Nella tappa milanese del “Basta euro tour” il grido di dolore di chi ogni giorno fa i conti con le storture di Bruxelles
di Andrea Accorsi
Il mondo delle imprese, dei lavoratori e di quanti sognano un lavoro guarda con speranza a un futuro senza euro. La tappa milanese del “Basta euro tour” si apre, per una scelta azzeccata degli organizzatori, col grido di dolore di imprenditori e neolaureati, cioè di quelli che ogni giorno fanno i conti sulla propria pelle con le difficoltà e le storture introdotte da Bruxelles nel mercato, sia esso del lavoro o dei prodotti finiti.
AGRICOLTURA, IL NUOVO MOSTRO È IL “GREENING”
«L’Italia è il terzo contribuente in Europa per la Politica agricola comune (Pac) dopo Germania e Francia. Ma non ha potere decisionale e politico per modificarne i regolamenti, che vengono così demandati ad altri Paesi. I quali non sempre fanno i nostri interessi».
Il primo a prendere la parola nell’affollatissima sala congressi della Provincia di Milano è Alessandro Ciocca, titolare di un’azienda agricola di Treviglio (Bergamo). Che da persona pratica va subito al nocciolo del problema.
«Il nostro Paese - spiega Ciocca - versa ogni anno 16 miliardi di euro per la (Pac), ricevendone 10 come contributi agricoli. Questa differenza è dovuta all’allargamento della Ue a Paesi emergenti, che vengono sostenuti a nostre spese, e al fatto che alcune Regioni italiane, pur avendo a disposizione contributi, non mettono in atto politiche per erogarli alle imprese agricole, o li dirottano in altre destinazioni. Ma nei prossimi sei anni erogazioni e contributi saranno modificati».
Il “mostro” che attende i nostri coltivatori si chiama Greening. E come tutte le politiche agricole comunitarie è tagliato su misura per altri Paesi, mentre da noi farà solo danni. «In pratica, gli agricoltori saranno obbligati a diversificare le colture, non in base alla normale rotazione annuale, e a destinare quote di terreno a corridoi ecologici. Una riforma che favorisce esclusivamente Paesi come Polonia, Romania e Germania, che hanno tanto verde e piogge prolungate. Mentre i problemi ambientali del nostro territorio sono ben altri». Chi non si adegua al Greening, vedrà subito ridotti i contributi comunitari del 30 per cento e di un ulteriore 25% (sul 70% rimanente) in un secondo tempo. Un brutto film dal finale già scritto.
NIENTE STAGE SE LAUREATI DA PIÙ DI SEI MESI
Cerchi lavoro? Scòrdati di trovarlo, sia in Italia che in Europa, con le regole attuali. Non usa giri di parole Martina Emisfero, 27 anni, una laurea in lingue alla Cattolica e un contratto in scadenza dopo 4 anni di lavoro. «Qui non posso rispondere a nessuna richiesta di stagisti, a 300 euro al mese, dopo che sono trascorsi sei mesi dalla laurea. Provo all’estero, ma la crisi non è solo in Italia. E ad esempio gli inglesi assumono prima inglesi. Quindi non è vero che possiamo ricollocarci in Europa. Senza contare - aggiunge - che la nostra lingua non è diffusa in Europa. Insomma, non siamo cittadini europei sullo stesso piano come lo sono i cittadini statunitensi in America».
BASTA ELEMOSINARE POSTI DAI COLOSSI INDUSTRIALI
«Dobbiamo contenere i costi a causa del calo dei consumi». Tradotto: lavoratori licenziati e stabilimento chiuso. Il triste ritornello se lo è sentito rivolgere anche Carlo Ribolla, operaio elettricista allo stabilimento ex Invernizzi di Caravaggio (Bg), oggi Gruppo Lactalis, destinato a chiudere i battenti entro l’anno.
