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«Solo il Nord può battere la crisi»


Gibelli: «Lombardia più colpita ma prima nel sostenere le imprese. Mettiamo in campo strumenti per aiutare l’economia reale. Altri aspettano i soliti interventi a pioggia, ma non li avranno»di Andrea AccorsiAssessore Gibelli, in Lombardia risultano aperti presso il ministero dello Sviluppo economico 19 tavoli di trattativa (quasi il 15 per cento del totale) per risolvere crisi aziendali. Solo un terzo di quei tavoli, sei, stanno trovando una soluzione. In ballo ci sono 33.380 posti di lavoro, pari al 20% del totale. La crisi, dunque, colpisce qui più che altrove?«È inevitabile, perché il sistema produttivo nazionale è soprattutto al Nord e in Lombardia - risponde Andrea Gibelli (nella foto), vice presidente e assessore all’Industria della Giunta regionale lombarda -. La situazione economica soffre dove c’è l’economia reale. E ne siamo consapevoli».Quali soluzioni ricerca la Regione nei tavoli aperti presso il ministero con aziende, sindacati ed Enti locali?«Nei confronti del governo abbiamo posto una precisa condizione: di mettere in campo strumenti per sostenere l’economia reale, e non quella che si vorrebbe avere. Quindi niente interventi a pioggia, ma selettivi, privilegiando alcune regioni rispetto ad altre: quello che conta è l’effetto leva sull’economia. Il 75% delle imprese che fanno export e sviluppo sono al Nord, e di queste il 29% in Lombardia, regione che da sola rappresenta un terzo dell’export nazionale».Quindi per uscire dalla crisi, ancora una volta occorre investire su chi traina il carro, non su chi va a rimorchio?«Assolutamente. Bisogna favorire chi fa esportazione e fa sviluppo, laddove non si ridistribuisce ricchezza interna ma si porta ricchezza all’interno del Paese. O si punta su quello, o non c’è nessuna possibilità di farcela».Qualcuno potrebbe osservare che è una pregiudiziale politica...«È una posizione di carattere politico, ma basata sulla realtà. Proprio oggi (ieri, nda) il Sole24Ore mette in rilievo come siano ancora le Regioni del Nord, in particolare la Lombardia, ad aver mutato atteggiamento nel credito alle imprese rispetto al modello tipico del Sud, diventando soggetti che offrono garanzie e permettono di fare leva su fondi che consentono di sostenere le imprese in crisi. La Lombardia, da sola, ha già stanziato risorse che superano i 523 milioni di euro. Nessun altro ha fatto di meglio. La Toscana conta 400 milioni, ma in realtà si tratta di un sistema di fidi e non è ancora attivo. Poi c’è il Veneto, che ha messo in campo un piano anti crisi da 325 milioni».Esiste una filosofia comune alle Regioni del Nord?«Certo: prestare garanzie di natura pubblica per consentire alle banche di finanziare le imprese. È un modo per stimolare il sistema bancario e per corresponsabilizzare la parte pubblica nei confronti del credito, che è l’elemento più importante per il sistema produttivo».Una risposta concreta alla Cgil, secondo cui le tante crisi aziendali oggetto di trattative «non possono concludersi solo con gli ammortizzatori sociali»...«Noi cerchiamo di dotare le imprese di strumenti di finanziamento attraverso garanzie pubbliche. Poi cerchiamo risorse nei canali tradizionali, ad esempio attraverso accordi con la Banca europea per gli investimenti. Ancora, accompagniamo le imprese a superare la crisi con strumenti quali consulenze dedicate, per dare informazioni utili che spesso non sono a disposizione degli imprenditori: la nostra Regione fornisce un pool di tecnici che aiutano le imprese in difficoltà. Altro esempio, le reti: il trasferimento di tecnologia aumenta la competitività delle imprese, come abbiamo fatto con il Programma Ergon e con l’accordo con il Miur, che ha avuto uno straordinario successo di partecipazione».E le altre Regioni come si muovono?«Nei tavoli di trattativa con le aziende, le Regioni del Nord a guida centrodestra e con grande presenza Lega si stanno strutturando per fare sempre più da sole e insieme. Dal Piemonte al Friuli, trasferiscono esperienze che possano raggiungere masse critiche per amplificare l’effetto leva sull’economia. Il Sud continua a chiedere finanziamenti pubblici di tipo tradizionale, ma soldi non ce ne sono più. Dovrebbe cercarli in Europa, come abbiamo fatto noi, ma la Bei ce li ha dati perché abbiamo i conti a posto, in quattro Regioni su venti. Le altre, anche volendo, non potrebbero ottenere nulla perché non hanno condizioni strutturali di bilancio credibili. Infine, altre Regioni come Toscana ed Emilia ne fanno una questione ideologica, di prevalenza del sistema pubblico, con un sistema cooperativo e fiscalità di vantaggi che non creano ricchezza. Mentre la nostra filosofia è che il pubblico accompagni le imprese, non che si sostituisca ad esse».dalla Padania del 7.8.12