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Libri, articoli e altro di Andrea e Daniela

 

I LIBRI DI ANDREA

- 35 borghi imperdibili a due passi da Milano (2019)

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- 35 borghi montani imperdibili della Lombardia (2019)

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- Il patrimonio immateriale dell'Unesco (2019)

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- L'arte della botanica nei secoli (2018)

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- 35 borghi imperdibili della Lombardia (2018)

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- I grandi delitti italiani risolti o irrisolti (2013, nuova edizione aggiornata)

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- Bande criminali (2009, esaurito)

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- La sanguinosa storia dei serial killer (2003, esaurito)

 

I NOSTRI LIBRI

- Itinerari imperdibili - Laghi della Lombardia (2018)

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- Caro amico ti ho ucciso (2016)

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- Milano criminale (2015, II edizione)

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- I 100 delitti di Milano (2014)

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- I personaggi più malvagi della storia di Milano (2013)

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- Milano giallo e nera (2013)

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- Gli attentati e le stragi che hanno sconvolto l'Italia (2013)

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- Le famiglie più malvagie della storia (2011, II edizione)

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- 101 personaggi che hanno fatto grande Milano (2010)

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- Il grande libro dei misteri di Milano risolti e irrisolti (2006, III edizione)

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- Milano criminale (2005,  esaurito)

 

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I LIBRI DI DANIELA

- Josephine Baker Tra palcoscenico e spionaggio (2017)

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- La vita che non c'è ancora (2015)

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- Le grandi donne di Milano (2007, II edizione)

  

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- L'eterno ritorno, un pensiero tra "visione ed enigma" (2005)

 

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Messaggi di Agosto 2014

NATO: già in Ucraina MILLE soldati RUSSI «Presto un’offensiva»

Post n°1724 pubblicato il 30 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Continua l’avanzata dei ribelli: presa un’altra città. Convocata riunione del Consiglio di sicurezza Onu

di A. A.

Sono oltre mille i militari russi impegnati in combattimenti al fianco dei separatisti in Ucraina. È la stima della Nato, secondo quanto ha rivelato un alto funzionario dell’Alleanza Atlantica. Il coinvolgimento della Russia nei combattimenti in Ucraina diventa «sempre più scoperto» ha detto ancora il funzionario, sottolineando che la stima sia da considerarsi «in difetto». Per la stessa fonte, un numero crescente di armi, sistemi di difesa anti-aerea e tank stanno attraversando il confine tra Russia e Ucraina. Senza contare la presenza di ventimila militari russi sul confine, un vero «esercito pronto all’offensiva».
Ma secondo un leader dei ribelli, Alexander Zakharchenko, in realtà sono almeno tre-quattromila i russi che combattono al fianco dei separatisti nell’est dell’Ucraina. Il leader ribelle ha detto alla televisione di Mosca che la maggior parte dei combattenti sono ex militari o soldati in congedo. Le autorità di Kiev hanno riferito che i separatisti hanno conquistato la città di Novoazovsk, un centinaio di chilometri a sud di Donetsk, nel sudest dell’Ucraina, e minacciano di prendere Mariupol, aprendo un nuovo fronte.
Undici civili sono morti nei bombardamenti delle ultime 24 ore a Donetsk, roccaforte dei separatisti filorussi nell’est del Paese. Secondo quanto si legge in un comunicato del Consiglio comunale della città, «a seguito dei tiri d’artiglieria su alcuni quartieri di Donetsk, 11 civili sono morti e altri 22 sono rimasti feriti».
Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha accusato la Russia di invasione e ha cancellato la visita in Turchia, dove avrebbe dovuto partecipare alla cerimonia di insediamento del presidente Recep Tayyip Erdogan, a causa del «serio aggravarsi della situazione a Donetsk». Kiev ha chiesto e ottenuto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere del dispiegamento di truppe russe in Ucraina.
«Il mondo deve dare una valutazione del serio aggravarsi della situazione» ha detto Poroshenko, che sabato sarà a Bruxelles per un incontro con il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. L’obiettivo dell’incontro, fa sapere l’esecutivo Ue, è discutere della situazione in Ucraina, degli ultimi sviluppi, delle prossimo elezioni parlamentari in ottobre e del sostegno dell’Ue a Kiev.
Riferendosi alla possibilità di nuove sanzioni ai danni dell’Occidente, il ministro dell’Industria e del Commercio russo, Denis Manturov, ha detto che «non stiamo preparando alcuna proposta o misure aggiuntive» mentre il ministro dell’Economia e dello Sviluppo, Alexei Ulyukayev, ha dichiarato che Mosca non esclude ricorsi all’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) se i Paesi occidentali intensificheranno le loro sanzioni.

dalla "Padania" del 29.8.14

 
 
 

«JIHADISTI di tutto il mondo UNITEVI» Accorrono a migliaia

Post n°1723 pubblicato il 28 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Seicento solo dalla Gran Bretagna. Uccisi nei combattimenti in Siria e Iraq 15 australiani e un americano. E ci sono pure donne partite per il “jihad sessuale”

di Andrea Accorsi

Jihadisti di tutto il mondo, unitevi. E correte a combattere per lo Stato islamico. Si moltiplicano gli arruolamenti di combattenti islamici da un angolo all’altro del globo. Mentre spuntano perfino donne disposte a partire per una sorta di “guerra santa del sesso”.
Quindici australiani, compresi due kamikaze, sono stati uccisi in combattimento in Siria e in Iraq. Lo ha indicato il capo dell’intelligence australiana, David Irvine, che ha avvertito che le minacce dello spionaggio e di un intervento straniero a favore dell’Is (o Isis) stanno aumentando. Canberra ha manifestato allarme per il fatto che una sessantina di australiani hanno aderito oltreoceano a gruppi violenti della jihad, come lo Stato islamico. Un combattente dell’Is, l’australiano Khaled Sharrouf, ha scatenato rabbia e sdegno in tutto il mondo quando ha postato su Twitter la foto del figlio, cresciuto a Sidney, con la testa decapitata di un soldato siriano.
«Il richiamo di combattenti stranieri in Siria e in Iraq è consistente e comprende più australiani di tutti gli altri precedenti conflitti fondamentalisti messi insieme» ha detto Irvine. L’agenzia di intelligence nazionale (Asio) ritiene che il numero di cittadini che rappresentano una potenziale minaccia di sicurezza è notevolmente aumentato.
La Casa Bianca ha confermato la morte in Siria di un cittadino americano dopo la rivelazione fatta dai media statunitensi. Douglas McArthur McCain, afroamericano di 33 anni, aveva con sé il suo passaporto americano quando è rimasto ucciso. Il giovane era nato nell’Illinois e secondo la stessa emittente si era convertito all’Islam nel 2004. A quanto risulta è il primo jihadista americano, fra i circa cento americani che si ritiene siano andati in Siria per unirsi al jihad, morto combattendo al fianco del nuovo nemico numero uno degli Usa. I media descrivono McCain come uno spirito inquieto, passato da una scuola all’altra, da un lavoro all’altro, da una città all’altra.
Otto persone sono state arrestate in Arabia Saudita con l’accusa di reclutare giovani per i gruppi islamisti che combattono all’estero, in particolare in Siria e Iraq. Lo ha riferito un portavoce del ministero dell’Interno di Riad. Gli arresti sono stati eseguiti in un’operazione condotta a Tumair, città a nord della capitale, e scattata in seguito alle denunce dei genitori di alcuni dei giovani spinti al jihad all’estero.
Almeno tre musulmane sunnite sarebbero partite dalla Malaysia alla volta del Medio Oriente per raggiungere i militanti dell’Is, presumibilmente per quello che viene chiamato il jihad al-nikah, o jihad sessuale. «Si ritiene - ha detto un funzionario dell’intelligence citato da Malaysian Insider - che queste donne si siano proposte per offrire “conforto sessuale” ai combattenti dell’Is che stanno cercando di instaurare la legge islamica in Medio Oriente». Questo, ha aggiunto la fonte, sarebbe avvenuto dopo che a giugno i militanti dell’Is hanno emesso un decreto con il quale hanno ordinato alle famiglie musulmane di mandare le loro donne non sposate nella regione per il jihad al-nikah.
«Qui alcune donne musulmane stanno mostrando solidarietà per la lotta dell’Is» ha detto il funzionario, precisando che anche le intelligence di altri Paesi hanno segnalato che ci sono molte donne fra le musulmane sunnite provenienti dall’Australia e la Gran Bretagna che si sono unite ai militanti in Medio Oriente. Fra i seicento cittadini britannici che combattono al fianco dei jihadisti, ha rivelato, «ci sono donne musulmane che non si battono in prima linea, ma che sono coinvolte» nel jihad sessuale. Tale concetto sarebbe apparso per la prima volta in un editto del 2013 di un religioso wahhabita fondamentalista, in cui si esortavano le donne ad offrire prestazioni sessuali per sostenere il morale di coloro che combattevano contro il regime di Bashar al-Assad in Siria.
Secondo il parere di molti analisti, lo Stato islamico sta ormai per soppiantare Al-Qaeda al vertice delle organizzazioni terroristiche del jihad internazionale, grazie alla sua potenza militare, alla radicalità delle sue posizioni e alla capacità di utilizzare i moderni mezzi di comunicazione. Assumendo il controllo del territorio a cavallo della frontiera tra Siria e Iraq e proclamando la creazione di un califfato, l’Is ha riportato successi mai raggiunti dal network terrorista fondato da Osama Bin Laden. La conquista della città di Mosul, tra l’altro, ha consentito ai membri dell’Is di mettere le mani su un tesoro di centinaia di milioni di dollari e su un arsenale degno di un esercito moderno.

