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Patto Stato-mafia, maxi-trasferta per interrogare NAPOLITANO


Sala del Quirinale trasformata in un’aula di giustizia per un giorno alla presenza di quaranta fra magistrati, avvocati e accompagnatori vari. Salvini: «Un enorme spreco di tempo e denaro». E il Codacons chiede il conto per la collettivitàdi Andrea AccorsiPer una mattina la sala del Bronzino, al Quirinale, si è trasformata in un’aula di giustizia. È durata circa tre ore e mezza, comprensive di una breve pausa, la deposizione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nell’ambito del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia intavolata dopo la stagione stragista messa in atto da Cosa nostra nel 1993.Per interrogare Napolitano sono saliti sul Colle «in quaranta fra magistrati, avvocati e compagnia» rileva Matteo Salvini, che commenta: «Solo a me pare una follia, un enorme spreco di tempo e denaro?». A condividere le perplessità del Segretario federale è il Codacons, che chiede di conoscere i costi sostenuti dalla collettività per la singolare trasferta. Che, comunque la si voglia vedere, segna una pagina nera per le nostre massime istituzioni nazionali, anche agli occhi del mondo.I magistrati giunti a Roma per ascoltare il Capo dello Stato, che all’epoca dei fatti era presidente della Camera, sono il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Fra gli avvocati delle sette parti civili e dei dieci imputati (non ammessi dalla Corte a partecipare direttamente o in videoconferenza alla testimonianza del Capo dello Stato) ha varcato la soglia del Quirinale anche Luca Cianferoni, legale del “boss dei boss” Totò Riina. Una quarantina le domande dei magistrati per il presidente della Repubblica.Napolitano «ci ha dato un importante contributo per la ricerca della verità. Siamo molto, molto soddisfatti - ha raccontato Teresi uscendo dal Quirinale -. Abbiamo incassato un risultato straordinario dal punto di vista processuale perché Napolitano ha detto che subito dopo le stragi di Roma, Firenze e Milano del ’93 tutte le più alte istituzioni, dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio hanno capito che era la prosecuzione del piano stragista di Cosa nostra che tendeva a ottenere un aut aut: o si ottenevano benefici di natura penitenziaria per l’organizzazione, o ci sarebbero state finalità destabilizzanti. Questo per noi è il cuore del processo. E questo è arrivato dalla viva voce del Capo dello Stato».Il procuratore aggiunto di Palermo ha poi detto che «abbiamo potuto porre tutte le domande previste e il Capo dello Stato non si è mai opposto. Non si è mai sottratto ad alcuna domanda». E alla domanda se i magistrati siano pentiti di avere chiamato a deporre il Capo dello Stato, dopo le polemiche dei giorni scorsi, Teresi ha replicato: «Al contrario, siamo convinti che la testimonianza ci abbia dato ragione sulla necessità di sentirlo. Lo abbiamo sentito su fatti importantissimi a cui solo lui poteva rispondere».L’avvocato Ettore Barcellona, che rappresenta il centro Pio La Torre, ha sottolineato come nel corso dell’audizione «non si è mai usato il termine “trattativa” e nessuno ha fatto domande specifiche su di essa». Secondo quanto riferito dall’avvocato Giovanni Airò Farulla, legale del Comune di Palermo, il presidente «ha riferito di non aver mai saputo niente, all’epoca dei fatti, di un accordo» tra apparati dello Stato e Cosa nostra per fermare le stragi mafiose. Per il legale il Capo dello Stato «ha risposto ma non a tutte le domande».Rispondendo all’avvocato Massimo Krogh, che con Nicoletta Piergentili difende l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino (del quale non si sarebbe mai parlato ieri), Napolitano ha affermato che il «vivo timore» di essere usato come «utile scriba per indicibili accordi» tra l’89 e il ’93 espresso dall’ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio «era una mera ipotesi priva di basi oggettive». D’Ambrosio si era confidato in quei termini in una lettera scritta al Capo dello Stato il 18 luglio 2012, poco prima della sua morte. Proprio su questo i pm Di Matteo, Tartaglia e Del Bene hanno voluto sentire Napolitano: se e cosa venne a sapere delle preoccupazioni del suo consigliere giuridico, ma soprattutto di quegli «indicibili accordi» cui D’Ambrosio faceva riferimento.Per l’avvocato di Riina, Cianferoni, Napolitano durante l’udienza «è stato un po’ “difeso” dalla Corte. Il dibattimento - ha aggiunto - è stato gestito in maniera molto cauta. L’udienza a mio avviso è stata interessante al 51 per cento. La mia idea? Se resta viva un po’ di gente - ha rimarcato il legale del superboss - questa vicenda del ’93 alla fine darà molte sorprese...».dalla "Padania" del 29.10.14