Post n°1608 pubblicato il 25 Febbraio 2014 da accorsiferro
Nel discorso al Senato Renzi all’attacco su Ue, immigrati, Enti locali e identità di Andrea Accorsi Sorrisi, moine, qualche compiaciuta frecciatina ai grillini. E le immancabili promesse da discorso di insediamento. Con appena un po’ di concretezza in più dello sbiadito predecessore. E serie minacce su Europa, immigrati, Enti locali e identità, ovvero i cavalli di battaglia della Lega. Ad un anno esatto dalle elezioni politiche (alle quali non era neppure candidato), il premier incaricato promette «un cambiamento radicale, immediato e puntuale» del Paese. Il suo discorso al Senato - un’ora e dieci minuti a braccio - tradisce l’ambizione di fare tanto in poco tempo, ma non convince sotto molti punti di vista. A cominciare dallo stile, più consono ad un comizio in piazza che all’Aula, passando per la forma (qua e là terribilmente forlaniana) e per finire con i contenuti, tra citazioni sanremesi (la Cinquetti di Non ho l’età) e l’immancabile retorica unionista (il riferimento alla «lunga storia italiana»). «MAI PIÙ LA FIDUCIA AL SENATO»Renzi esordisce: «Vorrei essere l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula». Nessun rigurgito dittatoriale alla Grillo: «Siamo orgogliosi di apprezzare le regole del gioco della democrazia», si affretta a precisare. La sua battuta va interpretata con la volontà di superare il bicameralismo. «Perché abbiamo un giudizio organico sull’Italia» prosegue ricorrendo all’aggettivo preferito da Forlani (do you remember il Caf?), per poi ironizzare sulla reazione di Calderoli all’annuncio di liquidare il Senato. «IMPOSSIBILE TORNARE AL VOTO»Il Segretario del Pd tratteggia un’Italia «viva, brillante, curiosa, che si vuole bene e ci tiene a presentarsi bene. E che non ci segue perché è avanti a noi, siamo noi che dobbiamo recuperarla. Faremo di tutto per raggiungerla - annuncia - attraverso un pacchetto di riforme che consideri il semestre europeo (cioè la prossima presidenza italiana dell’Ue, nda) come principale opportunità e che affronti prima di esso scelte obbligate su lavoro, fisco, pubblica amministrazione, giustizia partendo da riforme istituzionali ed elettorali». Il «presupposto» è che «eravamo a un bivio: o si andava a elezioni, e il mio partito non ha paura di andarci (e qui Renzi sorride al primo dei - pochi - applausi dell’Aula e alle urla dei senatori Cinque stelle), ma il passaggio elettorale era virtuale, stante la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, e che avrebbe portato a un sostanziale governo di larghe intese». Ma «la regola fondamentale è cambiare le regole del gioco insieme». La sostanza, dunque, non cambia: che l’ammucchiata continui, anche se con altro nome. «NESSUN ORDINE DA MERKEL O DRAGHI»I primi a saltare sulla sedia sono gli “euroscettici” o eurocritici. Sentite qua: «Il mondo sta cambiando e riduce lo spazio di potere dell’Europa. Ma l’Europa non è la madre di tutti i problemi. Nella tradizione europea ed europeista sta la parte migliore dell’Italia». Una difesa a spada tratta degli «Stati Uniti d’Europa» per la quale il sindaco di Firenze si spende in nomi e cognomi: «Non è la signora Merkel o il governatore Draghi a chiedere di essere seri con il nostro debito pubblico, ma il rispetto per i nostri figli e per le generazioni che verranno. Per sei mesi guideremo l’Europa - si entusiasma da solo - per studiare come guidare politicamente l’Europa nei prossimi vent’anni. La subalternità culturale per la quale troppo spesso si è considerata l’Europa come nostra matrigna è una subcultura da cui possiamo liberarci solo noi» attacca, invitando a «non vivere di rimpianti e di ricostruzioni fasulle del passato». Sarà un caso, ma subito dopo aver ricevuto l’incarico Renzi ha chiamato la signora di cui sopra a Berlino. «SCUOLA, STOP AL PATTO DI STABILITÀ»«Propongo al Senato una legislatura della svolta». La svolta renziana parte da quel settore sul quale nessun governo ha mai resistito alla tentazione di mettere mano: la scuola. Il sindaco piacione annuncia di voler «restituire valore sociale agli insegnanti», afferma che «la politica parte dalla centralità della scuola» e sottolinea «lo straordinario compito degli insegnanti». Palese l’intendimento di fare delle aule scolastiche il primo perno della propaganda renziana: «Mi recherò, come facevo da sindaco, nelle scuole per dare un segnale simbolico». Prima “beneficiaria” di tale auto-invito sarà Treviso. Ed ecco il primo progetto concreto: «Cambiare subito il patto di stabilità interna sull’edilizia scolastica» per avviare tra giugno e settembre «un piano straordinario di qualche migliaio di euro, non milioni, per intervenire in modo concreto e puntuale». «IL FISCO? UN CONSULENTE»«Non si possono oscurare i risultati del governo