dalla "Padania" del 28.8.14

 
 
 

Gli USA mobilitano gli alleati per azioni militari contro l’ISIS

Post n°1722 pubblicato il 28 Agosto 2014 da accorsiferro
Foto di accorsiferro

Rapporto Onu: ogni venerdì in Siria esecuzioni e amputazioni nelle piazze. Nei campi di addestramento degli jihadisti reclutati bambini anche di 10 anni

di A. A.

Gli Stati Uniti hanno iniziato a mobilitare i loro alleati in Occidente e nella regione mediorientale nel caso di un’azione militare contro lo Stato islamico in Siria, mentre si preparano a estendere le operazioni già in corso nel nord dell’Iraq contro i jihadisti dell’Is. Lo rivelano al New York Times fonti dell’amministrazione americana, secondo le quali il presidente Barack Obama sarebbe vicino alla decisione di autorizzare raid aerei e lanci di generi di prima necessità intorno alla città di Amerli, nel nord dell’Iraq, dove vive una numerosa minoranza turcomanna sotto assedio da due mesi.
Quanto alla Siria, il giornale scrive che la Casa Bianca ha avviato una campagna diplomatica per “arruolare” alleati e Paesi vicini della regione per accrescere il sostegno all’opposizione moderata siriana e, in alcuni casi, per appoggiare eventuali operazioni militari contro l’Is. Fra i Paesi coinvolti, elenca il New York Times, Australia, Gran Bretagna, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Turchia ed Emirati arabi uniti. Fonti di Downing Street hanno però dichiarato che al governo britannico non è arrivata alcuna richiesta dagli Stati Uniti di partecipare ad eventuali raid aerei contro le postazioni dello Stato islamico in Siria, come riportato dal Nyt.
Dalla Siria intanto continuano a giungere notizie degli orrori perpetrati dai jihadisti dello Stato islamico. Quattro giovani sono stati uccisi a sangue freddo e poi crocifissi nella città di al-Mayadeen. Ogni venerdì si assiste a «esecuzioni, amputazioni, finte crocifissioni e fustigazioni nelle piazze», secondo il rapporto presentato a Ginevra dalla commissione internazionale d’inchiesta dell’Onu. L’Is obbliga gli abitanti delle zone sotto il suo controllo, inclusi i bambini, a partecipare alle esecuzioni in pubblico. «I corpi delle vittime - precisa l’Onu - vengono tenuti in mostra per diversi giorni così da terrorizzare la popolazione». Secondo lo stesso rapporto, nei campi dell’Is sono stati reclutati e addestrati bambini anche di 10 anni. Mentre le forze governative di Damasco hanno utilizzato armi con agenti chimici «come il cloro» contro aree abitate da civili in otto occasioni per un periodo di dieci giorni ad aprile. Le vittime, aggiunge l’Onu, hanno riportato «sintomi compatibili con l’esposizione ad agenti chimici come vomito, irritazione degli occhi e della pelle, problemi respiratori».
La battaglia tra l’esercito siriano e i ribelli si è spinta fino al confine con Israele, sulle alture del Golan. I miliziani che combattono il regime di Bashar Assad avrebbero conquistato, dopo duri combattimenti, il valico di Quneitra, alla frontiera con lo Stato ebraico.

dalla Padania del 28.8.14

 
 
 

ISLAMISTI a casa nostra, il CARROCCIO insiste: STOP a chi predica l’ODIO

Post n°1721 pubblicato il 27 Agosto 2014 da accorsiferro
Foto di accorsiferro

Pini: «Non è una questione religiosa ma culturale, chiudere subito i centri islamici in Romagna». Morelli: «Il sindaco Pisapia primo imam di Milano»

di Andrea Accorsi

Carroccio schierato contro i luoghi di culto nei quali si predicano l’odio e la “guerra santa”. Sul territorio si moltiplicano le prese di posizione del Movimento per contrastare il proliferare di moschee con la complicità della Amministrazioni di sinistra.
«Non è una questione religiosa, ma culturale. La scelta è tra l’Occidente che usa le regole democratiche e l’Islam che usa terroristi e sgozzatori». Così l’on. Gianluca Pini sugli italiani arruolati fra i “foreign fighters”, i combattenti stranieri schierati con i terroristi dell’Isis, fra i quali ci sarebbero anche persone transitate per Ravenna. «Nessuno ha smentito che il territorio ravennate sia coinvolto nel reclutamento di fanatici islamici a sostegno dell’Isis e di altri pazzi furiosi che mirano a cancellare le democrazie occidentali - incalza Pini -. Questo pericolo si estende a tutti i centri di culto che si trovano sul territorio romagnolo. Penso sia doveroso da parte delle autorità competenti valutare seriamente la chiusura del centro islamico delle Bassette, realizzato ingannando la buona fede dei ravennati, e di qualsiasi altro ricettacolo di fanatici islamici presenti in Romagna, potenzialmente, centri di reclutamento e indottrinamento di jihadisti».
Far decidere i cittadini attraverso referendum e introdurre leggi più restrittive per la loro apertura: Alessandro Morelli, capogruppo in Consiglio comunale di Milano, ricorda le regole proposte dalla Lega in Regione Lombardia. «Il sindaco Pisapia ignora gli allarmi dei servizi segreti e va avanti con le moschee -denuncia Morelli -. Oltre duecento sono pronti alla jihad in Italia, ma lo struzzo mette la testa sotto la sabbia per accondiscendere chi lo ha sostenuto in campagna elettorale. Un comportamento che pagheremo a carissimo prezzo. Nessuna parola di condanna per i massacri, nessun atteggiamento di distanza. Pisapia - prosegue il capogruppo a Palazzo Marino - si rende complice politico di questi personaggi che nascondono frange pericolose per la nostra gente. Pisapia li vuole in mezzo a noi. Per questo ben venga la proposta della Lega regionale».
L’emergenza terrorismo ed estremismo islamico è «preoccupante» anche in Veneto. Lo ha sottolineato il Governatore Luca Zaia, per il quale «siamo in un contesto di comunità occidentale e pensare che ci siano delle persone, peggio ancora se sono dei nostri ragazzi non di origine araba, che possano avvicinarsi a concetti di estremismo ci inquieta. Servono controlli e verifiche fino in fondo, senza volontà di criminalizzare alcuno. Necessità di capire la posizione dei singoli».
Zaia ha quindi proposto che gli imam pronuncino le omelie in lingua italiana, in modo che si possa capire il loro messaggio ai fedeli. «Le prediche in italiano non sono la soluzione, ma aiutano, oltre ad essere un atto di rispetto nei confronti di chi non parla arabo. Alcuni imam lo fanno, altri si rifiutano. Tutti dovrebbero farlo se non hanno nulla da nascondere».
Il Governatore del Veneto ribadisce: «Non ho nulla contro le scelte di fede, anche perché, nel caso dell’Islam, il Corano non predica la violenza. Ma non ci va assolutamente bene che ci sia qualcuno che lo interpreti così. Per questo non abbassiamo la guardia. Io sono assolutamente contrario a coltivare delle enclave, perché vogliono dire ghettizzazione, ma ci vuole un controllo su quello che si dice, si fa e si promuove nei centri islamici. Dobbiamo verificare fino in fondo: le forze di polizia vanno indirizzate con priorità assoluta su questo tema, perché non ci possiamo trovare il problema in casa».

dalla "Padania" del 27.8.14

 
 
 

ISIS, primi VOLI Usa e ARMI dall’Iran contro gli JIHADISTI

Post n°1720 pubblicato il 27 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Nuovo massacro, stavolta di turcomanni. Bloomberg: «Stato islamico ricchissimo»

di A. A.

