Abbandonare Tara

Dimenticare Živago


Niente è mai come te lo aspetti.Non certo Mosca, nel 2007, in estate. Che della Mosca della memoria aveva solo la luce irreale delle notti bianche
Naturalmente non mi aspettavo la Mosca dei grandi romanzi dell'Ottocento. Da consegnare al cimitero delle grandi memorie, qualcosa che non ci sarà mai più, a comporre il grande panorama del luogo ideale, insieme alla Berlino di "unter der Linden", alla Praga di Kafka, alla Vienna di Roth.Ma nemmeno la Mosca di Majakovski, di Bulgakov, di Solgenitsin, del regime e poi della perestroika, insomma la Mosca che anche la mia generazione si aspetta di trovare.C'è invece questa città strana, che sembra una enorme e squallida periferia ovunque, palazzoni che nemmeno Novoli (o Sesto San Giovanni, o Tor Bella Monaca) venuti su nei nostri peggiori anni '70. Una desolazione povera e grigia dalla quale ogni tanto emerge un bagliore di ori a forma di cipolla: le cupole a grappolo di una minuscola (o grandissima) chiesa ortodossa rinnovata. 
E' una città sterminata che fatica a trovare una sua identità che sia altro dall'enorme complesso del Cremlino e della Piazza Rossa, uno skyline quasi falso, oggi, con pietre, mattoni e tegole verniciati di bianco, verde e rosso, che squillano da lontano, rivaleggiando con la policromia insolita, ai nostri occhi, di San Basilio.
Il mausoleo di Lenin si dimentica e si fa dimenticare su una Piazza Rossa diventata vetrina delle maggiori firme internazionali: interessa solo alle immancabili comitive di giapponesi, sempre alla ricerca di un'attrazione che si misuri in termini della lunghezza della coda che si fa per raggiungerla.Il resto è vetrine di Christian Dior, cartelloni pubblicitari dei Rolex, inneggianti alla Master Card, gelati della Nestlè, hamburger di Mac Donald.
Le matrioske in legno di balsa e vernice di coppale stanno ai nostri David di Michelangelo in gesso che cambiano colore col tempo o ai nostri Colossei coi brillantini. Riempiono le bancarelle, ce ne sono di tradizionali, ma spopolano quelle di Putin (dentro cui si trovano, a scemare, Eltsin, Gorbaciov, Andropov, Breznev e via via tutti gli altri monarchi russi o sovietici, indietro fino a Pietro il Grande).
Mosca è anche il contrasto stridente tra i ragazzi sguaiati, malvestiti, volgari,  e donne dall'abbigliamento tradizionale; è il concertino d'archi nella metropolitana, le file di chilometri dei fedeli giunti da ogni dove per baciare una delle reliquie più venerate del mondo ortodosso, il cranio di San Luca, appena arrivato dai monasteri del Monte Athos ed esposto nella cattedrale del Santo Sepolcro, quella che Stalin aveva tramutato in una piscina olimpionica.
Mosca è il tempo che passa e la storia che fa i conti con se stessa: i manifesti della musica di Elton John in cirillico, lo sguardo di ghiaccio di un tassista che sembra uscito dalla Duma, le guardie del corpo che stazionano nei corridoi dei grandi alberghi, le Rolls Royce e le Cadillac dei nuovi ricchi, una vecchia statua di Lenin abbandonata in periferia, il monumento a Pietro il Grande sulla Moskova, cantieri edili, squallore e silenzio. Mai vista una città così silenziosa.
(tutte foto di Ody)