Un po' di noi...

Ci tengono d’occhio pronti a CENSURARCI Ma non ci fermeranno


Sconcertante monitoraggio dell’“Osservatorio sulle discriminazioni” che attacca il nostro giornale perché scriviamo «clandestini»di Andrea AccorsiAttacco alla Padania per i suoi articoli sugli immigrati. I contenuti del nostro giornale sono stati monitorati per alcune settimane, alla ricerca di «discriminazioni e fattori di rischio delle stesse di tipo etnico-razziale o religioso». Risultato: un elenco di articoli nei quali «si ravvisano rilievi di tipo discriminatorio o comunque non corretti in base alla normativa comunitaria ed italiana».Ohibò, che cosa avremo mai scritto di così grave? Poco o nulla. Ad esempio, ci viene contestato di usare la parola “clandestino” per indicare gli immigrati irregolari. Oppure di «creare allarmi ingiustificati» circa la loro presenza sul territorio nazionale. E ancora, di usare «immagini stereotipate», di «falsare i fatti di cronaca», di ricorrere a titoli «pretestuosi ed enfatizzanti».Ma chi sono i maestrini della comunicazione politically correct, che ci accusano di lesa deontologia professionale? Tanto per cominciare, non hanno nulla a che vedere con il giornalismo e l’informazione. Si tratta di tale associazione “Articolo 3-Osservatorio sulle discriminazioni”, con sede a Mantova. Peccato che al numero di telefono dell’associazione non risponda mai nessuno. Perché ne avremmo avute, di cose da chiedere.L’associazione mantovana lavora per conto dell’“Antenna territoriale Unar”. No, non pensate a radio o televisioni: Unar sta per Ufficio nazionale antidiscriminazioni, che rientra fra gli organi della presidenza del Consiglio dei ministri. Ecco un buon suggerimento da dare a Renzi per la sua politica di tagli sulla pubblica amministrazione. Perché l’Ufficio, l’Antenna, l’Osservatorio e chissà cos’altro utilizzano soldi pubblici. E per fare cosa? Per perdere tempo a leggere i giornali - quelli “scomodi”, va da sé - e muovere gravi accuse sulla base di argomentazioni inesistenti, quando non addirittura risibili.Per rendersene conto, basta sfogliare il rapporto del monitoraggio, pardon, dello «screening effettuato attraverso software dedicati», come si premurano di precisare gli autori nella e-mail recapitata al nostro direttore. Autori che non hanno avuto neppure il coraggio di firmare la loro opera, preferendo celarsi dietro un insondabile “staff monitoraggio stampa”.La critica mossa più di frequente nei confronti dei quindici articoli finiti nella “lista nera” dell’Osservatorio è quella di usare il termine “clandestini” per gli immigrati irregolari. Ma rimuovere la parola non cambia la realtà. Certo, il governo ha cancellato il reato di clandestinità: ma questo non ci pare abbia trasformato di colpo le migliaia di clandestini che ogni giorno sbarcano nella Penisola in cittadini onesti e integrati, che rispettano la legge, lavorano e pagano le tasse. Anche il sindaco di Roma non vuole che si parli di nomadi, ma di “caminanti”. Senza accorgersi di cadere nel ridicolo.Altra accusa: quando parla di immigrati, clandestini o no che siano, la Padania userebbe titoli «enfatizzanti e fuorvianti». Cari signori, il titolo è per definizione una forzatura, dovendo concentrare in poche parole il contenuto di un intero articolo. Ed è ovvio che, per non risultare noioso o banale, il titolo sottolinei ciò che fa più notizia, «enfatizzandolo».Già da questi rilievi si può dedurre come il monitoraggio in questione sia una solenne boiata. Ma c’è dell’altro. A proposito di un altro nostro testo “bacchettato”, il fantomatico Osservatorio rileva come «l’articolo da conto (proprio così: da, senza l’accento) di un solo punto di vista e non viene offerta parola alla minoranza o a rappresentanti di essa». Cari signori: ma vi siete accorti che la Padania è per sua stessa natura un giornale di parte, meglio di partito, e quindi offrire «un solo punto di vista», ovvero quello del Movimento del quale è organo ufficiale, è proprio la sua mission, come direbbero gli strateghi del marketing?In definitiva, da questa attività di dossieraggio un po’ grottesca emerge che quello che scriviamo va benissimo, come il modo in cui lo titoliamo. Perché è vero, drammaticamente vero, ed è presentato non in modo soft ma sanguigno, polemico, da stecca nel coro, com’è nel Dna della Lega. Certo, tutto questo non piace a qualcuno. Che, non potendo farci chiudere tout court, cerca di metterci il bastone tra le ruote con iniziative come il monitoraggio che ci ha preso di mira. Senza trovare nulla, ma proprio nulla, di rilevante sotto il profilo deontologico, figuriamoci sotto quello penale. Ma non finisce qui.Già, perché il monitoraggio in questione è oggetto di una interrogazione del deputato Davide Caparini alla presidenza del Consiglio. «È evidente - si legge nell’interrogazione - il carattere intimidatorio dell’azione di un ente di emanazione governativa tipico dei regimi autoritari e con contorni da censura politica con l’intento di impedire a individui, associazioni, partiti e mezzi di informazione di divulgare informazioni ed esprimere opinioni contrarie a quelle del potere esecutivo. Tale censura si realizza attraverso il divieto di trattare taluni argomenti o attraverso il controllo preventivo dei contenuti divulgati dai mezzi di informazione. La censura fascista in Italia - ricorda ancora Caparini - consisté nel controllo della comunicazione e, in particolare, della libertà di espressione, di pensiero, di parola, di stampa e nella repressione della libertà di associazione, di assemblea, di religione avutasi soprattutto durante il Ventennio».A Renzi viene chiesto di far gentilmente sapere quanto costa questo servizio di monitoraggio, quante sono le persone che vi vengono impiegate, quanti sono i dipendenti dell’Unar e a quanto ammontano i relativi costi. E ancora, se non ritiene simili pratiche «lesive dei diritti di libertà di espressione e di stampa garantiti costituzionalmente» e infine «se non valuti che il comportamento dell’Unar sia andato ben oltre le funzioni ad esso assegnate dalla norma istitutiva».dalla Padania dell'11.4.14