anziano. Molto anziano. Stanco. Preda dei corvi e vittima lui stesso di un sistema che ha contribuito a creare.Che peccato, che gran peccato.L’altro ieri ho comprato il documentario sul Discorso della Luna di Giovanni XXIII. Ci penso spesso con nostalgia. Quanto avremmo bisogno di sentire un Papa che ci parla così, che spalanca le porte del cuore.Come avremmo bisogno di un Papa che forse somiglia di più a San Francesco che a un Papa. Un Papa della svolta che domani chiama tutti i capi delle Chiese e celebra la messa con loro e non sta lì a vedere cosa dice il dogma di uno o il dogma dell’altro. Perché i dogmi con o senza virgolette ce li hanno tutte le confessioni cristiane e tutti devono mollare gli ormeggi. Ma come sarebbe bello se lo facesse per primo un Papa e costringesse gli altri a misurarsi con tanto cuore e anima.Come sarebbe bello se domenica alla messa di Bresso il Papa chiamasse all’altare un divorziato e risposato e gli desse l’ostia consacrata. Se chiamasse i preti sposati e affidasse loro una parrocchia.Come sarebbe bello se scendesse dalla Papamobile e andasse tra la gente. A suo rischio e pericolo, sì, ma con la fede di chi sa che è qui – come tutti noi – per grazia di Dio.Come sarebbe bello se lasciasse le Sacre stanze e andasse ad abitare nella casa in cui viveva prima. E se qualche volta fosse lui a cucinare una pasta per i cardinali che lo vengono a trovare.Come sarebbe bello se trasformasse il Vaticano nel più bel museo del mondo e sciogliesse la guardia svizzera e aprisse i dossier e chiudesse lo Ior.Come sarebbe bello se rimandasse a Prada le scarpe che confeziona per lui con un biglietto gentile: «Grazie, ma da domani le compro all’outlet».Come sarebbe bello. E non mi venite a dire che sono banalità anticlericali, «sproloqui e luoghi comuni vaticaneschi».Noi non possiamo e non dobbiamo smettere di sognare e di sperare, sennò è finita.Oggi la Chiesa che è approdata a Milano è una Chiesa che soffre per i suoi stessi peccati.Che davanti al dito che mostra il marcio, condanna il dito e nasconde il marcio.Qualche giorno, di fronte a questa realtà, mi veniva in mente il Terzo segreto di Fatima. Chissà se l’immagine di distruzione che avrebbe visto suor Lucia si riferiva proprio a questo momento così drammatico? Forse no, però la suggestione è forte.Eppure. C’è sempre un «eppure» nella storia del popolo di Dio. Me lo ha insegnato un grande teologo valdese, Fulvio Ferrario.Eppure non possiamo smettere di sperare. Se un credente di qualsiasi confessione ha fede, questa fede deve contenere la speranza che il mondo cambi. E con esso anche questa Chiesa di Roma. E questa speranza è contenuta negli uomini di buona volontà, nelle donne e negli uomini che lottano per le donne e gli uomini.Io oggi voglio credere. Voglio fare la mia professione di fede come fece Francesco Guccini quando scrisse «Dio è morto». La Rai la censurò, la Radio Vaticana figlia del Concilio fu la prima a riconoscere la forza della speranza che conteneva:  «Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,  ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi, perchè noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge».Lo penso anch’io. Anche se la generazione di Guccini e anche la mia hanno fallito.Credo a questi ragazzi cui abbiamo tagliato le gambe ingannando, fuggendo, millantando, mentendo.Credo che tra i ragazzi di oggi ci sia il Papa di domani. Che quando si affaccerà per la prima volta al sagrato di San Pietro dirà poche semplici parole: «Amici, da oggi si ricomincia tutto daccapo».Mario Raffaele Conti