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L’Italia sta troppo stretta Corre via anche la Ducati


Annuncio del marchio: «Ci occorre un partner straniero se vogliamo crescere ancora». La casa bolognese in mani tedesche o indianedi Andrea AccorsiLa Ducati corre. All’estero. La storica casa motociclistica bolognese cerca un compratore straniero «per crescere ancora». Nessuna intenzione di smantellare lo stabilimento di Borgo Panigale, né di ritirarsi dalle corse: Valentino Rossi e Nicky Hayden possono guardare con tranquillità al prossimo campionato di MotoGp. Il rischio, semmai, è un altro: vedere l’ennesimo marchio di punta del made in Italy lasciare il Paese. E finire nelle mani di un proprietario straniero. Circolano già, fra gli altri, i nomi di Volkswagen e Bmw (che però smentisce).La vendita di uno dei costruttori di moto più famosi del mondo è stata annunciata al Financial Times da Andrea Bonomi, presidente dell’equity group Investindustrial, che controlla la casa di Borgo Panigale da sei anni. «Ducati è attualmente un’azienda perfetta - spiega Bonomi, che è lui stesso un pilota di Ducati e appassionato di competizioni nautiche offshore - ma per un’ulteriore crescita ha bisogno di un partner industriale di rilevanza mondiale. Quest’anno lavoreremo per trovare quel partner». L’intenzione è quella di vendere la società o di quotarla in Borsa, per un valore che il quotidiano stima fino a un miliardo di euro, una cifra tre volte superiore all’investimento iniziale.Bonomi riferisce dell’interesse espresso da alcuni gruppi industriali in Europa, Asia e Stati Uniti. Nel 2011 Investindustrial ha dato mandato a Goldman Sachs, Deutsche Bank e Banca Imi di valutare le possibilità di una quotazione di Ducati sulla piazza di Hong Kong. Nell’operazione era presente anche Banca Imi come joint global coordinator. Ma secondo il Ft l’opzione più probabile è la vendita del marchio a un gruppo rivale o a un grande gruppo automobilistico. Obbiettivo: internazionalizzare ulteriormente il marchio.Sempre secondo fonti citate dal quotidiano, fra gli acquirenti potenziali vi sarebbero i gruppi tedeschi Bmw (che già costruisce moto) e Volkswagen e quello indiano Mahindra. Bmw ha smentito un possibile interesse per Ducati: «Attualmente - afferma a Bloomberg un portavoce della casa automobilistica tedesca - non siamo interessati all’acquisto di alcuna azienda». Ma già dal 2010 la “rossa” a due ruote ha avviato una partnership con un altro colosso tedesco, Mercedes-Amg, che ha portato ad attività congiunte di marketing e sponsorizzazione, ampliando la visibilità del marchio soprattutto nei concessionari oltreoceano, con ricadute positive sulle vendite (nello scorso anno pari a 40 mila bolidi) e sul fatturato, che sempre nel 2011 sarebbe cresciuto di quasi un quinto rispetto all’anno precedente.Ducati - che iniziò la sua attività industriale 86 anni fa come produttore di apparecchi radiofonici - copre una quota pari al 10,5 per cento nel mercato globale delle moto sportive, in crescita rispetto all’8,5% del 2010. Il design filante e la sua immagine grintosa hanno appassionato anche molti vip, come il principe William d’Inghilterra e la star di Hollywood Keanu Reeves. Da qualche mese Ducati è anche un profumo, a conferma dell’appeal di un marchio universalmente conosciuto fra gli appassionati delle due ruote come quelli di Guzzi, Aprilia e MV Agusta, solo per restare nel nostro Paese.La casa bolognese ha chiuso il 2011 con un fatturato vicino ai 480 milioni di euro (+20% rispetto all’anno precedente) e ha in carico debiti pari a circa l’1,7% degli utili prima di interessi, svalutazione e ammortamenti: un livello basso in confronto con la maggior parte delle aziende in portafoglio private equity. Insomma, il suo acquisto potrebbe essere un grosso affare. Ma non per l’Italia.* * * * *Parmalat, Gancia, Bulgari...Il made in Italy parla stranieroDalle griffe ai prodotti simbolo della dieta mediterranea,si allunga la lista degli “esodi” eccellentiLa lista è lunga. E continua a crescere. Sempre più marchi storici del made in Italy fanno le valigie o passano di mano. Fiori all’occhiello dell’industria nazionale che lasciano il Paese. Prodotti arcinoti che vanno ad arricchire proprietà straniere. All’ultima Fieragricola di Verona, la Coldiretti ci ha fatto persino una mostra. Nel made in Italy “che non c’è più”, solo nel settore agroalimentare, ci sono Perugina, Buitoni,  Antica Gelateria del Corso, San Pellegrino, Locatelli, tutte “pappate” dalla svizzera Nestlè. Locatelli è stata poi acquisita dalla francese Lactalis, al pari di Galbani, Parmalat e Invernizzi  (già venduta a Kraft nel lontano 1985). Peroni è stata acquisita dall’azienda sudafricana SabMiller, Fattorie Scaldasole da Heinz e quindi dalla francese Andros, mentre il gruppo spagnolo Sos ha fatto... scorta d’olio, incamerando una dopo l’altra tra il 2005 e il 2008 Sasso, Carapelli e Bertolli (quest’ultima prima venduta a Unilever).Le ultime della lista in ordine di tempo sono la storica casa per la produzione di spumante Gancia, acquisita dall’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vodka Russki Standard, e i Pelati Ar-Antonino Russo, appena finiti nel paniere della società Princes controllata dalla giapponese Mitsubishi. Come si vede, si tratta di molti prodotti simbolo del Belpaese e della dieta mediterranea, con un fatturato nell’ultimo anno di oltre 5 miliardi di euro.Ma a emigrare non è solo l’alimentare. È della scorsa estate l’acquisto di una griffe di lusso nell’ambito di gioielli, orologi e profumi quale Bulgari da parte dei francesi di Lvmh. E ancora più recente il caso della casa di moda Brioni, che ha seguito il destino di Gucci venendo acquisita dal gruppo Ppr di François-Henri Pinault. In compenso, Nestlè ha “restituito” all’Italia i panettoni a marchio Motta e Alemagna, oggi prodotti dalla Bauli. A volte (ma solo a volte) ritornano.A. A.dalla Padania del 14.2.12