WOLANDS

Il mio amico Gregory


C'è uno strano filo conduttore che unisce idealmente l'Italia, la Sicilia ed alcuni dei maggiori poeti americani della Beat Generation.  Un denominatore che forse, a cinquanta anni di distanza dal romanzo “On the road” di Kerouac, pubblicato nel 1957, non è stato ancora  pienamente esplorato. Ma non può essere un caso che proprio Jack Kerouac nella sua raccolta di poesie intitolata “Mexico City Blues” dedichi alcuni “refrain” all'Italia, e non è da sottovalutare il fatto che grandi poeti come Gregory Corso e Philip Lamantia abbiano avuto a che fare con l'Italia e soprattutto con la Sicilia.  E' già passato mezzo secolo dalla pubblicazione di quella che è considerata la “Bibbia” della Beat generation, eppure i poeti e gli scrittori di quel periodo continuano ad essere attuali. Per giustificare il legame con l'isola, basterebbe ricordare la poesia che Gregorio Nunzio Corso (vero nome di Gregory) scrisse nel luglio del 1990 per la “Fiumara Arte”. Tanto tempo fa Serse ispezionando le sue vaste divisioni gridò: Tra cento anni non saranno più!/Sicilia non Italia/Palermo tragico / Santo Stefano bello/un giovane ricco sa che morirà/ Egli crea la bellezza/e mi domanda perché?/Io, anch'io sto morendo/in vista di tutto ciò. Gregory Corso era nato a New York, nel Greenwich Village da genitori italiani,  e forse questo suo grande legame paterno, insieme all'amore per il poeta inglese Percy Shelley  lo portò a chiedere alla figlia di  di essere seppellito a Roma, nel  "Cimitero degli Inglesi" dove riposa lo stesso Shelley. A ricordare le sue origini italiane, oltre ai riferimenti nelle sue poesie, ci pensò Jack Kerouac, quando in una intervista dichiarò che “Gregory era un ragazzino duro dei quartieri bassi che crebbe come un angelo sui tetti e che cantava canzoni italiane con la stessa dolcezza di Caruso e Sinatra”. Insieme a Corso, figlio di genitori italiani (sua madre lo abbandona per tornarsene in patria), un altro poeta, assiduo frequentatore dello storico gruppo di poeti Beat, composto da William Burroughs, Allen Ginsberg, lo stesso Corso e Jack Kerouac, era Philip Lamantia. Nato a San Francisco da genitori immigrati di origine siciliana,  Lamantia è stato il primo poeta americano a fare ricorso al modello di versificazione dei surrealisti francesi e nella seconda metà degli anni sessanta, è diventato,  con le sue poesie che inneggiavano ai valori di libertà, amore e pacifismo, “il poeta” per eccellenza della stagione Beat.