Gli Stati Uniti hanno iniziato i voli di ricognizione sulle aree della Siria in mano ai ribelli islamisti. Lo riporta l’emittente al-Jazeera, secondo la quale l’avvio dei voli di sorveglianza aeree potrebbe presto aprire la strada ai raid contro glgli jihadisti dello Stato Islamico (Is o Isis, o Isil).
Una fonte ufficiale americana ha confermato l’avvio dei voli di ricognizione, mentre altre due fonti Usa, rimaste anonime perché non autorizzate a parlare con i media, hanno rivelato che il presidente Usa, Barack Obama, ha autorizzato queste operazioni.
La corrispondente di al-Jazeera a Beirut ha spiegato che non è ancora chiaro se Washington ha concordato con le autorità siriane l’inizio dei voli di ricognizione. Secondo la giornalista, tuttavia, alcuni mediatori occidentali in segreto potrebbero già aver iniziato a discutere con Damasco come combattere l’Is.
Sempre ieri l’aviazione del regime di Damasco ha compiuto decine di raid sulle postazioni dell’Is nella provincia nord-orientale di Deyr az Zor, secondo quanto riferisce l’ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria. La provincia è quasi interamente sotto il controllo dell’Is e confina con le regioni in territorio iracheno anch’esse occupate dallo Stato islamico.
Il ministro iraniano degli Interni, Abdolreza Rahmani Fazli, ha annunciato che il suo Paese ha recentemente aiutato i curdi iracheni a combattere contro glgli jihadisti dello Stato islamico. Lo riporta il sito di Press Tv, secondo il quale Rahmani Fazli ha spiegato che funzionari del governo regionale del Kurdistan iracheno hanno richiesto l’assistenza di Teheran, in particolare in termini di consulenza e organizzazione delle forze armate curde (peshmerga).
Secondo il ministro, il contributo iraniano ha consentito il ritiro degli jihadisti da alcune province dell’Iraq dove si confrontano con i peshmerga. Il ministro ha quindi spiegato che la decisione di intervenire nella crisi irachena è stata presa perché Teheran teme che lo Stato islamico riesca a conquistare alcune città sante per gli sciiti, un’eventualità che nelle scorse settimane lo stesso presidente Hassan Rohani ha definito come una «linea rossa».
La comunità internazionale sta sostenendo i peshmerga con la fornitura di armi e attrezzature militari. Secondo il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, il sostegno dell’Iran si è concretizzato anche nella fornitura di armi e munizioni alle forze curdo-irachene. «Abbiamo chiesto armi - ha detto Barzani - e l’Iran è stato il primo Paese a fornircele».
Il rappresentante dell’Unicef in Iraq, Marzio Babille, ha denunciato che gli jihadisti dell’Isis hanno massacrato 700 civili appartenenti alla minoranza turcomanna sciita, fra cui «bambini, donne e vecchi». La strage è avvenuta nel villaggio di Beshir, nel nord dell’Iraq, tra l’11 e il 12 luglio. La denuncia arriva mentre si teme per la sorte di altre migliaia di turcomanni che gli jihadisti assediano da giugno nella città di Amerli. Come gli yazidi e i cristiani, i turcomanni sciiti sono fra le minoranze prese di mira dalle persecuzioni dell’Isis, che segue una dottrina fondamentalista sunnita.
Secondo l’agenzia di analisi finanziaria Bloomberg, che cita fonti dell’intelligence e dell’antiterrorismo statunitense, il fatturato degli estremisti sunniti dell’Isis si aggirerebbe intorno ai 2 milioni di dollari al giorno, grazie a varie fonti di ricavo, fra cui il petrolio. L’agenzia sottolinea come ai ribelli non servano le donazioni esterne, potendo contare sui profitti generati dalla vendita del petrolio, dal pagamento dei riscatti, da estorsioni e contrabbando. «Lo Stato islamico è probabilmente il gruppo terroristico più ricco mai conosciuto» ha detto Matthew Levitt, esperto di terrorismo islamico che ha lavorato anche per il governo Usa.

dalla Padania del 27.8.14

 
 
 

STOP a nuove MOSCHEE e PIÙ CONTROLLI contro il reclutamento di terroristi

Post n°1719 pubblicato il 26 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Fedriga illustra le proposte della Lega Nord al governo: «Se veniamo a conoscenza di prediche violente solo attraverso filmati, significa che il nostro sistema di intelligence non funziona»

di Andrea Accorsi

«Il delicato panorama internazionale impone al nostro Paese di adottare misure particolarmente rigide al fine di bloccare sul nascere l’insorgenza di focolai estremisti». Il capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga, prende posizione sul dilagare della violenza in Medio Oriente. E indica al governo come contrastare la nascita di cellule dell’Isis sul suolo nazionale: stop ai luoghi di culto islamici, per rispondere al reclutamento di jihadisti in Italia, e più controlli delle forze dell’ordine su queste comunità.
«Per evidenti ragioni geografiche - rileva Fedriga - il nostro Paese, ben più di altre realtà continentali, è esposto allo sbarco di clandestini provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente. Mentre l’Europa fa le orecchie da mercante, il governo ha deciso di usare i guanti di velluto. L’operazione Mare Nostrum, costosissima sia sotto il profilo economico che umano, non ha prodotto alcun risultato soddisfacente ed ha anzi portato all’intensificazione dei flussi migratori». Quello che serve, per il capogruppo, sono «misure urgenti per far fronte a una situazione delicatissima. Auspico che il ministro Alfano si svegli dal torpore, marchio di fabbrica del suo mandato, e si attivi tempestivamente a tutela della sicurezza della nostra gente».

Presidente Fedriga, perché questa presa di posizione contro le moschee?

«Un imam che ha predicato anche nella mia regione, in provincia di Pordenone, oggi è in Iraq e proclama il califfato. Evidentemente non sono stati fatti controlli sufficienti su chi predica nelle nostre moschee. E poi abbiamo visto che lo sgozzatore del giornalista americano è un cittadino britannico. Quindi in Europa ci sono infiltrazioni pericolosissime mirate a reclutare soldati dell’odio e dell’intolleranza».

Quanto ritiene fattibili le sue proposte in Italia?

«Non è questione di fattibilità o meno: è questione di volontà politica, in un momento di emergenza, per tutelare i cittadini del proprio Paese. E non insistere in quel falso buonismo che ha portato anche a Mare Nostrum, con centomila immigrati entrati nel nostro Paese. Fra loro è molto probabile che vi siano persone legate all’estremismo islamico».

Che cosa farà la Lega?

«A settembre presenteremo una interrogazione per avere dati precisi sui luoghi di culto islamici in Italia e per capirne la reale pericolosità. Ma sono convinto che il governo cercherà di sminuire qualsiasi pericolo, possibile o presente, per non smentire le politiche di immigrazione che ha portato avanti fino ad ora».

Dunque le vostre proposte sulle moschee si accompagnano ad altre richieste, come quella di fermare Mare Nostrum?

«Certo: il primo passo è sapere chi entra nel nostro Paese. Senza una rivisitazione delle politiche immigratorie, qualsiasi iniziativa non avrebbe successo. La fine di Mare Nostrum va abbinata a controlli sui centri di culto islamici, che in molti casi si dimostrano centri di reclutamento di probabili terroristi. In quasi tutto il mondo, laddove la religione islamica è presente avviene il reclutamento di terroristi. Non è un dato astratto ma la realtà, dalla Malesia alle Maldive, dall’Africa agli Usa. E all’Europa. Le moschee possono essere facile terreno per il proliferare di intolleranza e violenza».

