a mia figlia

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LA STORIAtanto tempo fa, in una scuola guida, incontro una ragazza che aveva un che di speciale.... data la timidezza, passa qualche sera prima riesca a trovare il coraggio di parlarle dichiarandole la mia simpatia. Scopriamo di essere entrambi studenti iscritti alla stessa facoltà, entrambi un po introversi. Scocca presto la scintilla! La voglia di stare assieme da un lato e le difficoltà dei ragazzi di allora per farlo dall'altro. Sembra anche che i contrasti con la mia famiglia di origine trovino conforto nella relazione ora sbocciata. Segue la ricerca di un lavoro anche precario, alfine trovato, l'affitto di una prima "alcova", una soffitta in centro. Tanto entusiasmo per il futuro, che all'epoca vedevo pieno di belle speranze. Passa del tempo e si consolida il deiderio e il bisogno di progettare insieme. Entrambi partecipiamo a un concorso per entrare in banca: un miraggio....Eppure, inaspettatamente, lei risulta tra i vincitori ! Grande comprensibile gioia, ma presto raggelata: è il giorno della firma del contartto. Lei entra nell'ufficio per le formalità di rito, ma poco dopo ne esce con viso teso, quasi in lacrime. Dice di non essere riuscita a firmare, ha cominciato a tremarle la mano, poi si è messa a piangere, insomma non ce l'ha fatta. Le faccio animo, dico che non è un dramma, siamo giovani, e la fortuna ci sta aiutando. Ma non capivo ciò che stava avvenendo.anche se molto retrodatato, era l'inizio della fine. Ma nessuno potè sospettarlo, forse neppure ella stessa. seppellendo nei meandri del proprio subconscio i suoi veri intenti, almeno fino a che non ne avesse avuto la reale opportunità di realizzarli. Con il conseguimento della sua laurea, il destino si compì, tragicamente. Nel frattempo erano state profuse energie, fatiche e sacrifici, anche economici ad opera di chi voleva viverle accanto, nel frattempo ci fu una dolorosa rinuncia per entrambi ad una gravidanza ( e sono cose che lasciano il segno per sempre), ci fu anche il servizio militare, al ritorno del quale trovai mio padre ammalato di cancro, poi la sua lunga agonia con la sua fine (anche questo lascia il segno): una morte per la verità circondata da ombre.La situazione in sè sembrava pesare sul parentato prossimo di lei, mostrando insofferenza crescente, forse per le uscite in denaro che comportava pagare le ore di assistenza come aiuto a me, di fatto unica persona ad occuparsi fattivamente di mio padre. Fatto sta che una sera, salutai mio padre in ospedale, si ammalto ma ancora in grado di camminare autonomamente, perfettamente cosciente, prima dell'arrivo dell'infermiera privata. Quella notte stessa, improvvisamente ricevetti la telefonata della stessa infermiera che mi avvisava di "un aggravamento". Avevo esperienza ospedaliera e sapevo che in questi casi, a volte, si diceva così per avvisare dell'avvenuto decesso di una persona cara, una sorta di "bon ton", ma quando arrivai, dopo una corsa di al max 15 minuti, mio padre era completamente freddo, quasi gelato. Nel frattempo ancora, poco prima dell'ultimo ricovero di mio padre prima che morisse, ci fu anche il fatidico matrimonio, anche se in quelle condizioni non mi sentivo prontissimo. Fu una mia zia venuta a trovare mio padre a convincermi, dicendo che mio padre sarebbe morto più contento vedendomi "sistemato".Già durante la malattia di mio padre, dovendo dedicarmi alla sua assistenza, in casa prima e in ospedale poi, il rapporto con quella che ora era divenuta mia moglie, si stava raffreddando. Molto spesso ero costretto a trasferirmi in casa di mio padre, dove lui viveva solo. Lavoravo sodo fuori per guadagnarmi da vivere e anche per mantenere la casa coniugale nonchè la moglie che nel frattempo non lavorava ancora. E lavoravo sodo poi a casa di mio padre per