Abbandonare Tara

Memoria e dimenticanza


Dove sono stata io la mattina del 4 novembre 2006, mentre a Firenze si celebrava il raduno degli angeli del fango?Avrei dovuto essere lì. Da qualche parte, tra le autorità, in quint'ultima fila, una poltroncina col mio nome sarà rimasta vuota. Avrei dovuto essere lì, certo. Molte celebrazioni doverose: tributo agli angeli del fango, messa in suffragio delle vittime dell'alluvione, scopertura in Battistero della prima formella delle Porte del Paradiso restaurate, firma del protocollo per messa in sicurezza del bacino dell'Arno (dopo quarant'anni non c'è male, vero?).Ma c'era anche tanta ostentazione, come sempre in queste occasione che fanno presto a tramutarsi in vetrine dell'apparire. Due ministri e un sindaco che hanno fatto del LOOK il loro unico bagaglio politico e culturale. Due ministri e un sindaco, ognuno col suo parrucchiere personale, la faccia da "piacione" (come uno dei tre è ormai nazionalemente noto), chiacchiere vuote, sorrisetti,
"Tutti chicchere e piattini". Come il vecchio detto, che indicava l'esagerato agghindarsi, l'ostentazione di immagine che nasconde la pochezza umana e culturale.E poi c'era tutto il mondo delle cariche istituzionali, quello che mi ricorda sempre, ineluttabilmente, "Pane Amore e Fantasia" e gli anni Cinquanta della provincia italiana: arcivescovo, prefetto, questore, alte uniformi, blu d'ordinanza, fili di perle, sorrisi che si indossano alle undici e si tolgono la sera, con un sospiro di sollievo, come le signore eleganti quando finalmente scalciano via dai piedi le torture che hanno nome tacchi a spillo. Ma io non ero lì.Polemicamente, ma anche con amore, ho scelto di essere altrove.A pulire, dal fango sì, dal fango di una pioggia recente, una lapide tombale. In un cimitero di periferia, tra cappelle gentilizie neogotiche, odore dolciastro di fiori che già cominciano a imputridire, il silenzio delle folle appena passate dei giorni passati, destinati alle ricordanze dei Morti.E' la tomba di colui che all'epoca chiamarono "Il custode di Firenze", di colui che fino all'ultimo secondo rischiò la sua vita per salvare le opere d'arte dalla furia delle acque, di colui che pianse, sfinito e atterrito, davanti al Cristo di Cimabue distrutto.
E' stato il mio maestro. Se ne andò in silenzio, in un freddo febbraio di 15 anni fa. La sua bella mente, acuta, libera, irriverente, curiosa, se ne era già andata da qualche anno, affogando nel buio che si allargava sempre di più, inghiottendo sapienza, studi, saggezza, ricordi, volti.Ho però la certezza che a lungo, molto a lungo, il mio volto ancora gli dicesse qualcosa: l'ultima volta che lo vidi mi prese il viso tra le mani, un gesto tra la tenerezza e la ricerca di qualcosa. E pianse.La sua tomba è essenziale, spoglia, spartana com'era lui. Un nome, due date.Nessun encomio. Nessuna corona, nessun alloro. Nessuna autorità per lui, nemmeno in questo anniversario.Mi ricordo quando ritrovarono sotto la pavimentazione del Duomo di Firenze la tomba del Brunelleschi.Una lastra di semplice pietra serena. Un nome, una lode latina "corpus magni ingenii viri".
Procacci si commosse di fronte alla semplicità, in morte, del genio.Anche lui era così. Anche lui era un uomo del Rinascimento capitato, chissà come, in quel disastrosissimo Ventesimo secolo. Gli sarebbe piaciuta una tomba così. Non me ne dolgo, infatti.Ma gli sarebbe piaciuto meno essere solo. Ieri solo non era.