Quali reazioni si aspetta dagli imam “italiani”?

«Personalmente ho dei dubbi che da parte loro ci possa essere una collaborazione non dico in buona fede, ma utile per arginare i pericoli. La moratoria è fondamentale per mettere un freno al proliferare di questi centri che allo stato attuale sono incontrollabili. In secondo luogo servono controlli seri. Non si può sempre venire a sapere da filmati che gli imam predicano odio nelle moschee. Vuol dire che i nostri servizi di sicurezza e di intelligence non funzionano».

dalla Padania del 26.8.14

 
 
 

IMAM TRICOLORI Nella Penisola più di cento centri islamici “ufficiali”

Post n°1718 pubblicato il 26 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

L’antiterrorismo: arruolamenti in vari Paesi europei, non solo fra gli stranieri residenti. L’ex capo della Cia: un attacco contro Usa o Europa è solo questione di tempo

di A. A.

Nella Penisola sono ben 133 i centri islamici ufficiali, presenti in 66 province da Nord a Sud. A questi centri si aggiungono le moschee clandestine e gli altri luoghi di culto in progetto in molte città.
Secondo la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, redatta per l’anno 2013 dalla nostra intelligence e presentata in Parlamento lo scorso marzo, «il fenomeno dei cosiddetti “foreign fighters” (combattenti stranieri, nda) che, con riguardo alle partenze dall’Italia, continua ad essere piuttosto contenuto, vede coinvolti vari Paesi europei e riguarda non solo i soggetti di origine straniera residenti, a qualsiasi titolo, nel Vecchio Continente, ma anche i convertiti all’Islam radicale». La relazione sottolinea che sono «numerose le filiere di instradamento individuate in Europa, specie nella regione balcanica». I nostri servizi di sicurezza ricordano la morte in Siria, il 12 giugno 2013, del genovese Giuliano Delnevo, «unitosi nel dicembre 2012 all’insorgenza islamista anti-Assad al termine di un percorso di radicalizzazione culminato nella disponibilità al sacrificio personale».
Secondo il generale Michael Hayden, ex capo della Cia, un attacco dell’Is contro obiettivi negli Stati Uniti o in Europa è solo una questione di tempo. Intervistato dalla Cnn, il generale Hayden ha definito lo Stato islamico una «organizzazione locale molto potente, ragionevolmente la più potente organizzazione terroristica della regione. Ma ha ambizioni globali - ha aggiunto - e ne ha gli strumenti».
Hayden ha quindi ricordato che lo Stato islamico ha «espresso l’intenzione» di attaccare l’Occidente: «Non c’è modo più potente di accreditarsi nella comunità jihidasta che realizzare un attacco del genere». Dal canto suo Michael Morell, vice direttore ad interim della Cia, ha definito la decapitazione del giornalista americano James Foley come rappresaglia per i raid Usa nel nord dell’Iraq «il primo atto terroristico del gruppo contro gli Usa».

dalla "Padania" del 26.8.14

 
 
 

GRILLO tuona contro L’EURO La Lega lo dice DA MESI...

Post n°1717 pubblicato il 25 Agosto 2014 da accorsiferro
 
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Il leader M5s riprende articolo del Telegraph che indica il ritorno alla lira come unica via per un nuovo “Risorgimento”. L’ironia di Salvini: «Benvenuto fra noi»

di A. A.

Per rilanciare l’Italia, Renzi ha una sola strada: uscire dall’euro e puntare tutto sulla lira. Parola del Telegraph, ripreso dal blog di Beppe Grillo, al punto da suscitare l’ironia di Salvini: «Attenzione, attenzione! Oggi anche Grillo dice “Italia fuori dall’euro per non morire”. Benvenuto fra noi, hai scoperto una battaglia che la Lega fa da mesi! C’è ancora qualcuno che difende la moneta unica?».
Tutto nasce da un articolo del quotidiano britannico nel quale Ambrose Evans-Pritchard, convinto anti europeista della prima ora, invita senza giri di parole il premier italiano ad abbandonare la moneta unica se vuole veramente dare vita al suo “Risorgimento”. «L’Italia di Renzi - si legge sul Telegraph - deve tornare alla lira per mettere fine alla depressione», stato in cui il Belpaese si trova «da almeno sei anni. L’apatia - rileva l’autore del lungo articolo di analisi dell’economia italiana e dei suoi rapporti con quelle europee - è stata punteggiata da falsi risvegli, ogni volta sopraffatti dai dilettanti della moneta a capo delle politiche dell’Unione monetaria».
Per il giornalista inglese è «un fatto incontrovertibile che i quattordici anni di disastro italiano coincidano con l’adesione alla moneta unica». Di qui la conclusione: poiché «questa volta potrebbe non essere così evidente che il Paese voglia essere salvato alle condizioni europee», se non vuole morire non gli resta altra via di uscita che abbandonare il sistema monetario dell’euro. «Renzi - si legge ancora nell’articolo - può giustamente concludere che l’unico modo possibile per adempiere al suo compito di un Risorgimento per l’Italia, e costruirsi il proprio mito, è quello di scommettere tutto sulla lira».
L’articolo del quotidiano inglese è stato rilanciato da Grillo attraverso il suo blog. Secondo il leader del Movimento 5 Stelle, non vi è alcuna speranza di ripresa. «Le autorità italiane - osserva Grillo - intravvedono segnali di ripresa, come le guardie della fortezza nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, ingannati dalle illusioni ottiche dell’orizzonte senza vita. I prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo a un tasso del 4,5 per cento. Moody’s dice che quest’anno l’economia si contrarrà dello 0,1%. Société Génerale prevede -0,2%».
Grillo torna così a condividere in pieno le posizioni espresse dalla Lega. Con una differenza: che il Carroccio ha sempre ritenuto l’euro una delle peggiori iatture toccate in sorte al nostro Paese, mentre il leader pentastellato ha mostrato sull’argomento un atteggiamento a dir poco ondivago.
A proposito di no euro. Nella giornata di Ferragosto le spiagge della Penisola sono state sorvolate da due aerei con striscioni contro la moneta unica (nella foto). L’iniziativa, promossa da alcuni “pasionari” della battaglia contro la moneta unica, è andata in scena sulla costa tirrenica dalla Toscana fino alla Campania passando per il Lazio e sull’Adriatico, da Lignano Sabbiadoro, in Friuli, a Fano, nelle Marche.

dalla Padania del 17.8.14

 
 
 

Anche Napolitano SOLLECITA Renzi a produrre RISULTATI

Post n°1716 pubblicato il 16 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Lungo faccia a faccia (quasi 4 ore) per fare il punto su riforme, crisi internazionali ma soprattutto l’economia

