Dante Gabriel Rossetti, Blanzifiore
(Snowdrops), 1873. Collection Lord Lloyd-WebberScrivo di un mazzo di fiori. Fiori qualsiasi. Fiori come idea.Potrebbero essere fiordalisi di polvere, lo spigo pungente, la camomilla inodore vergognosa di non essere almeno margherita. Potrebbero essere nasturzi, gialli come la primavera; o gerani tignosi affacciati queruli ai balconi come anziane pettegole.Non necessariamente rose, carnose e perturbanti, non per forza orchidee, volgari nella loro esibizione. Non quelli acquistati, non quelli recisi, non quelli veri.Fiori, comunque.Fiori di parole, fiori di sguardi, fiori di idee e parole.Ne parlo perché credevo che i rapporti fra uomo e donna fossero chiari, ormai, che ci potesse essere spazio per amicizia, per comprensione, per lavoro in comune. Anche per niente. Mi sbagliavo.Credevo che l'età (anche), l'ambiente, la figura pubblica, difendessero da certe esperienze. Che, giuro, sono antipatiche anche alla mia età. Si resta sempre così: ferite, disgustate.E se dobbiamo tornare allo squallore in cui si è femmine e basta, in cui si è sempre sotto attacco, sempre possibili prede, allora voglio i fiori. Almeno la gentilezza, almeno le anticamere e le attese, almeno un po' di galanteria di facciata.Almeno voglio i fiori. Poi dirò di no: comunque. Ma almeno un po' di gentilezza: perché solo il disgusto e l'avvilimento?.