«Nella nostra fabbrica - racconta alla platea del “Basta euro tour”, infiammandola - ci siamo dissociati dal percorso seguito dai sindacati. Perché non serve continuare a elemosinare con questi colossi industriali: a livello di Stato si può risolvere i problemi semplicemente tornando alla sovranità monetaria e a gestire l’economia in funzione dei cittadini».
GRAVE NON SOSTENERE I NOSTRI TALENTI
«Quando un sistema non funziona, va cambiato». A credere fermamente in questa filosofia è un grande esperto di dinamiche economiche a aziendali come Marco Eugenio Di Giandomenico, docente universitario e autore di numerose pubblicazioni specialistiche.
«Non cambiare diventa un problema etico - teorizza -. Questo vale anche nella disciplina aziendale. Le ipotesi formulate all’inizio dell’euro - entra nel merito della questione - si sono dimostrate diverse dalla realtà. E un altro grave problema riguarda l’emersione dei talenti artistici: se il sistema non li aiuta, proprio noi che siamo primi al mondo con il made in Italy, avremo danni permanenti».
IL SISTEMA-PAESE NON FUNZIONA
L’Europa che viaggia a due velocità viene descritta in termini efficaci da Giampaolo Pesenti, a capo di una piccola azienda di meccanica e utensileria con otto dipendenti, sul mercato da 55 anni e che esporta «dagli Stati Uniti alla Russia, dal Polo Nord all’Australia».
«Inizialmente - ricorda - lavoravamo ed esportavamo senza concorrenza, salvo quella di qualche azienda tedesca. Poi, dal 1994, la Svezia ha cominciato a produrre le nostre stesse cose, con pari qualità ma con costi sociali e del lavoro inferiori ai nostri». «La Svezia - interviene il professore Borghi Aquilini - ha svalutato la sua moneta del 40%...». «Certo - riprende Pesenti - loro hanno la corona svedese, non l’euro. Risultato: nel confronto con l’Europa, continuiamo a perdere competitività. E questo anche a causa della tassazione eccessiva degli ultimi governi, che ha colpito le aziende con 4-5 dipendenti che al Nord sono il 95%. Così, oltre alla crisi iniziata nel 2009, questi fardelli fiscali insostenibili impediscono gli investimenti e quindi di essere competitivi con i mercati evoluti degli altri Paesi».
«Ogni giorno che passa - tira le somme Giampaolo Pesenti - è sempre più difficile andare avanti e tenere aperto. È il sistema-Paese che non funziona. Ci vorrebbe la corona... padana o lombarda!».
LA BCE DEVE CAMBIARE LE REGOLE
Non previsto in scaletta ma accolto volentieri sul palco, Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda italiana. Non proprio un euroscettico, ma molto interessato ai destini della moneta unica.
«Per noi della filiera tessile e moda la questione dell’euro è fondamentale - conferma Boselli, Cavaliere del Lavoro -. Lo siamo per i nostri numeri: 610 mila occupati, il 70% dei quali donne, in 70 mila imprese, con 60 miliardi di euro di fatturato e un saldo attivo della bilancia commerciale di 19 miliardi e 200 milioni nel 2013. In pratica, abbiamo gli stessi occupati degli altri 26 Paesi europei messi assieme nel settore. Noi siamo obbligati a esportare - incalza - anche perché il mercato interno è quello che è e non crediamo possa svilupparsi nell’immediato futuro. Le esportazioni danno la possibilità alle aziende di investire e ai lavoratori di spendere. Siamo entrati nella parità monetaria con il cambio a 1.936,27 lire per un euro, e questo è stato il primo errore, perché era un cambio iniquo. Per non parlare del rapporto con il dollaro, passato da 0,88 all’1,37 di oggi: la storia stessa nega che sia un cambio accettabile. Ma non ritengo né facile né possibile uscire dall’euro» gela la sala, prima di rilanciare: «Dobbiamo comunque portare la Bce a cambiare le regole, l’inflazione e la parità esterna col dollaro, non solo quella interna. Con un cambio 1 a 1 con il dollaro e con la moneta cinese, potremmo anche convivere con l’euro. Com’è ora, no».
dalla Padania del 23.2.14
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