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Più disoccupati, meno pensioni Questa l’eredità della Fornero


Dal 1° gennaio le sciagurate riforme della ministra produrranno i primi effetti. Tutti validi motivi per tenere fuori Monti e i suoi “tecnici” da Palazzo Chigidi Andrea Accorsi Tre “tweet” in rapida successione uniti da un filo comune: mettere la parola fine ai danni procurati ai cittadini dalle politiche economiche del Governo Monti. Ieri Roberto Maroni ha condiviso sul web tre articoli, tratti da quotidiani e da un blog di leghisti, che messi insieme mostrano con chiarezza perché sarebbe bene che Monti e i suoi “tecnici” non mettessero più piede a Palazzo Chigi.Dal lavoro alle pensioni, dalla casa ai bilanci delle famiglie, nulla è stato risparmiato, nei loro tredici mesi di governo, dal Professore e dai suoi complici. Tra pochi giorni, dal 1° gennaio, entrerà in vigore la riforma Fornero sulle pensioni, che allungherà la permanenza di lavoratori e lavoratrici in ufficio o in fabbrica e ridurrà drasticamente la rivalutazione delle rendite per quanti ne hanno già diritto. Mentre milioni di italiani hanno già verificato sulla propria pelle gli effetti delle politiche sulla casa, a partire dalla reintroduzione della tassa sugli immobili che era stata abolita dal precedente governo, e che ha contribuito non poco a prosciugarci le tasche in questo disgraziato 2012.Danni e mazzate di fronte alle quali Maroni rilancia lo slogan “prima il Nord”, che traccia la direzione da seguire nei mesi a venire, a cominciare dalla campagna elettorale in corso per le Politiche e per il rinnovo dell’amministrazione regionale lombarda.In queste pagine diamo conto di alcune notizie che il Segretario federale ha ripreso e divulgato via web. A queste si aggiunge un articolo tratto da iltalebano .com, blog «diversamente padano» di «militanti, sostenitori o semplici simpatizzanti della Lega Lombarda», che fa il punto sulle «macerie» lasciate dietro di sé dalla riforma Fornero del mercato del lavoro.Da gennaio 2013, ricorda l’autore Luca Frabboni, ci saranno oltre centomila nuovi disoccupati. Si tratta di lavoratori con contratti di collaborazione a progetto o contratti a termine che nella maggior parte dei casi non saranno rinnovati dalle aziende. «Merito della ministra - attacca Frabboni - che con la sua riforma del lavoro ha voluto tra le altre cose disincentivare i contratti di lavoro flessibili, e pertanto precari, per incentivare dall’altra parte le assunzioni a tempo indeterminato». Ma l’effetto concreto della riforma sarà passare da un lavoro pur precario alla disoccupazione o a un lavoro ancora più sfruttato e in nero.«I tempi e i modi in cui la riforma Fornero colpisce il lavoro, ma soprattutto i lavoratori con contratto atipico, sono quanto di peggio si poteva fare - si legge su iltalebano.com -. Prima di tutto i tempi. Siamo ancora nel bel mezzo della più grave crisi economica e finanziaria dalla Grande Depressione. Piccole, medie e grandi imprese stentano e cercano di sopravvivere in un Paese con una pressione fiscale record al 55%, chi non ce la fa chiude. Come si può pensare che in una tale situazione un’azienda possa permettersi di assumere un lavoratore dipendente a tempo indeterminato, con un costo che raggiunge anche il doppio di quanto percepito dal dipendente? Passando alle modalità, allungare il tempo tra un contratto a tempo determinato e il successivo da 10 a 60 giorni per i contratti di durata inferiore a 6 mesi (da 20 a 90 giorni oltre 6 mesi) comporterà per l’azienda non l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore, ma semplicemente la scelta di un lavoratore differente, lasciando a casa il primo. Vengono poi considerate finte le partite Iva e pertanto si presume un lavoro dipendente a tutti gli effetti al persistere di almeno due delle seguenti tre condizioni: postazione presso l’azienda del committente, oltre l’80% del reddito da un unico committente, lavoro per oltre 8 mesi per lo stesso committente. Risultato: in strada o con riduzione della collaborazione tanti professionisti che lavorano prevalentemente per un solo cliente. Per non parlare dell’inasprimento dei contributi Inps della gestione separata, che passerà dal 27,72% attuale al 33,72% al ritmo di un punto percentuale di innalzamento all’anno: una mazzata pesante per i lavoratori autonomi con partita Iva». dalla Padania del 29.12.12