Abbandonare Tara

l'immensa città


 
Dominik Jasinski Colori, tanti colori.Una città sterminata, chiusa tutto intorno da una bassa catena di montagne. Alcuni sono stati vulcani una volta. Ed una parte della città, un enorme campus universitario, è costruito su una grande colata lavica. Un campus che sembra un villaggio al mare, per via dei grandi viali alberati: e sono pini, o almeno qualcosa che somiglia loro. Un campus con uno stadio di calcio enorme, non solo universitario. Decorato all'esterno di mosaici che sembrano murales. E così la biblioteca, ed altri edifici.Tutto gigantesco.Sulla grande distesa di città galleggiano cupole e campanili. Le chiese segnano i luoghi, i barrios, se solo si potessero davvero distinguere e riconoscere.Di giorno la luce è tanta, il caldo piacevole, la gente si riversa sulle strade, colorata, festosa anche nei giorni lavorativi: sembra una sagra al mare.Ma il mare è lontano, molto lontano.La mancanza di respiro che ti prende, spesso e all'improvviso, ha un senso: l'altitudine. L'immensa città ti fa dimenticare che siamo ad una altezza paragonabile a Cortina.Ma l'aria non è altrettanto fine e buona.Gli hotel ti lasciano discretamente in bagno un paio di bottiglie d'acqua minerale, per invitarti a usarle per lavarti i denti. Anche gli hotel di lusso. Non si scappa all'acqua malata e alle sue conseguenze.Le chiese ricordano un barocco spagnolo, grandi altari dorati, santi vestiti, Madonne con gli orecchini ed i capelli veri.Azulejos nei porticati, nei pozzi, nei patii, anche lungo l'esterno degli edifici, a correre e ad accompagnare.Si parla uno spagnolo strano, poco comprensibile, gutturale.Horror vacui e decorazione macabre che vengono dalle popolazioni precolombiane e si sposano con il gusto cupo dei conquistadores.Ma i tratti spagnoli sono irriconoscibili: prevale l'indio, piccolo,scuro, dai tratti somatici inconfondibili, i capelli dall'attaccatura bassissima, il naso camuso. Graecia capta ferum victorem cepit.