di Andrea Accorsi

Napolitano chiama Renzi a rapporto. Dietro le dichiarazioni di facciata, è lecito ipotizzare che il Quirinale non sia molto soddisfatto dei risultati fin qui ottenuti dal Capo del governo. E che lo abbia quindi richiamato a fare di più, e in fretta.
L’incontro dell’altra sera a Castelporziano, tenuta della Presidenza della Repubblica alle porte di Roma, non era una novità: se ne parlava da giorni. Quello che ha colpito è stata, innanzitutto, la durata: quasi quattro ore (è iniziato alle 18.30 ed è terminato ben oltre le 22), seguite da una nota ufficiale del Quirinale. «Un ampio scambio di vedute sul programma di attività di governo e sulla situazione internazionale - vi si legge -. Il presidente del Consiglio ha riferito al Capo dello Stato della sua telefonata con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, dei suoi recenti viaggi all’estero a cominciare dalla missione al Cairo e ha parlato delle decisioni che il governo prepara per l’economia e il lavoro nonché del progetto per la riforma della giustizia che conta di portare al Consiglio dei ministri del prossimo 29 agosto». A questa riforma si aggiunge lo Sblocca Italia, per far ripartire le infrastrutture.
Con Napolitano «c’è stato un incontro a 360 gradi su tutte le numerosissime questioni aperte, sullo scacchiere interno e internazionale» ha puntualizzato ieri a Reggio Calabria lo stesso Renzi, che ha così elencato i vari temi affrontati nell’incontro: «C’è la vicenda Ucraina-Russia, la vicenda siriana e irachena con il martirio dei cristiani e delle minoranze etniche. C’è il grande tema della Libia con l’Italia che è l’unico Paese a tenere aperta l’ambasciata e c’è infine la drammatica questione del Medio Oriente. Al Consiglio europeo del 30 agosto - ha proseguito Renzi - ascolteremo le indicazioni di Juncker sulla formazione della Commissione. C’è poi la questione economica dell’Europa che, come si è chiarito con i dati sul Pil della Germania, non riguarda solo l’Italia ma l’intera Eurozona».
Renzi si è poi detto «molto contento che il presidente Napolitano abbia potuto constatare come il Senato, anche a costo di qualche fatica, abbia approvato in tempi significativi» il ddl di riforma della Costituzione. Il premier ha aggiornato il presidente sulle trattative in corso sulla legge elettorale e le prossime, possibili modifiche.
L’incontro con Giorgio Napolitano ha seguito quello di martedì tra Renzi e il presidente della Bce, Mario Draghi. Più che le riforme e le questioni internazionali, il piatto forte dovrebbe dunque essere stata l’economia. Alla luce delle ultime, disastrose performance nazionali, i due presidenti hanno concordato sul fatto che in autunno si dovrà dare un colpo di acceleratore, per tacitare i sempre più ricorrenti allarmi sui conti italiani. Allarmi rilanciati dai dati sul Pil, che proiettano un calo su base annua dello 0,3 per cento, e dal tardare della tanto annunciata ripresa.
L’intesa tra i Capi di Stato e di governo è arrivata su una tabella di marcia densa di risultati e a tappe forzate. Napolitano vuole vedere compiute le riforme che caldeggia da anni, ma vuole anche che siano rispettati i parametri europei sul bilancio. Tutto fa presupporre che ai tagli della spesa, nell’impossibilità di ottenere la benché minima concessione sui paletti imposti dall’Europa, si aggiungeranno manovre fiscali anche pesanti. Inevitabile il punto sulla nota di aggiornamento al Def, che andrà presentata alle Camere entro il 20 settembre, e sulla legge di stabilità 2015.
Napolitano conferma il sostegno al programma di Renzi, che a sua volta cerca in Napolitano una sponda preziosa sul fronte europeo. Intesa e fiducia reciproche reggono. Ma anche il Colle comincia a mostrare di attendersi di più che sole chiacchiere.

dalla "Padania" del 15.8.14

 
 
 

«STOP agli 80 euro in busta paga a carico di REGIONI e COMUNI»

Post n°1715 pubblicato il 14 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il Veneto deposita il ricorso alla Corte Costituzionale contro i meccanismi di copertura del bonus. Zaia: «L’esecutivo dà con una mano ma toglie con l’altra e premia gli Enti spreconi»

di Andrea Accorsi

Veneto contro il prelievo a carico degli Enti locali per finanziare gli 80 euro di Renzi in busta paga. Questa mattina, attraverso l’Avvocatura, la Regione del Veneto depositerà alla Corte Costituzionale il ricorso per impugnare alcune disposizioni normative contenute nel decreto con il quale il governo ha disposto il bonus mensile da 80 euro a favore di alcune categorie di contribuenti.
Il ricorso, come da delibera adottata all’unanimità lo scorso 28 luglio dalla Giunta regionale veneta, non contesta il bonus in sé, ma l’impostazione dei tagli alla spesa imposti a Regioni e Comuni, così da recuperare le risorse per la “mancia” offerta dal premier.
Anziché distinguere le Regioni virtuose da quelle con gravi dissesti finanziari, infatti, il provvedimento del governo «comprime indebitamente l’autonomia di spesa regionale in tutta una serie di ambiti (acquisti di beni e servizi, incarichi e collaborazioni, canoni di locazione...) utilizzando il concetto della spesa storica anziché ricorrere a parametri standard di spesa». È quanto si legge in una nota della Regione Veneto, che lamenta come, con questa procedura, «si penalizzano ulteriormente gli Enti - come il Veneto - che nel frattempo hanno razionalizzato fortemente la spesa con azioni contenitive e riduzione dei costi a partire dal 2010». Di conseguenza, la Giunta regionale ha adottato un provvedimento di aggiornamento delle direttive di contenimento della spesa già emanate a suo tempo.
«Nessuno contesta la libertà del governo di prevedere sgravi o bonus a favore di chiunque - puntualizza il Governatore della Regione, Luca Zaia - ma sia chiaro che deve trovare autonomamente le coperture senza gravare ulteriormente sulle Regioni virtuose, semmai facendo pagare di più i territori che hanno sprecato risorse pubbliche. Altrimenti significa dare i soldi ai cittadini con una mano e toglierglieli con l’altra. Sperando che non vengono a toccarci la sanità, la migliore d’Italia, con i conti in attivo. Perché allora ci arrabbiamo sul serio».
Per Zaia, è «troppo facile fare copertura togliendo soldi a Regioni e Comuni. Non abbiamo niente contro chi gli 80 euro li prende, al di là del fatto che vengono lasciati fuori i più bisognosi, i disoccupati e i pensionati. Ma il modo per recuperare le risorse, il “montepremi” che vale 6 miliardi e 400 milioni di euro, è una farsa: se decidi di fare un finanziamento, lo devi fare con soldi tuoi. È troppo facile, e c’è il rischio che passi il principio, farlo togliendo soldi alle Regioni e agli Enti locali, tanto più con tagli orizzontali, basati sulla spesa storica del 2013. Così si premiano le Regioni più sprecone: se, ad esempio, per i siciliani si tradurrà in una limatura di unghie, a noi taglierebbero un braccio». Dunque l’idea del bonus non è in discussione, tira le somme Zaia, anche perché la Regione non ha riguardo ad esso alcuna competenza.
«Ma il governo i soldi non li ha, ha fatto un provvedimento senza coperture, e vogliamo che sia chiaro anche alla gente che quel che le danno con una mano, lo sottraggono al territorio con un caterpillar». Un territorio che ci rimetterà in termini di minori servizi o, peggio ancora, di ulteriori costi a carico di cittadini e famiglie.

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Una “mancia” SERVITA solo a comprare VOTI

L’arrotondamento degli stipendi è stato l’unico risultato concreto finora ottenuto dal governo. Ma non ha avuto alcun effetto sui consumi, né tanto meno sull’andamento dell’economia, ormai in piena recessione

L’ultima sonora bocciatura della politica economica del governo è dell’altroieri, quando l’agenzia di rating Moody’s ha tagliato le sue stime sul prodotto interno lordo italiano portandole in negativo su tutto il 2014: -0,1 per cento. Pochi giorni prima, era stato l’Istat a emettere l’impietoso verdetto: la variazione prevista per il Pil nazionale quest’anno è pari a -0,3%. Altro che crescita, altro che fiducia nel futuro: il Belpaese è in recessione. E vi sprofonda per la terza volta in sei anni, dopo un solo trimestre di fragilissima crescita positiva (appena il +0,1% a fine 2013). Il tutto con buona pace dei conti fatti dal governo nel Def, dove la previsione per il 2014 era di un Pil in crescita dello 0,8%. Roba da sbellicarsi dalle risate, se non ci fosse da aggiungere altre lacrime a quelle già versate. Intanto, altri Paesi, altre economie galoppano: Usa e Germania, tanto per citarne due. Altri mondi, appunto.
Figuriamoci se bastavano gli 80 euro in più in busta paga a cambiare le cose. Eppure, la “mancia” renziana a beneficio dei lavoratori con salari bassi, è stata finora l’unico risultato tangibile del governo in quasi sei mesi. Un po’ pochino, se raffrontato alla caterva di tasse già rincarate e alle altre in arrivo dopo l’estate. Perché la contrazione del Pil, come avverte Moody’s, «avrà effetti sul gettito»: dato che col Pil “sballato” di quasi un punto e in negativo gli introiti saranno inferiori, sarà necessario reperire nuove entrate.
Ottanta euro non cambiano la vita, anche se in un anno significa trovarsene in tasca quasi mille in più. Non la cambierebbero a chi è senza lavoro, o sopravvive con una pensione da fame: e infatti disoccupati e pensionati quegli 80 euro non li hanno visti, e tutto fa presagire che mai li vedranno.
Ma quel che è peggio è che il bonus sull’Irpef non ha giovato neppure a chi l’ha ricevuto, visto che, come certificato da Confcommercio, l’attesa ripresina dei consumi non c’è stata. «Cercando l’effetto bonus a tutti i costi - fa sapere l’organizzazione dei commercianti - si può rinvenirlo nella crescita tendenziale dei consumi a giugno pari allo 0,4%, corrispondente a un +0,1% sul mese di maggio. Segnali positivi ma straordinariamente deboli e insufficienti per affermare che la domanda delle famiglie sia giunta ad un incoraggiante punto di svolta».
Giudizi che non sono andati giù al premier, secondo il quale è prematuro stimare gli effetti del bonus e «undici milioni di italiani la pensano in modo diverso». Guarda caso, undici milioni (e 172.861, per l’esattezza) è il totale dei voti incassati dal Pd alle scorse Europee. È evidente che Renzi si sia riferito ai suoi elettori per tentare di rimbeccare critiche e attacchi più che legittimi mossi alle sue alte strategie economico-finanziarie. Alte strategie che fin qui si sono ridotte al classico piatto di lenticchie elargito (sulla carta) appena prima della scadenza elettorale. Un piatto che, di questi tempi, buona parte degli italiani hanno dimostrato di gradire: basti questo a dimostrare come siamo messi.

