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Scoperta “banca” della ’ndrangheta IN BRIANZA


In un ufficio di Seveso il presunto boss Pensabene gestiva centinaia di milioni di euro frutto di estorsioni e prestiti a usura, grazie alla collusione con imprenditori e impiegati postalidi Andrea AccorsiAdesso le cosche al Nord si fanno pure la banca. Obiettivo: riciclare i proventi di estorsioni e prestiti a usura, potendo contare sulla collusione di imprenditori, oltre che di impiegati postali e bancari. L’ha scoperto la polizia nell’indagine che ha portato a 40 arresti, 17 dei quali per associazione di stampo mafioso, nei confronti di presunti appartenenti alla ’ndrangheta operanti in Lombardia e che avevano assunto la reggenza della “locale” di Desio.La banca clandestina delle ’ndrine era in corso Isonzo a Seveso (nella foto): «Un ufficio - lo ha descritto il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini - in cui le condizioni logistiche erano al di sotto della soglia del vivere civile. Eppure in questo luogo Giuseppe Pensabene (il presunto capo del clan radicato in Brianza, nda) e i suoi sodali sono riusciti a gestire centinaia di milioni di euro. In quell’ufficio - prosegue il magistrato - hanno avuto la possibilità di irretire imprenditori, alcuni dei quali hanno visto la convenienza di frodare lo Stato con fatture false, assegni con prestanome e altro. Al centro di tutto c’è la potenza economica dell’organizzazione, che avendo capitali freschi in un periodo di crisi, diventa attraente per molti».I capitali accumulati, oltre ad essere esportati in Svizzera e a San Marino, venivano reimpiegati attraverso l’acquisizione di attività dal settore edilizio agli appalti e lavori pubblici, dai trasporti alla nautica, dalle energie rinnovabili alla ristorazione. In una intercettazione uno degli arrestati, Maurizio Morabito, parla del boss alla stregua di «una Banca d’Italia»: «Ci vuole la Banca di Italia per davvero con te... e abbiamo bisogno della Banca di Italia? Tutti i giorni abbiamo... 50, 60, 30 (mila euro, nda)». In un’altra telefonata, Pensabene sostiene che Domenico Zema, ex assessore all’Urbanistica di Cesano Maderno in quota a Forza Italia e fra i presunti capi della “locale” di Desio, avrebbe portato voti all’ex assessore regionale Massimo Ponzoni (Pdl). «Ha portato una persona lui su al vertice - dice il presunto boss nell’aprile 2010 - che oggi è al vertice qua... È il braccio destro di Formigoni... Lo ha appoggiato forte Zema tutte le amicizie sue, i voti suoi glieli ha dati tutti a questo Ponzoni». Zema è stato arrestato nel 2000 in un’inchiesta del Ros di Reggio Calabria; Ponzoni nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Monza sul “crac Pellicano”.Ancora una volta, lamentano gli investigatori, gli imprenditori e i commercianti vittime di usura hanno preferito non denunciare nulla, neppure dopo essere stati minacciati o malmenati. «Il dato nuovo e preoccupante - scrive il gip di Milano Simone Luerti, nell’ordinanza di custodia cautelare - è il fatto che i fenomeni di compenetrazione tra mafia e impresa» traggono linfa da «un intenso e disinvolto connubio tra forme evolute di associazioni mafiose e imprenditori calabresi e lombardi, pronti a fare affari illegali insieme come se niente fosse».Fra gli imprenditori finiti nella morsa dell’organizzazione, anche il costruttore edile Antonio Rosati, già presidente del Varese Calcio e vice presidente esecutivo del Genoa, e l’ex dg della Spal Giambortolo Pozzi. L’ex presidente della Nocerina, Giuseppe De Marinis, avrebbe “pagato” un debito usurario subendo un violento pestaggio. dalla "Padania" del 5.3.14