a mia figlia

29 giugno 2007 - l'anno del contatto


Sarebbe stato un mattino qualunque. ma quel mattino, non senza dover vincere comprensibili timori e angosce, tuo papā ti ha parlato, per pochi secondi, prima che tu sostenessi il tuo esame di maturitā. Eri seduta su uno scalino fuori dalla scuola, in compagnia della tua amica. Non ti sei alzata. Nč l'incontro con tuo papā ti ha emotivamente coinvolta, come forse ci si sarebbe aspettati. O almeno come ero emotivamente coinvolto io. Ti avevo fatto appena recapitare un mio piccolo pensierino. Lo avevi quasi distrattamente depositato sul marciapiede, come un oggetto qualsiasi. Ci siamo detti pochissimo. Io ho percepito la tua freddezza, il tuo distacco. Il tuo desiderio che io non fossi li, con te. Ti stava particolarmente a cuore farmi sapere del tuo convincimento che la tua famiglia nulla avesse a che fare col nostro distacco. Non mi sembrava nč il momento nč l'occasione per intavolare discussioni, ti dissi semplicemnte che non era colpa tua. Ti ho fatto i miei auguri per l'asame. E per la vita. Ci siamo salutati con una gelida stretta di mano. Come due estranei. Avrei avuto milioni di cose da dirti. e da chiederti. Ma non era il tempo. Non c'era il tempo. E non c'era il luogo. Ma forse non c'eri sopratutto tu. Che non volevi esserci. Siamo due estranei. Ho percepito che non avresti forse mai voluto incontrare tuo papā. Che ora sembri odiare. Che ti hanno fatto odiare. Senza che lui, tuo papā, potesse mai parlarti, vederti, potere avere nessun tipo di rapporto con te.