dalla "Padania" del 13.8.14

 
 
 

Alfano dichiara guerra ai VU’ CUMPRÀ (ma continua a farli entrare)

Post n°1714 pubblicato il 12 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

A metà agosto il ministro si inventa l’operazione “Spiagge sicure”. Il Pd scrolla la testa, per i sindacati di polizia è solo propaganda: «Mancano uomini e mezzi»

di Andrea Accorsi

Alfano scopre i vu’ cumprà. A poche settimane dalla fine delle vacanze estive, il ministro dell’Interno dichiara guerra ai venditori abusivi. E in un colpo solo si copre di ridicolo, si prende rimbrotti da sindacati, polizia, Caritas, alleati di governo e si fa cogliere in evidente e clamorosa contraddizione dalla Lega. «Alfano dice che gli italiani sono stanchi dei vu’ cumprà e poi ne permette l’arrivo di migliaia ogni giorno grazie a Mare Nostrum - posta Matteo Salvini -. Angelino, Premio Incoerenza 2014».
Il titolare del Viminale ha illustrato una direttiva firmata l’8 agosto e indirizzata a tutti i prefetti. «Lo Stato scende in campo, in estate, per la prevenzione e il contrasto dell’abusivismo commerciale e della contraffazione - ha spiegato Alfano -. Con l’operazione “Spiagge sicure” i turisti, i nostri cittadini, potranno tranquillamente trascorrere le loro giornate in spiaggia, senza la processione dei vu’ cumprà, prevalentemente extracomunitari, dediti al commercio abusivo di prodotti di provenienza illegale». Obiettivo ultimo: «Radere al suolo il meccanismo della contraffazione. Lo Stato - ha tuonato il ministro - finora non è rimasto “in sonno” ma ora innestiamo il turbo». In sostanza, Guardia di finanza e le altre forze dell’ordine dovranno rafforzare i controlli sulle spiagge colpite dall’abusivismo commerciale. «E in autunno - annuncia Alfano - pianificheremo nuove azioni sulle strade per evitare che le nostre città diventino un suk». Più che evitarlo, semmai, si tratterà di porre rimedio a una situazione diffusa ovunque e radicata da anni.
Staremo a vedere. Intanto, registriamo il coro di pareri negativi riscossi dall’annuncio dell’operazione. «Pugno duro contro i vu’ cumprà e porte aperte agli sbarchi di immigrati - rileva il presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro -. Noto una certa incoerenza da parte del ministro, che dà il bastone agli ambulanti e la carota ai clandestini».
«Il problema - puntualizza il segretario generale aggiunto della Cisl, Annamaria Furlan - non sono gli immigrati sulle spiagge: la difesa del made in Italy va fatta con determinazione colpendo chi gestisce le reti di produzione e vendita di oggetti contraffatti». Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana, se la prende per l’uso del termine “vu’ cumprà” «che pensavamo ormai desueto e passato». E aggiunge: «Colpire loro significa fare un’operazione di maquillage».
Furibondi gli alleati del Pd. «Perché Alfano si sveglia l’11 agosto, a stagione balneare quasi finita?» dice l’on. Edoardo Patriarca.  «Tolleranza zero per le espressioni a sfondo razzista, prima che per le vendite in spiaggia» lo catechizza l’on. Dario Ginefra.
Mentre per Gianni Tonelli, segretario generale del sindacato di polizia Sap, «l’operazione annunciata dal ministro dell’Interno è solo propaganda. Non ci sono uomini né mezzi».

dalla "Padania" del 12.8.14

 
 
 

L’IMMIGRAZIONE presenta il CONTO: 12 miliardi all’anno

Post n°1713 pubblicato il 12 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Uno studio somma tutte le voci di spesa pubblica dalla sanità alla scuola, dai carcerati alle strutture di accoglienza. Il totale è impressionante. Ce lo possiamo permettere?

di A. A.

L’immigrazione selvaggia presenta il conto. Senza prendere in considerazione le conseguenze sul piano politico, sociale, culturale e religioso, un’analisi della Fondazione Leone Moressa, riportata dal Giornale, prende in esame il business legato all’afflusso costante e massiccio di immigrati extracomunitari nel Belpaese. Il conto finale è di 12 miliardi di euro all’anno di spesa pubblica destinata agli immigrati.
Le voci più costose di questo bilancio da Bengodi sono quelle della sanità (3,6 miliardi) e della scuola (3,4). Altri contributi di welfare quali assegni familiari, pensioni e sostegni al reddito assommano a 1,6 miliardi. Mentre il conto al capitolo giustizia è pari a 1,75 miliardi: va tenuto presente che è straniera tra un terzo e la metà dell’intera popolazione carceraria, laddove gli stranieri rappresentano solo il 7,5 per cento delle persone che vivono nella Penisola.
I dati del rapporto annuale della fondazione Moressa si riferiscono al 2011, quindi prima della sciagurata operazione Mare Nostrum e del gentile accompagnamento alle nostre coste offerto dalla Marina militare agli scafisti e ai loro barconi stracarichi di clandestini. Nel 2011, in piena Primavera araba e dunque con un notevole afflusso di immigrati via mare, ne sbarcarono 63 mila. Quest’anno siamo già vicini a quota centomila: è dunque lecito attendersi che il conto, alla fine di quest’anno, potrà essere pari al doppio rispetto a tre anni fa.
Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Osapp - citiamo sempre dal Giornale - stima che un carcerato costi alla collettività tanto quanto un deputato, ovvero 12 mila euro al mese. Facendo invece i conti in tasca agli immigrati che non sono ospiti delle patrie galere, si scopre che ciascuno di loro ci costa 2.400 euro al mese, cioè il doppio dello stipendio di un agente addetto ai controlli. Nel momento in cui l’immigrato viene registrato in un centro di accoglienza, infatti, riceve una “diaria” di 30 euro al giorno per le spese personali, pari a 900 euro al mese. Esentasse.
Altri 30 euro al giorno vengono spesi per rimborsare le strutture che ospitano i “rifugiati” come bed&breakfast, strutture private e ostelli. Se a queste cifre si aggiunge un’assicurazione mensile di 600 euro, si arriva al citato totale i 2.400 al mese. E il periodo massimo di permanenza nei Cie per l’identificazione è di sei mesi: se un rifugiato ve lo trascorre interamente, mantenerlo costerà più di 14 mila euro.
Sempre meno che rimpatriare un clandestino, operazione che, secondo uno studio del Tempo, fra tecnologie per l’identificazione, scorte, biglietti aerei e assistenza costa allo Stato intorno ai 25 mila euro. Poiché dal 2010 ad oggi sono stati rimandati a casa 41 mila extracomunitari, il conto è presto fatto: la spesa totale dei rimpatri supera il miliardo.
A questa montagna di soldi bisogna ancora aggiungere i costi di Mare Nostrum, pari a 9 milioni di euro al mese più 1,5 milioni per il dispositivo di unità costiere già in azione, e quelli per il programma di contrasto all’immigrazione irregolare, già costato tra il 2005 e il 2012 1,7 miliardi.