assisterlo. Teoricamente avrei dovuto anche studiare per laurearmi.... Sempre nel frattempo, andandosi progressivamente raffreddando il rapporto con la moglie, per contro questa intensificava le proprie conoscenze studentesche. Ora si stava specializzando. Con qualcuno di questi era sempre più amica. Bisogna ora aggiungere l'incidenza dei suoi genitori e dei suoi parenti in generale. Nel senso che la sua famiglia d'origine era più che molto semplice, e questo anzi potrebbe essere anche un complimento, ma direi molto rozza, ed il padre di lei era un pregiudicato, cosa che scoprii molto più tardi, ed a mie spese, ad opera di un atto insano che questi ebbe a compiere su di me: tentò di uccidermi infliggendomi numerose coltellate, una sera che riportavo mia figlia (di allora circa 2 anni) a casa della madre (un tempo casa anche mia e di cui avevo sostenuto le spese) nel corso di uno dei giorni che hanno i padri separati per stare con i propri figli. Quella sera entrai in coma subito dopo il trasporto in ospedale. Mi salvai solo per miracolo, dopo molti giorni di sala di rianimazione e terapia intensiva. Cosa era successo nel frattempo per arrivare a questo punto? Tante cose: -l'influenza dei suoi genitori e parenti come già accennato, che ormai, nella loro grevezza ed ignoranza vedevano la loro figlia con un futuro diverso davanti a lei, che ora era "arrivata" e frequentava già ragazzi di altro livello (pari al suo) nemmeno paragonabile a quello del marito che si trovava.... -lei stessa, che ora si ritrovava con un marito con un impiego meno che mediocre, umile, e forse si vergognava di questo con l'entourage di persone che ora si trovava a frequentare. -il distacco forzato patito durante il periodo della malattia di mio padre, e durante il quale tesseva nuove e più significative amicizie, tra medici e nell'arma dei carabinieril. Tutto ciò portò ad una lenta ma inesorabile frattura, l'epilogo della quale si ebbe una sera, quando rincasando dal lavoro, trovai la serratura di casa sostituita e non potei entrare. Denunciai il fatto alla stazione dei carabinieri, che null'altro fecero se non metterla in un cassetto. Uno o due giorni dopo il padre di lei mi si avvicinò prendendomi per la maglia minacciandomi di ammazzarmi se avessi sporto denuncia per l'avermi buttato fuori di casa. io non dissi nulla . me ne andai senza nemmeno dare troppo peso alle sue parole, senza contare che la denuncia peraltro era già stata presentata, e comunque non mi sarei astenuto dal farlo solo per le sue minacce. Tali invece si concretizzarono, come già detto, e solo dopo tale vicenda, seppi che il "soggetto" era in realtà non nuovo a episodi del genere. La cosa che rende il mio tentato omicidio ancora più efferato sta nel fatto che si svolse sotto gli occhi e le urla di mia figlia, che di ciò ebbe certamente a patire un grande trauma, che non può non averla segnata per tutta la vita. Era presente anche mia moglie, che nulla fece per fermare la mano omicida del padre, evidentemente di concerto con questo. Così come pure era presente la madre di lei, entrambe immobili ed in silenzio quasi religioso. Solo perchè sopravvissi, in realtà, fu possibile processare e condannare l'attentatore. La mia testimonianza servì a contrastare solo calunnie che avrebbero detto in tribunale contro di me, che nulla avrei potuto contrastare se defunto. Alle calunnie infatti tali elementi sono abituati, prova ne sono tante e tali pronunciate contro la mia persona e non solo, e poi rivelatesi come tali. Alcune di queste calunnie tuttavia prima di spegnersi come tali furono tenute in vita dal potere e dell'influenza che la "dottoressa" esercitava come già detto anche su alcuni elementi dell'arma dei carabinieri, tra cui un maresciallo "vecchia maniera", poco acculturato e probabilmente già avvezzo a servire e riverire coloro