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«Le imprese possono resistere alle “sirene” d’Oltralpe ma solo con politiche adeguate»


 Bonassi, segretario generale dell’Associazione distretto calza e intimo: da Austria, Svizzera e Serbia inviti che sono musica per le orecchiedi Andrea Accorsi Le sirene d’Oltralpe tentano i nostri imprenditori. Ma quasi tutti rimangono legati al loro territorio da vincoli sociali ed emotivi. Ne è convinto Davide Bonassi, segretario generale dell’Associazione distretto calza e intimo (Adici), che detta la sua “ricetta” per bloccare la possibile fuga delle aziende padane all’estero.Nel distretto italiano della calzetteria, con culla a Castel Goffredo, nel Mantovano, operano 400 imprese che sviluppano l’80% del fatturato nazionale del settore, il 70% della produzione europea e il 30% di quella globale per un’occupazione complessiva di oltre 7 mila addetti, che crescono ad oltre diecimila con l’indotto. Un patrimonio produttivo e occupazionale a rischio espatrio.Segretario Bonassi, ci sono aziende del suo distretto che si sono trasferite all’estero?«Nell’ultimo periodo no. Ma c’è stata una prima ondata una decina di anni fa, quando molte aziende grandi e medie hanno iniziato a cogliere le opportunità evidenti in Paesi dell’Est, come Slovacchia e Romania, che di lì a poco sarebbero entrati nella Ue. Oltre a offrire un costo favorevole dei fattori produttivi, lavoro in primis, l’ingresso nella Ue ha comportato una serie di facilitazioni per la movimentazione delle merci».Perché parla di «prima ondata»: dobbiamo aspettarcene altre?«Ultimamente la Serbia sta facendo ponti d’oro alle imprese, con una situazione economica che non può che attrarre grossi investimenti, com’è il caso della Fiat. I Balcani in genere attraggono per il costo del lavoro molto basso e per la traiettoria, anche se meno evidente, verso la Ue. La Serbia in particolare offre anche un costo dell’energia basso, perché ha sia il nucleare che idrocarburi, e vanta rapporti storici con la Russia che permettono ai suoi prodotti di essere venduti in un grande mercato integrato nel commercio internazionale».Quali altre «sirene» allettano le nostre imprese a fare le valigie?«Paesi che non t’aspetti, assai evoluti e non attrattivi per il costo del lavoro, come l’Austria e la Svizzera. Oltretutto, sanno incantare bene i nostri imprenditori».In che senso?«Ho visto la lettera che è arrivata ad alcuni dalla Carinzia. Una proposta raffinata perfino nella carta e nella grafica, frutto di un marketing sofisticato, studiata molto bene con largo uso di immagini di paesaggi assolutamente rilassanti a non di più di 3-400 chilometri da qui. Per non parlare dei contenuti: musica per le orecchie...».Suonata... con quali “note”?«Primo, l’Irap proprio non esiste. Mentre da noi da anni si parla non di toglierla, ma di ridurla, e non si fa nulla. Poi ci sono altri numeretti ipnotici. Il 25% di imposte sul reddito di impresa. Contributi fino al 20% sugli investimenti fissi e fino al 60% sulle spese di innovazione, ricerca e sviluppo. Tutto ciò unito all’amenità dei luoghi, facilitazioni per l’alloggio dei dirigenti, magari in chalet, e infrastrutture di prim’ordine quando in Italia alcune industrie scontano la mancanza della linea Adsl. Sono pacchetti molto allettanti, che esercitano una pressione notevole, frutto di uno studio mirato anche alle aziende di piccole dimensioni, classiche delle nostre zone. Tutto questo fa concludere a molti: siamo semplicemente sul versante sbagliato delle Alpi».Per non parlare della Svizzera...«...che gioca in maniera ancora più sottile. Anche lì c’è una tassazione bassa, ci sono zone di nuova industrializzazione perfettamente infrastrutturate, un sistema finanziario evoluto, standard di vita e di sicurezza elevatissimi, una fiscalità molto conveniente anche a livello personale. In più, è un Paese extra Ue, quindi se importo materiali da qualunque parte del mondo posso usare i loro magazzini con esenzione di imposta finché non esce da lì. Qualche imprenditore ha fatto simulazioni e ha avuto una bella sorpresa a livello di utile, un risultato moltiplicato in maniera imbarazzante».Ecco, parliamo degli utili spazzati via dal fisco italiano. Con quali conseguenze?«Che divento ostaggio del sistema bancario per ottenere prestiti. Che non li eroga, o lo fa a condizioni pesanti. Quindi nel medio periodo l’azienda non potrà che diminuire gli utili rispetto a chi continua a investire».Eppure, nonostante tutto questo, le imprese restano qua. Perché?«Quelle del nostro settore contano in media 40 dipendenti: conta un vincolo emotivo e d’onore dell’imprenditore nei confronti del personale, che conosce come i propri familiari. E poi c’è un fattore sociale, o un risvolto psicologico. L’imprenditore nel proprio territorio ha uno status che gli pesa perdere nel momento in cui lo lascia, anche senza una situazione negativa alle spalle».Cosa serve per trattenere le imprese in Padania?«Come Adici abbiamo una ricetta ormai consolidata: invochiamo che la concorrenza diventi corretta, o meglio che cessi quella scorretta. Il tessile è schiacciato da contraffazioni e manufatti al di fuori delle regole che invece in Italia e in Europa dobbiamo osservare su materiali, coloranti, sulla tutela della salute del consumatore, sull’etichettatura. Fare controlli alle dogane è impossibile: l’unica risposta è istituire un osservatorio nazionale del tessile, abbigliamento e calzature con un centro di analisi dei prodotti nei punti vendita, per fornire strumenti a sequestri efficaci.«Secondo, bisogna porre mano alla questione dei pagamenti: le piccole imprese non possono continuare a fare da banca perché ricevono pagamenti a 270 giorni!«Terzo, rendere stabile la politica di sostegno a innovazione ricerca e sviluppo, defiscalizzando in maniera stabile le spese a questo scopo. Non riusciamo a far passare il “campionario” come attività di ricerca e sviluppo, mentre è visto solo come mera miglioria estetica. È anche un esercizio creativo, ma comporta una mescolanza di competenze, test, diversi tentativi prima di ottenere un valido risultato.«Infine, il cuneo fiscale e il costo del lavoro sono un bubbone che invece di scoppiare si gonfia sempre più. Va aggredito almeno per le fasce medio piccole. Quello che è grave è che sono passati anni a dire queste cose. A livello politico non vengono recepite, o lavorate con tempistiche ottocentesche, inconciliabili con i tempi e le necessità di oggi».dalla "Padania" del 28.11.12