Abbandonare Tara

Essere un quadro - 1


Probabilmente la gentildonna fiorentina di nome Lisa, sposata ad un Francesco Gherardini del Giocondo e il cui sorriso appena accennato sembra essere dovuto alla più riposta e alla più intima delle gioie, quella della recente maternità, non avrà mai nemmeno immaginato che il suo ritratto, un giorno, sarebbe diventato una icona avulsa dal tempo e mille miglia lontana dalla sua concretezza umana (ma non indenne, ahimé, da sciocchezze stellari e bufale senza fine! perché nessun dio ci libererà mai dall'idiozia né dai Dan Brown di turno).
Nemmeno Victorine Meurent, modella di Manet per l'Olympia, avrà pensato di diventare quello che Velery definì "scandalo, idolo; potenza e presenza pubblica di un sordido arcano della società".
Nè le modelle dei pittori pre-raffaelliti, povere cose fra le mani di uomini depressi, megalomani, paranoidi, presi da giochi arcani e da sperimentazioni di droghe, avranno mai immaginato che le loro immagini, ampliate da quegli spiriti ebbri, avrebbero costituto un nuovo archetipo femminino, di cui prima eco ed erede è il cinema hollywwodiano.
 Eppure queste come molte altre opere corrispondono perfettamente a quello che la parola RITRATTO significa, etimologicamente: re-trahere, quindi “tirare fuori”. E cioè non solo riuscire a rendere di un individuo, il ritrattato, l'immagine, un'immagine il più possibile vicina all'originale; ma soprattutto da questa immagine ricavare un'essenza, qualcosa che quell'individuo trascenda e che restituisca il simulacro di un'idea di umanità, vera e significativa al di là del tempo e della persona che questa idea ha reso palpabile.