che riteneva "degni" in base a criteri per così dire...poco ortodossi... Insomma un cocktail micidiale di elementi che costò il destino di una famiglia e di una figlia. Nonostante ciò che ea successo, nonostante la condanna del padre alla pena detentiva e ad un risaricimento (mai ottenuto in quanto eluso tramite donazioni varie a terze persone), nonostante nulla si potesse ascrivere alla ia persona, di fatto non potei più vedere ugualmente mia figlia. per diverse ragioni: -la madre si opponeva, e se per una madre "normale" ciò poteva essere irrilevante, non lo era per lei, anche in virtù dei motivi già detti. -il giudice che seguiva la causa di separazione non decideva...temporeggiava e continuava a proporre perizie psicologiche ( a iosa) per la valutazione del caso! I periti continuavano (era anche loro interesse) a rimandare ad altre perizie. In fondo "la dottoressa" aveva già dimostrato di avere argomenti "convincenti". Un perito addirittura relazionò una perizia talmente voluminosa da sembrare un trattato universitario, unica pecca era che....non concludeva! tanto che il giudice fu costretto a chiedergli espressamente in aula che cosa avesse deciso: ebbene questi comiciò a balbettare (ovviamente non balbettava di suo prima e normalmente) dicendo alcune frasi sconnesse e che nulla dicevano sostanzialmente. Ad un nuovo sollecito del giudice lo stesso rimandava ad altra ennesima perizia, possibilmente da affidare ad altri consulenti.Senza contare che le perizie volevano dire soldi, tanti soldi, tanto per il perito di parte, tanto per il ctu (il consulente tecnico del giudice, da questi nominato). Per inciso, anche il giudice, giovane, poco esperto e non certo preparato a dirimere casi come questo, specie in considerazione della sua efferatezza ed influenza, non era per nulla propenso a prendere una decisione autonomamente (anche se ormai vi erano ormai tutti gli estremi per farlo, una volte scioltesi come neve al sole ogni calunnia sulla mia persona, come persino quella di voler uccidere mia figlia), ma preferiva fosse qualcun altro a farlo per lui: un consulente psicologo appunto. Circa poi questa calunnia, la peggiore, va notato come, per quanto assurda essa sia, e senza comunque alcuna motivazione, volendola ugualmente considerare, avrei avuto occasione di mettere in atto tale insano quanto immotivato proposito in diverse occasioni, quando mia figlia era a casa con me in quelle sia pur rarissime volte che riucii a prenderla. In più l'allungamento dei tempi della causa si traduceva anche in ulteriori spese di "assistenza" legale. La parola assistenza è volutamente virgolettata poichè alquanto carente, anzi, a volte latitante. le motivazioni credo vadano ricondotte principalmente a 3 fattori: -l'intimidazione dovuta all'atto efferato compiuto -la capacità di incidere sulle cose e sulle persone già dimostrata dalla ex moglie, unito al prestigio professionale ormai raggiunto. -il palese dislivello professionale con gli studi legali della controparte, le cui parcelle non erano accessibili a chiunque. Inoltre le mie condizioni fisiche e psicologiche erano ormai esaurite al pari di quelle economiche, e a causa sia della estenuante quanto a dir poco anomala causa di separazione, sia per tutto quello che avevo dovuto subire: calunnie e tentato omicidio, estromissione con la forza dalla casa coniugale, espropriazione forzata e illecita di tutti i miei effetti personali, mancato risarcimento del danno patito in seguito al tentato omicidio, perdita di contatto con mia figlia., ecc Nonostante la mia tenacia, insomma, non ce la facevo più: fisicamente. psicologicamente, economicamente. Nel frattempo, poi, il mio attentatore, da perfetto gentiluomo, si vedeva (stranamente?) ridurre la pena che inizialmente era ad anni otto, e in pratica uscì tosto di prigione (fu fatto trasferire