uscente» dice Renzi. E come dargli torto? Lui stesso osserva come «i numeri su Pil e disoccupazione non sono da crisi, ma da tracollo». Per questo annuncia «quattro riforme urgenti nelle prossime settimane», con «alcuni provvedimenti concreti discussi con il ministro (dell’Economia) Padoan». Primo, «sblocco to-ta-le (scandisce) dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti». Secondo, «un fondo di garanzia» per «le Pmi che non riescono ad accedere al credito». Terzo, «la riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale attraverso misure serie e irreversibili legate non soltanto alla revisione della spesa»: di quali misure si tratta, non è dato sapere, come pure i dettagli sugli altri punti enumerati. Stessa vaghezza sul piano per il lavoro la cui discussione parlamentare avverrà «entro marzo». Fra gli obiettivi, «intervenire strutturalmente nella capacità di attirare investimenti nel nostro Paese. Non c’è Paese potenzialmente più attrattivo del nostro», è convinto. Renzi apre poi il libro dei sogni al capitolo pubblica amministrazione. «Non possono esistere dirigenti a tempo indeterminato e che fanno il bello e il cattivo tempo. Ogni centesimo speso dalla Pa dev’essere visibile on line a tutti. Invieremo a casa di tutti i dipendenti pubblici e dei pensionati la dichiarazione dei redditi da compilare». E ancora: «Il fisco deve assumere i connotati di una specie di consulenza per il cittadino». «METTEREMO MANO AL TITOLO V»Sulla giustizia, annuncia per giugno «un pacchetto organico (e dàgli) di revisione che non lasci fuori niente, a partire dalla giustizia amministrativa». Il politico cede il posto all’amministratore per lamentare come «negli appalti pubblici lavorano di più gli avvocati che i muratori» e per attaccare la lunghezza dei processi civili, la «variabilità» della giustizia penale e la leggerezza delle pene per chi causa incidenti stradali da drogato o ubriaco. Dulcis in fundo, le agognate riforme costituzionali. «Per il Senato il modello tedesco è il primo passo per recuperare la credibilità dei cittadini. Quello immediatamente successivo è superare il Titolo V della Costituzione per rivedere le competenze esclusive di Stato e Regioni, introdurre per le Regioni la possibilità di legiferare ma dare allo Stato la possibilità di intervenire per l’unità economica e giuridica dell’ordinamento». Un arzigogolo lessicale che può significare tutto e il suo contrario. Assai più esplicita l’opinione sulle Regioni: «Devono prendere atto che è cambiato il clima nei loro confronti in seguito allo scandalo dei rimborsi elettorali e alla sovrapposizione delle competenze con Stato, Province e Comuni». A proposito di Province: «Il ddl Delrio oggi impedisce di votare per le Province. Una possibile soluzione è: chiudiamo il ddl Delrio, ma nella discussione sul Titolo V riapriamo il dibattito su cosa devono essere le Province». Sull’amato Italicum: «È pronto per essere discusso alla Camera, lo consideriamo non solo una priorità ma una prima, parziale risposta all’esigenza di evitare di perdere ulteriormente la faccia». Auguri. «NO INTEGRAZIONE, NO FUTURO»Ma il peggio deve ancora venire. Preso atto che «essere italiani è un dono, un elemento di bellezza agli occhi del mondo» e che «i valori della cultura fanno di noi una superpotenza mondiale», Renzi esorta a «investire sulla cultura in termini identitari. Per alcuni - precisa - l’identità è un baluardo contro l’integrazione, per me ne è la base. Un Paese che non si integra non ha futuro. Chi è nato qui, dopo un ciclo scolastico deve avere la possibilità di essere considerato italiano. Alla nascita? Troviamo un punto di sintesi possibile». La Kyenge ne sarà felice. E sui diritti, unioni civili in testa: «Sono divenuti terreno di scontro. Invece si fa lo sforzo di ascoltarsi e di trovare un compromesso anche se non soddisfa del tutto». Chissà che cosa potrà venirne fuori... I COMMENTI DEL CARROCCIOCaustico Matteo Salvini: «Commentare un’ora di fumo e crauti non è facile». Mentre Roberto Maroni e Luca Zaia lamentano l’assenza di temi importanti. «Nel discorso al Senato - rileva il Governatore della Lombardia - Matteo Renzi non ha mai parlato di Expo 2015. Brutto segno, fa già rimpiangere Enrico Letta». «Avremmo voluto sentir parlare dei residui fiscali attivi - gli fa eco il Governatore del Veneto - che le Regioni del Nord lasciano a Roma, senza che un euro ritorni sotto forma di aiuti alle imprese e al lavoro. Avremmo voluto sentir parlare di autonomia fiscale dei territori. Di un megafinanziamento per aggredire una volta per tutte la questione del dissesto idrogeologico del territorio e non soltanto impegni vaghi. Prendiamo atto che per il nuovo governo queste non sono priorità». dalla Padania del 25.2.14
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