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BORGHI AQUILINI: «La lettera Ue? Un penoso GIOCO DELLE PARTI»


Non pensate a una contrapposizione tra Italia ed Europa: quella in corso è una pantomima ridicola e già vista, che finirà con l’aumento dell’Iva giustificato con il solito “ce lo chiede l’Europa”di Andrea AccorsiProfessor Borghi Aquilini, che cosa ci dobbiamo aspettare dopo la lettera della Ue all’Italia sulla legge di stabilità («vìola gli impegni richiesti»)?«Stiamo assistendo a un penoso gioco delle parti: che a nessuno venga in testa che ci sia una contrapposizione tra Italia ed Europa. È una pantomima ridicola, peraltro già vista, che finirà con il solito “ce lo chiede l’Europa”. E con quello che era già stato messo nero su bianco, ossia l’aumento dell’Iva, come chiesto più volte dalla Ue. Renzi e tutti gli altri governi recenti hanno trovato questa simpatica scusa per qualsiasi idiozia, senza porsi il problema se fosse utile. È stato così con la manovra di Monti e quando Letta ha alzato per la prima volta l’Iva, zitto zitto, al 22%, mentre faceva finta di fare un rimpasto di governo. E adesso Renzi, mentre racconta degli 80 euro da regalare ai tifosi della Sambenedettese o a quelli che hanno il cognome palindromo, ha già in mente l’aumento dell’Iva fino al 25,5%. Ovviamente si tutelerà dalle prevedibili rimostranze dicendo che ce lo chiede l’Europa. Bisogna far vedere bene l’unità d’intenti di questi tre soggetti».È per questo che Barroso si è indispettito per la pubblicazione della lettera sul sito del Mef («è stata una decisione unilaterale, la Commissione non era favorevole»)?«Certo, meno se ne parla meglio è. In un mondo antidemocratico come quello dell’Europa, in teoria le cose dovrebbero essere solo presentate quando ormai è troppo tardi. La lettera della Bce alla Spagna, ad esempio, nessuno l’ha mai vista».Ha ragione Forza Italia nel sostenere che alla luce della lettera dell’Ue all’Italia, la legge di stabilità va riscritta?«No, credo che in ogni caso andrà avanti così com’è. Dobbiamo tenere sempre a mente che con le attuali regole, in un ambiente economico chiuso come quello che ci è stato disegnato addosso, la grande mistificazione nascosta dietro questa finanziaria è che, a fronte di regalìe permanenti, come gli 80 euro per qualcuno, ci sono voci una tantum, a cominciare dal deficit. Supponiamo, per assurdo, che i tagli alle Regioni possano essere fatti, cosa di cui dubito fortemente senza sacrificare i servizi sanitari. Ebbene, la parte di copertura è piccola. La voce più grande è la copertura del deficit. Ed è una voce di quest’anno, non strutturale, mentre i tagli alle Regioni sarebbero perenni. Ci stanno dicendo che l’Italia si è impegnata a ridurre il deficit, quindi è un surplus, non un deficit».Secondo Eurostat, nel secondo trimestre del 2014 il debito pubblico italiano si è attestato al 133,8% del Pil, il rapporto più alto fra i Paesi della Ue. Quindi i nostri conti vanno sempre peggio?«Bisogna dire che partivamo da un rapporto più alto di altri Paesi, che quindi lo hanno incrementato di più, anche alcuni di quelli descritti come un modello. In ogni caso, non poteva che finire così. Era nei numeri. In una situazione di stagnazione economica, se si aumentano le tasse o si tagliano le spese, il Pil scende, quindi aumenta il rapporto del debito».Si parla solo di flessibilità o rigore: il futuro della nostra economia sta davvero tutto in questo dubbio amletico sul modo di applicare le regole europee sul patto di stabilità?«Abbiamo detto tante volte che non è con la flessibilità o sfondando i parametri che risolviamo il problema. Se andiamo al 5% del rapporto debito/Pil, non diventiamo più competitivi domani. Lo sanno bene i francesi, i quali hanno detto serenamente che sforeranno, ma non è che ciò facendo la loro economia di base o la loro competitività migliora. Significa che i cittadini stanno un pochettino meglio, ma il problema è solo rimandato e si ripresenterà. Anche la Spagna farà crescere il deficit: bene, dopo che avrà finito di sforare, saranno pari al punto di prima».E allora che cosa bisogna fare?«Se la questione è recuperare la differenza di competitività, occorre un riaggiustamento interno che non è dato da una maggiore o minore spesa o deficit, ma che si può fare in tre modi: intervenire sul tasso di cambio, la cosa più logica e migliore, ma che non si può fare con l’euro; tagliare i salari, dove tutto sommato stanno puntando, svalutando il lavoro, e allora avanti con la recessione, il debito sale e così via; rivedere i trasferimenti interni: la Germania ci paghi come la Lombardia paga la Calabria. Bene, provino a chiederlo. A me questa soluzione non piace, ma sarebbe un modo per provare a tirare avanti. Una Lombardia sgravata dai trasferimenti al Sud e che tenesse le tasse sul suo territorio potrebbe detassare fortemente il lavoro. Ma se chiedessimo alla Germania di pagare il Meridione, ovviamente ci farebbero gesti che in confronto il dito medio di Cattelan in Piazza degli Affari diventerebbe piccolo. Tutto il resto sono solo palliativi».dalla "Padania" del 24.10.14