dalla "Padania" del 12.8.14

 
 
 

Roma boccia i REFERENDUM per l’indipendenza del VENETO Zaia: siamo ancora più motivati

Post n°1712 pubblicato il 11 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

«Fa festa il centralismo ma non pensino di dormire sonni tranquilli. Vogliono continuare a saccheggiarci, finiranno col metterci nelle mani della troika»

di Andrea Accorsi

Lo Stato centrale tenta di fermare il cammino del Veneto verso l’indipendenza. Ma Zaia avverte: andiamo avanti più motivati di prima, questa è la dimostrazione che hanno paura della democrazia.
Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per gli Affari regionali, Maria Carmela Lanzetta, ha deciso di impugnare le due leggi approvate dal Consiglio regionale del Veneto lo scorso giugno per indire un referendum consultivo sull’autonomia e uno sull’indipendenza della Regione. Motivo addotto dal governo: le due leggi regionali sono in contrasto con alcuni articoli della Costituzione.
«Renzi vuole tappare la bocca al popolo veneto. Lanciamo la resistenza democratica, nel segno del Leone di San Marco. Questa è una battaglia di legittima difesa nei confronti di uno Stato che ci sta uccidendo di tasse»: così i deputati Matteo Bragantini, Filippo Busin, Roberto Caon, Marco Marcolin, Emanuele Prataviera e i senatori Raffaela Bellot, Patrizia Bisinella, Emanuela Munerato, Erika Stefani e Paolo Tosato. «Se pensano di poter azzittire un popolo si sbagliano di grosso - sostengono i parlamentari del Carroccio -. Più tenteranno di accanirsi contro il Leone di San Marco, più scateneranno l’indignazione di una terra che è stanca di regalare ogni anno 21 miliardi di tasse a Roma, per non ricevere in cambio mai niente».
Durissima la reazione del Governatore del Veneto, Luca Zaia: «Roma festeggia il primo sì a una riforma costituzionale contro le Regioni e le Autonomie e nel contempo celebra il ritorno al più bieco centralismo impugnando le leggi venete sull’autonomia e l’indipendenza. Ma noi non ci arrendiamo. Io non mi aspetto dalle stanze del potere centrale un’accoglienza entusiastica di questa assolutamente legittima iniziativa -incalza il Governatore - ma non posso accettare che sia impedito in modo arrogante di ascoltare la voce di un popolo. Significa, di fatto, negare il diritto di espressione».
Zaia cita quindi «l’insegnamento di Voltaire» laddove il grande filosofo illuminista sosteneva: «Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere». Tale insegnamento, per Zaia, «è sconosciuto a questo governo, che dimostra di non sapere che cosa sia la libertà, la democrazia e il rispetto delle altrui opinioni. Perché, lo ricordo e lo sottolineo, la Regione non ha organizzato un’operazione separatista, ma vuole consentire ai veneti di esprimersi sull’autonomia e sull’indipendenza della terra nella quale vivono, nel rispetto delle leggi e della Costituzione. Vorrei rassicurare quanti ingiustificatamente temono l’esito delle consultazioni indette, è doveroso evidenziarlo, da un organismo istituzionale liberamente e democraticamente eletto come il Consiglio regionale del Veneto: se dovessero vincere i sì, avvieremmo un percorso di autonomia o di indipendenza costituzionale, rispettoso delle norme, gandhiano nei metodi. Al contrario, se gli elettori negassero queste prospettive, ne prenderemmo atto e la partita si chiuderebbe nel rispetto di tale scelta. Ma è proprio questo che Roma, il governo, lo Stato con i suoi potenti apparati, vogliano negare ai veneti e ai loro rappresentanti eletti nel Consiglio regionale: di esprimere una scelta, una volontà».

Governatore Zaia, che cosa è successo venerdì?

«Quella giornata verrà ricordata come la festa del centralismo romano. Sono successe cose che si sono viste e altre che invece non si sono viste».

Quali?

«È stato bocciato un emendamento della Lega che chiedeva lo Statuto speciale per il Veneto. Per bocciarlo, hanno accampato scuse di incostituzionalità. È la prova provata che questi sono contro l’autonomia e che di fronte al saccheggio che serpeggia nel Paese, vogliono continuare a saccheggiare il Veneto».

Del resto, basta leggere le riforme costituzionali appena approvate dal Senato per capire in quale direzione si sta andando...

«Certo, la bocciatura dei nostri referendum rientra in un percorso coerente del quale fanno parte anche quelle riforme. C’è un pifferaio magico che li trascina e che andrà avanti a farlo finché la gente si accorgerà di essere stata portata sull’orlo del burrone. Questo governo avrà il merito di metterci nelle mani della troika (Ue, Bce e Fmi, nda)».

Come reagite alle politiche dello Stato centrale?

«Siamo ancora più motivati, nonostante tutte le istituzioni siano contro di noi. Ci saranno dei martiri in questa rivoluzione gandhiana che stiamo portando avanti. Il fatto che di fronte a una consultazione democratica che non ha alcun potere deliberativo ci sia qualcuno che addirittura nega ai veneti di esprimere la propria opinione, significa che questo governo ha paura della democrazia».

È forse il caso di mettere in discussione i metodi gandhiani?

«Io sono un irriducibile pacifista. Non credo che la violenza e i proclami servano. E poi chi amministra ha la responsabilità, come rappresentante delle istituzioni, di indicare la via. Chi è violento sa che non fa parte della mia squadra».

Che cosa farete ora?

«C’è in corso un dibattito di natura giuridica che vogliamo portare avanti fino in fondo. E c’è la volontà di proporre soluzioni alternative perché Roma non dorma sonni tranquilli».

Di quali soluzioni si tratta?

«Ci stiamo lavorando. Non pensino che la bocciatura dei referendum si chiuda con un “vabbè, ci abbiamo provato”. Non esiste. Qui il confronto è tra la coalizione che rappresenta la sopravvivenza e la modernità, che siamo noi, e quella della restaurazione e del passato, che sono loro».

dalla "Padania" del 10.8.14

 
 
 

SCUOLA, così migliaia di POSTI al Nord finiranno a PRECARI del MERIDIONE

Post n°1711 pubblicato il 09 Agosto 2014 da accorsiferro
 
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Le 33.380 immissioni in ruolo assegnate dal ministero dell’Economia saranno preda di quanti si sono infilati in graduatoria contando su punteggi più alti

di Andrea Accorsi

Migliaia di posti di lavoro al Nord, che per la stragrande parte non saranno occupati da insegnanti del Nord. È il paradosso certificato in questi giorni dalle tabelle di ripartizione delle cattedre per ogni ordine di scuola (da quella dell’infanzia alle superiori di secondo grado) e le province.
Su ben 33.380 immissioni in ruolo assegnate dal ministero dell’Economia alla scuola (28.781 fra i docenti e 4.599 per il personale Ata), la maggior parte delle quali al Nord, ben pochi andranno ai precari che qui vivono. E che magari quei posti li attendono da anni, occupando i primi posti delle graduatorie. Colpa del meccanismo che ha permesso ai precari del Sud di infilarsi nelle stesse graduatorie. E di scalare posizioni su posizioni, grazie a punteggi più alti.
A determinare i punteggi sono vari fattori, dagli anni di servizio ai titoli culturali e scientifici acquisiti durante e prima di iniziare la carriera. Più punti si hanno, maggiori sono le possibilità di ottenere supplenze per lunghi periodi o di essere assunti. E siccome i punteggi al Sud sono elargiti con manica più larga, ecco che molti prof del Nord che si aspettavano di entrare finalmente in ruolo dal 2 settembre, si ritroveranno ad aspettare ancora il loro turno. Magari per altri anni.
Le quasi 29 mila cattedre da assegnare saranno ripartite, al 50 per cento, tra i vincitori degli ultimi concorsi e quanti si trovano nelle graduatorie provinciali ad esaurimento. È proprio in queste liste che negli ultimi due mesi si è verificata l’“invasione” di migliaia di precari meridionali. Col risultato che molte, in alcune province tutte, le cattedre disponibili saranno riempite da docenti extra-regione.
«Il dramma che stanno vivendo tanti insegnanti scavalcati del Nord non è casuale - rileva Mario Pittoni, nella scorsa legislatura capogruppo della Lega Nord in commissione Istruzione del Senato -. È figlio dello stop a suo tempo imposto dal Quirinale al congelamento delle graduatorie in attesa della riforma del reclutamento, contenuto in un nostro emendamento che aveva già ottenuto il via libera del Senato oltre che della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Ha completato la frittata l’accordo dell’ex ministro Carrozza con i sindacati per stravolgere un altro provvedimento da noi fortemente voluto: il vincolo di permanenza di cinque anni nella provincia di prima nomina in ruolo, ora ridotto a tre».
Da questa spirale negativa, per il Carroccio, si esce in un modo solo: regionalizzando il sistema di “reclutamento” degli insegnanti precari. «Una nostra proposta è depositata dalla passata legislatura - spiega Pittoni -. Il meccanismo che proponiamo può fungere da calmiere agli spostamenti dalle zone con meno opportunità di lavoro ma con valutazioni “generose”, a quelle con più posti disponibili ma maggiore rigore nei voti, evitando che candidati valutati con manica larga in altre realtà possano scavalcare chi merita. Toglie inoltre appetibilità ai corsi on line più o meno fasulli e allo scambio di favori tra strutture private e docenti (in particolare ore di insegnamento gratuite in cambio di punti). Mette infine in competizione gli aspiranti all’insegnamento iscritti ai vari albi regionali, spingendoli a migliorarsi. Un candidato bravo, ma iscritto in una regione dove i bravi sono tanti, sarà spinto a iscriversi nella regione vicina che magari ha meno bravi e offre più opportunità di lavoro. A quel punto, gli iscritti in quella regione avranno tutto l’interesse a darsi da fare per crescere professionalmente e non farsi sfuggire l’opportunità di conquistare la cattedra».

