Abbandonare Tara

"febbre che rattristi le stelle"


Lord Frederic Leighton, SolitudeNotte.Mi sono svegliata ed era notte, cos'altro del resto? Dormivo: non poteva essere nient'altro che notte.Ma non riconoscevo la notte intorno. Anzi, intorno c'era più che altro vuoto, nessuna impronta fisica, non la presenza dei mobili conosciuti, i vuoti e i pieni della stanza, il vago chiarore delle luci della strada che filtrano dalle persiane.Vuoto e buio. Poi frammenti di qualcosa: come schegge di un bicchiere che si rompe, quel pulviscolo di vetro che scoppia, il vetro infrangibile, mille piccoli frammenti a pioggia.Frammenti di luce che buca, frammenti di pensiero.E' il pensiero che mi frega: il pensiero che mi ha svegliata, ancor prima che il bicchiere toccasse terra, ancor prima della luce e delle ferite.Sì, ferite: il pensiero che ferisce.Cosa c'è in quel pensiero? Cosa si è rotto?Cos'è il caldo che sento? Sangue, pulsazione, pianto, ferita? C'era una voce, nel sonno, ne sono sicura: una voce o un grido? Il suono del bicchiere che si rompe o il grido istintivo, trattenuto, inutile, della voce che vorrebbe farsi gesto e trattenere e impedire quella caduta?Sono sveglia, sono seduta nel letto, un bagno di paura, sudore e paura che diventa freddo lento che asciuga il sudore e rimette insieme i minuscoli pezzetti di vetro uno per volta, migliaia in un attimo, una accelerazione del vortice al contrario.Il bicchiere si ricompone, il grido rientra in gola, la luce che filtra dalle persiane determina e nomina luogo e cose.Semplicemente, terribilmente, crudelmente, definitivamente.Sei morta. Nessun incubo, nessun sogno, nessun intero, nessun frammento. Verità, realtà, banalità del dolore.Nessuna resurrezione, per ora.O viso chiuso, buia angoscia,febbre che rattristi le stelle,c'è chi come te attende l'albascrutando il tuo viso in silenzio.Sei distesa sotto la nottecome un chiuso orizzonte morto.Povero cuore che sussulti,un giorno lontano eri l'alba.(Cesare Pavese)