anche in "carcere" non tradizionale, ma una sorta di comunità residenziale) dopo circa solo due anni....e contestualmente iniziarono nuove minacce, questa volta non tanto velatamente rivolte anche alla vita di mia figlia. Le autorità, da me informate, nulla fecero, o poterono fare. Insomma, per tutta questa serie di ragioni, decisi ad un certo punto di interrompere la causa di separazione, rinunciando a continuare a lottare e pertanto rinunciando a vedere mia figlia, divenuto ora più che mai anche suo interesse vitale. senza poi considerare che la mia stessa figlia non avrebbe comunque saputo come avvalersi di un padre morto...gli anni intanto passavano, e non senza paura. La speranza che restava era solo più quella che mia figlia, divenuta grande, in grado di comprendere e di farsi delle domande, cercasse a queste una risposta. Ma probabilmente le uniche fornite dalla madre (chissà quali) devono esserle bastate. Oggi conduce con questa e con il nuovo compagno di lei una vita agiata, senza problemi. Cercare il suo vero padre potrebbe arrecarle un qualche "disturbo morale"? Non so se questo costituisca un problema per mia figlia, ma certamente deve esserlo per la mia ex moglie: la verità che prorompe, il passato che ritorna, devono essere visti come una minaccia, non ultima al suo status. Un fatto è che nessuno mi ha mai cercato in tutti questi anni. Oggi mia figlia è maggiorenne, "padrona" della sua vita, ma nulla è cambiato. Il sospetto che resti sempre una stessa sola padrona in tutta la vicenda, passata e presente, diviene sempre più una certezza.Un problema poi, non meno trascurabile, questa volta di carattere soggettivo, è costituito da almeno due fattori che contrastano verso un approccio con mia figlia, sia pure intuitivamente comprensibili sotto l'aspetto umano, e sono: -la totale mancanza di conoscenza (anche somatica) di questa, dato che il periodo della perdita di contatto decorre dalla sua età di circa 4 anni. -il timore psicologico, il blocco, il non riuscire neppure a parlare se le parti dovessero improvvisamente trovarsi a poterlo fare, nonostante l'ovvio mio desiderio di riuscire. E poi da che parte cominciare? esordire con "ciao, sono tuo papà", non mi sembrerebbe una buona idea.... A quale punto può essere ridotto un uomo dall' ingiustizia! Si perchè in tantissimi altri casi gli scaffali dell'autorità giudiziaria sono colmi di denunce reciprocamente scambiatesi da coniugi che si stanno separando e che ora nutrono un astio profondo (l'uno per l'altro, o solo uno per l'altro), ma di rado arrivano ad impedire che si interrompa per sempre un rapporto con il genitore non afidatario, a meno che si ravvisino gravissime ed accertate cause di concreto pericolo. NULLA di tutto ciò può essere ascritto alla mia persona, anzi, si è accertata la volontà di calunniare. Eppure.... Tutto quanto qui esposto è perfettamente vero, ma basterebbe consultare le carte, gli atti della causa, i testi delle denunce, le sentenze, ecc, per trovare subito dei riscontri sia oggettivi che dedotti. Bisogna dunque ritenere che è mancato l'interesse a condurre tale operazione di ricerca della verità? E se è così non è persino ancora più aberrante che manchi il più mmisero desiderio di un figlio di conoscere il proprio reale passato, di scoprire la verità dei fatti su un proprio genitore? Finchè restano aperte altre spiegazioni permane la speranza che non sia così, anche se le spiegazioni che rimangono non difettano di aberrazione per quanto di altra natura.farei quanto mi è possibile perchè si venga in contatto con la verità. Diversamente non perderei questo tempo e non consumerei le mie risorse, se non fossi positivamente motivato. La domanda che mi pongo sempre più spesso è: -l'evoluzione della coscienza (e della sensibilità individuale) è avulsa dal condizionamento ambientale?