* * * * *

L’unica soluzione: concorsi pubblici REGIONALI

Salvini: «Non ho parole, chissà quanti degli insegnanti “fregati” hanno votato per Renzi...»

«Non ho parole». Così Matteo Salvini commenta su Facebook, condividendolo, un articolo di giornale sullo scandalo degli insegnanti del Nord scavalcati da quelli del Sud nelle graduatorie per l’assegnazione delle cattedre per il prossimo anno scolastico. Una stortura per risolvere la quale il Segretario federale suggerisce «concorsi pubblici regionali unica soluzione». Con una postilla al veleno: «P.s. Chissà quanti dei prof. “fregati” hanno votato per Renzi...».
Nelle Regioni dov’è al governo, la Lega da tempo si è mossa per dare la precedenza ai prof residenti su quelli provenienti da altre province della Penisola. Una politica che
deve però fare i conti con i limiti di manovra imposti dalle leggi nazionali.
«Pieni poteri alle Regioni sulla scuola, come sancito dalla Costituzione»: questo l’obiettivo annunciato del consigliere regionale lombardo Stefano Bruno Galli, per il quale «il disegno della Macroregione passa anche attraverso l’istruzione e la valorizzazione di lingue e culture locali». Per Galli «la volontà radicalmente autonomista è sostanzialmente una: la richiesta da parte delle Regioni della piena competenza legislativa in materia di istruzione, in base all’articolo 116  della Costituzione».
Maggiore autonomia nel campo dell’istruzione potrebbe portare benefici anche nella gestione delle graduatorie degli insegnanti, con una più efficace lotta al precariato. Un traguardo che però viene messo in serio pericolo dalla riforma istituzionale in dirittura d’arrivo in Parlamento, che dispone l’accentramento di molte competenze a danno degli Enti locali.
In Veneto «la Regione sta seguendo con particolare attenzione, e anche con preoccupazione, l’evolversi della rivisitazione delle graduatorie scolastiche da parte del ministero dell’Istruzione»: parole dell’assessore regionale all’Istruzione, Elena Donazzan. «La cosa ci riguarda in modo specifico - puntualizza Donazzan - perché se le cose restano così,  visto che in Veneto alcune graduatorie risultavano già esaurite, significherà che i nostri insegnanti precari aventi diritto al ruolo, in particolare in una disciplina come matematica, saranno superati nelle graduatorie “a pettine” da quelli di altre regioni con più punteggio».
Le graduatorie “a pettine” cui fa riferimento l’assessore sono quelle imposte dal Consiglio di Stato: in pratica, nelle graduatorie regionali, laddove ci sia disponibilità, vanno inseriti i precari in esubero di altri territori regionali. Contro questo principio, nella prossima riunione del coordinamento nazionale degli assessori regionali all’Istruzione la Regione del Veneto riproporrà la regola della “residenzialita”, già proposta tre anni fa e allora stoppata dalle Regioni del Sud. Con questa regola, l’insegnante precario che accetta l’inserimento in ruolo resterebbe per almeno cinque anni nel territorio dove gli è stata assegnata la cattedra.

dalla Padania del 9.8.14

 
 
 

TAGLIARE le partecipate? Meglio prima distinguere tra virtuose e CARROZZONI

Post n°1710 pubblicato il 08 Agosto 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

L'assessore lombardo Garavaglia: giustissima la strada intrapresa dal governo, ma guai a eliminare le aziende del Nord che funzionano bene e producono utili

di Andrea Accorsi

Attenti a non fare di ogni erba un fascio. Perché se proprio vuole tagliare sulle municipalizzate, è bene che il governo lo faccia con la lente in mano, distinguendo tra aziende virtuose e inutili carrozzoni. È di questo avviso Massimo Garavaglia, assessore all’Economia della Regione Lombardia, dopo la presentazione del rapporto sulle partecipate locali del commissario alla spending review, Carlo Cottarelli.

Assessore Garavaglia, è d’accordo con la strada intrapresa da Cottarelli per risparmiare soldi pubblici tagliando le cosiddette municipalizzate?

«La strada è giustissima. Più volte, quando eravamo al governo, abbiamo tentato di percorrerla in maniera razionale, cioè ad esempio imponendo il divieto del ripiano delle perdite. Tradotto: se un’azienda partecipata è un carrozzone, a un certo punto i soci pubblici, come Comuni e Province, devono intervenire per ripianare le perdite. Se non possono farlo, si portano i libri in tribunale e morta lì».

E che fine ha fatto questa norma?

«Purtroppo è stata elusa per tanti anni, e quindi non applicata fino in fondo. Sarebbe stata una soluzione semplice ad un problema complesso. Il governo ora torna alla carica, vedremo in che modo».

Ecco: in che modo dovrebbe farlo?

«Distinguendo tra chi è efficiente e chi non lo è. In una società, farlo è semplice: se produce utili, è efficiente e non ha senso chiuderla. Mentre chi è strutturalmente in perdita è un carrozzone: è evidente che lì c’è qualcosa che non quadra».

Il quadro è uniforme in tutta la Penisola?

«Nient’affatto. Le aziende municipalizzate al Nord sono normalmente in utile o, in settori difficili come i trasporti, arrivano sostanzialmente al pareggio. Al Centro-Sud sono quasi tutte strutturalmente in perdita, ed è lì che bisogna agire».

Qual è il motivo di questa differenza?

«Il personale. Al Centro-Sud la percentuale di personale delle partecipate sulla popolazione servita è superiore alla media, ed è questo il motivo che genera perdite strutturali. Quindi bisogna intervenire alla voce del personale».

In che modo?

«Seguendo una regola semplicissima: colpendo le società strutturalmente in perdita, si risolverebbero tutti i problemi. Ma temiamo che, come al solito, gli Enti pubblici del Centro-Sud che hanno usato le partecipate per eludere i vincoli che impedivano l’assunzione di personale si mettano di traverso. E che il governo faccia, al solito, norme che prevedono tagli lineari, colpendo indiscriminatamente aziende che funzionano, producono utili e forniscono servizi di qualità piuttosto che chiudere i carrozzoni che generano perdite e quindi consumano risorse pubbliche».

Non c’è il rischio di togliere servizi essenziali quali acqua, energia, trasporti?

«Se un’azienda sta sul mercato, pubblica o privata che sia, non cambia nulla: significa che produce utili ed eroga servizi a prezzi congrui. Se non sta sul mercato, semplicemente deve chiudere. Pubblico o privata che sia».

dalla "Padania" dell'8.8.14

 
 
 
 
 

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